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Il Dono Più Prezioso


La Coscienza di Krishna

Il Dono Più Prezioso

Sua Divina Grazia

A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada

INDICE

CAPITOLO 1 – La conoscenza spirituale attraverso Krsna

CAPITOLO 2 – Uscire dalla palude materiale

CAPITOLO 3 – Imparare ad amare

CAPITOLO 4 – Imparare il tapasya, il controllo del sé

CAPITOLO 5 – Diventare stabili in coscienza di Krsna

CAPITOLO 6 – Trascendere le designazioni.

CAPITOLO 7 – La liberazione in coscienza di Krsna: il dono più prezioso

CAPITOLO 1

La conoscenza spirituale attraverso Krsna

Questo Movimento per la Coscienza di Krsna ha lo scopo di riportare tutti gli esseri viventi alla loro coscienza origina­le. Ogni essere vivente all’interno di questo mondo materia­le è, in una certa misura, afflitto da un tipo di pazzia, e il Movimento per la Coscienza di Krsna mira a guarire l’uomo da questa malattia materiale e a ristabilire la sua coscienza originale. In un poema bengali un grande poeta Vaisnava ha scritto: “Quando un uomo è posseduto da fantasmi dice solo assurdità. Similmente, chiunque si trovi soggetto l’influenza della natura materiale è paragonabile a un uomo posseduto: tutto ciò che dice è privo di senso.” Una persona può essere anche un grande filosofo o uno scienziato, ma se è posseduto dal fantasma di maya, l’illusione, tutto ciò che può elaborare o dire risulta essere, più o meno, insensato. Oggi ci viene dato l’esempio di uno psichiatra il quale, quando gli fu chie­sto di esaminare un omicida proclamò che, dato che tutti i pazienti con cui aveva avuto a che fare erano più o meno pazzi, su tali basi la corte avrebbe potuto assolvere l’assassi­no, se preferiva. Il fatto è che nel mondo materiale è molto difficile trovare un essere vivente equilibrato. La prevalente atmosfera di follia in questo mondo materiale è da attribuirsi alla contaminazione della coscienza materiale.

L’obiettivo di questo Movimento per la Coscienza di Krsna consiste nel riportare l’uomo alla sua coscienza origi­nale, la coscienza di Krsna, la coscienza pura. Quando l’ac­qua cade giù dalle nuvole, è pura come l’acqua distillata, ma non appena viene a contatto con la terra diventa fangosa e torbida. Nello stesso modo, noi siamo in origine anime spi­rituali pure, parti integranti di Krsna e perciò la nostra posizio­ne costituzionale originale è pura quanto quella di Dio. Sri Krsna dice nella Bhagavad-gita:

mamaivàmso jiva-loke jiva-bhútah sanàtanah manah sasthànindriyani prakrti-sthàni karsati

“Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono Miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramen­te con i sei sensi, tra cui la mente.” (B.g. 15.7)

Quindi tutti gli esseri viventi sono frammenti infinitesi­mali di Krsna. Quando diciamo Krsna dovremmo sempre ricordarci che stiamo parlando di Dio, Krsna, l’infinitamen­te affascinante Persona Suprema. Come una pepita d’oro è qualitativamente uguale alla miniera d’oro, così le minusco­le particelle del corpo di Krsna sono qualitativamente uguali a Krsna. La composizione chimica del corpo del Signore e l’eterno corpo spirituale degli esseri viventi sono della stessa natura, sono spirituali. In origine, nella nostra condizione non contaminata, noi possedevamo una forma uguale a quella di Dio ma, proprio come la pioggia cade sulla terra, così noi veniamo a contatto con questo mondo materiale, che è manipolato dall’energia materiale esterna di Krsna.

Quando si parla di energia esterna ossia di natura mate­riale, ci si potrebbe domandare: “L’energia di chi? La natura dì chi?” L’energia materiale ossia la natura non agiscono in

modo indipendente. Un simile concetto è insensato: Nella Bhagavad-gita è affermato chiaramente che la natura mate­riale non agisce indipendentemente. Quando uno stolto vede una macchina, può pensare che stia funzionando da sola, ma in realtà non è così, c’è un conducente, qualcuno che la co­manda, anche se talvolta, a causa di una visione imperfetta, non si possa vedere il controllore che opera nella macchina. Ci sono molti congegni elettronici che funzionano a meravi-glia, ma dietro a questi complessi sistemi c’è uno scienziato che preme il bottone. È molto semplice da capire: poiché una macchina è costituita di materia, non può funzionare per il proprio volere, ma sotto una direzione spirituale. Un regi­stratore funziona, ma secondo un progetto e sotto la direzio­ne di un essere vivente, un essere umano. La macchina è completa, ma a meno che non sia manipolata da un’anima spirituale non può funzionare. Similmente noi dovremmo capire che questa manifestazione cosmica, che noi chiamia­mo natura, è una grande macchina e dietro ad essa c’è Dio, Krsna. Ciò è anche affermato nella Bhagavad-gita dove Krsna dice:

mayàdhyaksena prakrtih súyate sa-caràcaram hetunànena kaunteya jagad viparivartate

“La natura materiale, che è una delle Mie energie, agisce sotto la Mia direzione, o figlio di Kunti, generando tutti gli esseri, mobili e immobili: Secondo le sue leggi questa mani­festazione è creata e annientata in un ciclo senza fine.” (B.g. 9.10)

Esistono due categorie di esseri: gli esseri mobili (come gli esseri umani, gli animali e gli insetti) e gli esseri immobili (come gli alberi e le montagne). Krsna afferma che la natura materiale, che controlla entrambe le categorie, agisce sotto la Sua direzione. Così al di là di tutto c’è un Controllore Supremo. La civiltà moderna, per mancanza di conoscenza, non lo comprende. È quindi obiettivo di questo Movimento per la Coscienza di Krsna illuminare tutti coloro che sono impazziti a causa delle tre influenze della natura materiale.

In altre parole, il nostro fine è quello di risvegliare l’umanità alla sua condizione normale.

Ci sono molte università, specialmente negli Stati Uniti, è molti dipartimenti di istruzione, ma nessuno di essi tratta tali argomenti. Dov’è il dipartimento che tratta questi argo­menti dati da Sri Krsna nella Bhagavad-gita? Quando ho parlato agli studenti e ad alcuni membri dèll’Istituto per la Tecnologia del Massachusetts, la mia prima domanda fu: “Dov’è il dipartimento tecnologico che sta investigando sulla differenza tra un uomo vivo e uno morto?” Quando un in­dividuo muore, qualcosa va perduto. Quale tecnologia è in grado di sostituirlo? Perché gli scienziati non cercano di risolvere questo problema? Poiché si tratta di un argomen­to molto difficile, essi lo abbandonano per impegnarsi atti­vamente nella tecnologia del mangiare, dormire, accoppiarsi è difendersi. Le Scritture vediche ad ogni modo ci informa­no che questa è una tecnologia animale. Anche gli animali stanno cercando di fare del proprio meglio per mangiare bene, per godere della vita sessuale in modo soddisfacente, per dormire pacificamente e per difendersi. Qual è dunque la differenza tra il sapere umano e quello animale? Il fatto è che la conoscenza umana dovrebbe essere sviluppata per capire la differenza tra un uomo vivo e un uomo morto, un corpo animato e uno inanimato. Questa scienza spirituale fu impartita da Krsna ad Arjuna all’inizio della Bhagavad-­gita. Essendo amico di Krsna, Arjuna era un uomo molto intelligente, ma la sua conoscenza,: come quella di tutti gli uomini; era limitata. Krsna parlò comunque di argomenti che andavano al di là della conoscenza limitata di Arjuna. Questi soggetti sono definiti adhoksaja perché la nostra percezione diretta volta all’acquisizione della conoscenza materiale non è in grado di comprenderli. Noi, per esempio, abbiamo molti potenti microscopi per vedere ciò che non siamo in grado di vedere coi nostri occhi limitati, ma non c’è microscopio capace di mostrarci l’anima all’interno del corpo: Malgrado ciò, l’anima è li:

La Bhagavad-gita ci informa che in questo corpo è pre­sente un proprietario. Io sono il proprietario di questo corpo e gli altri sono i proprietari dei loro corpi. Io dico: “La mia mano”, non dico: “Io mano.” Poiché è la “mia” mano, io sono differente da essa, essendone il proprietario. Similmen­te, noi diciamo: “Il mio occhio”, “la mia gamba”, “il mio questo, il mio quello.” Tra tutte queste cose che mi appar­tengono, dove sono io? La ricerca di una risposta a tale in­terrogativo si ottiene attraverso la meditazione. Nella vera meditazione ci si chiede: “Dove sono? Chi sono?” Con un semplice sforzo materiale non possiamo trovare risposta a tali domande e nelle università si stanno dunque accanto­nando tali argomenti. Essi dicono: “È un argomento troppo difficile”, oppure lo ignorano dicendo: “È irrilevante.” Così gli ingegneri dirigono la loro attenzione alla creazione o al perfezionamento di vetture senza cavalli, le automobili, o di uccelli senza ali, gli aeroplani. In passato erano i cavalli a trainare le vetture e non c’era inquinamento, ma ora ci sono automobili e missili, e gli scienziati ne sono molto orgogliosi. Si vantano dicendo: “Abbiamo inventato dei veicoli senza cavalli e degli uccelli senza ali.” Sebbene siano riusciti a ri­produrre delle finte ali per aeroplani e missili, non sono in grado di creare un corpo senz’anima. Soltanto quando ci riusciranno, solo allora saranno degni di credito. Ma una simile impresa sarebbe necessariamente delusa, perché sap­piamo che non c’è macchina in grado di funzionare senza che un’anima spirituale operi al suo interno. Perfino i computer più sofisticati richiedono la presenza di uomini addestrati per usarli. In modo analogo dovremmo sapere che questa grande macchina, conosciuta come manifestazione cosmica, è manovrata da uno spirito supremo, Krsna. Gli scienziati stanno tentando di scoprire la causa ultima o il controllore supremo di questo universo materiale e stanno formulando varie teorie, ma il vero mezzo attraverso il quale è possibile conoscere la verità è molto semplice e perfetto: bisogna solo ascoltare dalla persona perfetta, Krsna. Accettando la conoscenza impartita nella Bhagavad-gita si può immediatamen­te comprendere che questa grande macchina cosmica, di cui la terra è solo una, parte, lavora in modo così meraviglioso perché c’è un controllore dietro di lei, e questo controllore è Krsna.

Il nostro metodo di conoscenza è molto facile, La Bhagavad-gita, l’insieme di istruzioni date da Krsna, è il principale libro di conoscenza impartitoci dall’adi-purusa stesso, la Suprema Persona originale, la Suprema Persona­lità di Dio. Egli è infatti l’essere perfetto. Si potrebbe obiet­tare dicendo che anche se noi Lo abbiamo accettato come tale, molti altri Lo rifiutano. Ma non si dovrebbe pensare che tale accettazione sia fatta per capriccio. Krsna viene accettato come l’essere perfetto sulla base della testimonianza di molte autorità. Noi non consideriamo Krsna perfetto per un nostro capriccio o sentimento. No. Krsna è considerato Dio da molte autorità vediche tra le quali Vyasadeva, l’autore di tutta la letteratura vedica. Tutto il tesoro della conoscenza è contenuto nei Veda, e il loro autore, Vyasadeva, considera Krsna Dio, la Persona Suprema, e così Narada, il maestro spirituale di Vyasadeva. Brahma, il maestro spirituale di Narada, non solo considera Krsna l’Essere Supremo, ma Lo considera anche il Supremo Controllore -isvarah paramah krsnah: “Krsna è il Controllore Supremo.”

Nessuno in tutta la creazione può dire di non essere con­trollato. Ogni individuo, importante o potente che sia, ha un controllore al di sopra di sé. Solo Krsna non ha controllori: perciò Egli è Dio, il controllore di tutti, nessuno Gli è supe­riore, nessuno Lo controlla; non c’è nessuno pari a Lui, nes­suno che possa condividere la Sua posizione di controllo assoluto. Ciò potrebbe sembrare strano, perché attualmente ci sono molti cosiddetti dèi. Gli dèi, sono molto a buon mercato oggi, in special modo quelli importati dall’India. La gente degli altri Paesi è fortunata per il fatto che gli dèi non vengano fabbricati lì, ma in India si fabbricano dèi pratica­mente ogni giorno. Sentiamo spesso dire che Dio sta per recarsi a Los Angeles o New York e che la gente si sta pre-parando a riceverlo, o cose simili; ma Krsna non appartiene a questo genere di dèi prodotti in una fabbrica mistica. No. Egli non è stato fatto Dio, Egli è Dio.

Noi dovremmo dunque sapere, sulla base dell’autorità, che dietro a questa gigantesca natura materiale, la manifestazione cosmica, c’è Dio, Krsna, e che Egli è accettato da tutte le autorità vediche. Il fatto di accettare un’autorità non è una cosa nuova per noi: tutti devono accettare un’autorità in un modo o nell’altro. Per essere istruiti ci rechiamo a scuola o da un maestro o più semplicemente impariamo dai nostri genitori. Essi costituiscono l’autorità in quel campo e

la nostra natura è quella di imparare da loro. Nella nostra infanzia abbiamo domandato: “Padre, cos’è questo?” e no­stro padre ci avrà risposto: “Questa è una penna”, “questi sono degli occhiali” oppure: “Questo è un tavolo.” In tal modo fin dal principio dell’esistenza un bambino apprende da suo padre e sua madre. Così, facendo domande ai propri genitori, egli apprende i nomi delle cose e le relazioni fondamentali esistenti tra esse. Dei buoni genitori non imbroglia­no mai quando il loro bambino li interroga, ma gli fornisco­no delle informazioni precise e corrette. Similmente, se noi riceviamo delle informazioni spirituali da un’autorità e se l’autorità non è falsa, allora la nostra conoscenza sarà per­fetta. Tuttavia, se tentiamo di trarre delle conclusioni basan­doci unicamente sulle nostre capacità speculative, cadremo certamente nell’errore. Il processo induttivo mediante il quale, ragionando a partire da eventi particolari o da casi individuali si arriva ad una conclusione generale, non è mai da considerarsi perfetto. Poiché siamo limitati, e la nostra esperienza è anch’essa limitata, la conclusione rimarrà sem­pre imperfetta.

Se riceviamo informazioni dalla fonte perfetta, Krsna, e ripetiamo tali informazioni, allora tutto ciò che diremo po­trà essere considerato perfetto e autorevole. Il processo della parampara o la successione dei maestri spirituali autentici, consiste in questo metodo dell’ascolto da Krsna o dalle au­torità che Lo hanno accettato, ripetendo esattamente ciò che esse hanno detto. Nella Bhagavad-gita Krsna raccoman­da questo metodo di acquisizione della conoscenza:

evam parampara-pràptam

imam ràjarsayo viduh

“Questa scienza suprema fu così trasmessa in successione da maestro a discepolo, e i re santi la ricevettero in questo modo.” (B.g. 4.2)

Un tempo la conoscenza veniva trasmessa attraverso i re santi che erano le autorità. Nelle ere precedenti, comunque, questi re erano rsi, grandi studiosi eruditi e devoti, e poiché non erano persone ordinarie, il loro governo funzionava molto bene. Nella civiltà vedica sono molti gli esempi di re che raggiunsero la perfezione come devoti di Dio. Dhruva Mahàràja, ad esempio, andò nella foresta per cercare Dio e, attraverso la pratica di severe penitenze e austerità, riuscì in soli sei mesi a vedere Dio. Sebbene fosse un principe dell’età di cinque anni e dal corpo delicato, riuscì nel suo intento perché seguì le direttive del suo maestro spirituale, Nàrada. Dhruva Mahàràja trascorse il primo mese nella foresta mangiando ogni tre giorni solo una piccola quantità di frutta e verdure e bevendo acqua ogni sei giorni. Successivamente, ridusse la sua respirazione e rimase per sei mesi in piedi poggiandosi su una sola gamba. Dopo aver praticato per sei mesi queste severe austerità, Dio Si manifestò di fronte a lui. Per noi non è necessario praticare tali severe austerità; se­guendo le orme delle autorità vediche potremo ugualmente vedere Dio a tu per tu. Questa visione di Dio è la perfezione della vita.

Il metodo della coscienza di Krsna è basato sull’austerità, ma non è molto difficoltoso. Ci sono delle restrizioni per quanto riguarda l’alimentazione e la vita sessuale (si prende solo il prasadam, cibo che è stato precedentemente offerto a Krsna, e l’attività sessuale é ristretta alla vita matrimonia­le); inoltre ci sono altre regole che facilitano e favoriscono la realizzazione spirituale. Oggi per noi non è possibile imitare Dhruva Maharaja, ma seguendo alcuni princìpi vedici fon­damentali, potremo avanzare nella coscienza spirituale, la coscienza di Krsna. Mentre avanziamo, anche la nostra co­noscenza diventa perfetta. Qual è l’utilità di essere scienziati o filosofi se non siamo in grado di sapere quale sarà la nostra prossima vita? Uno studente realizzato in coscienza di Krsna potrà dire facilmente quale sarà la sua prossima vita, saprà cos’è la natura, chi è Dio, chi è l’essere vivente e qual è la sua relazione con Lui. La sua conoscenza è perfetta perché pro­viene da libri di conoscenza perfetti quali la Bhagavad-gita e lo Srimad-Bhagavatam.

Questo è il metodo della coscienza di Krsna. È molto semplice e tutti possono adottarlo e rendere così perfetta la loro vita: Se qualcuno dice: “Io non sono per nulla istruito, non sono in grado di leggere libri”, malgrado ciò non deve considerarsi squalificato. Può ugualmente, rendere perfetta la sua vita con il semplice canto del maha-mantra Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama; Rama Rama, Hare Hare. Krsna ci ha dotato di lingua e orecchi e saremo sorpresi di sapere che Egli può essere realizzato proprio attraverso di essi, non attraverso gli occhi. Ascoltando il Suo messaggio noi impariamo a controllare la lingua, e quando la lingua è controllata gli altri sensi seguo­no. Tra tutti i sensi, la lingua è la più vorace e la più difficile da controllare, ma ciò può essere ottenuto facilmente can­tando Hare Krsna e gustando il Krsna prasadam; il cibo of­ferto a Krsna.

Attraverso la percezione sensoriale o la speculazione mentale ci è impossibile comprendere Krsna. È impossibile. Krsna è così grande che va, al di là della portata dei nostri sensi, ma può essere compreso se ci arrendiamo a Lui. Egli raccomanda dunque questo metodo:

sarva-dharmàn parityajya

màm ekaM saranam vraja

aham tvàm sarva-pàpebhyo

moksayisyàmi mà sucah

“Lascia ogni forma di religione e abbandonati a Me. Io ti libererò da tutte le reazioni del peccato, non temere.” (B.g. 18.66)

Sfortunatamente, la nostra malattia consiste nel deside­rio di ribellione; ci rifiutiamo automaticamente di sottomet­terci a un’autorità. Eppure, nostro malgrado, la natura è così potente che ci costringe ad accettare un’autorità. Siamo costretti ad accettare l’autorità della natura. Non c’è niente di più pietoso di un uomo che dice di non dover sottostare ad alcuna autorità, ma che segue ciecamente i suoi sensi dovun­que essi lo conducano. La nostra falsa pretesa di indipenden­za è semplice stupidità. Noi tutti sottostiamo a qualche au­torità, eppure diciamo di non volerla Questa è maya, illusio­ne. Noi abbiamo pur sempre una certa indipendenza, possia­mo scegliere se sottostare all’autorità dei nostri sensi o a quella di Krsna. Krsna è la migliore autorità, l’autorità su­prema, perché Egli è il nostro eterno benefattore e il suo unico scopo è quello di aiutarci. Dato che siamo costretti ad accettare un’autorità, perché non accettare Lui? Basterà ascoltare le Sue glorie dalla Bhagavad-gita e dallo Srimad­Bhagavatam e cantare i Suoi santi nomi, Hare Krsna, per rendere rapidamente perfetta la nostra vita.

CAPITOLO 2

Uscire dalla palude materiale

La glorificazione del santo nome di Dio è l’argomento più sublime. Esso fu discusso da Maharaja Pariksit e da Sukadeva Gosvami, il quale evidenziò il fatto che un brahmana molto caduto, dedito a tutti i tipi di attività empie, fu salvato grazie al semplice canto dei santi nomi di Krsna. Tale racconto è riportato nel Sesto Canto dello Srimad­-Bhagavatam un’opera di carattere epico scritta da Vyasadeva; essa descrive i divertimenti di Sri Krsna ed espone la filoso­fia della coscienza di Krsna.

Nel quinto Canto dello Srimad-Bhagavatam, è trattato in modo elaborato l’argomento dei sistemi planetari universa­li. All’interno dell’universo si trovano sistemi planetari infe­riori, mediani e superiori. In effetti, non solo il Bhagavatam, ma anche tutte le Scritture religiose contengono le descrizio­ni dei sistemi planetari inferiori o infernali e superiori o paradisiaci. Lo Srimad-Bhagavatam riporta la loro posizione all’interno dell’universo, la loro distanza dalla terra ecc.

Proprio come gli astronomi hanno calcolato la distanza della luna e di altri pianeti dal nostro, così anche il Bhagavatam contiene le descrizioni dei vari pianeti.

Sul nostro pianeta sperimentiamo differenti condizioni climatiche; nei paesi temperati come gli Stati Uniti, il clima differisce da quello di un paese tropicale come l’India. Pro­prio come su questo pianeta esistono differenze ambientali, così esistono altri pianeti dotati di atmosfere e ambienti di­versi. Dopo aver ascoltato queste descrizioni da Sukadeva Gosvami, Maharaja Pariksit disse:

adhuneha mahà-bhàga yathaiva narakàn narah nànograyàtanàm neyàty

tan me vyàkhyàtum arhasi

“O Signore, ho ascoltato da Te la descrizione dei pianeti infernali. Le persone più empie vengono condotte in questi pianeti. Ti prego, spiegami come gli esseri umani possono salvarsi dal cadere in condizioni infernali che sono causa per loro di terribili sofferenze.” (S.B. 6.1.6)

Pariksit Maharaja era un Vaisnava (devoto del Signore) e un Vaisnava prova sempre compassione per le sofferenze altrui. Quando il Signore Gesù Cristo apparve, ad esempio, fu enormemente addolorato per le misere condizioni della gente. Incuranti del paese o del proprio credo, i Vaisnava ossia i devoti, così come tutti coloro che sono coscienti di Dio o di Krsna, sono sempre compassionevoli. Ingiuriare un Vaisnava, un predicatore delle glorie di Dio, costituisce dunque una grave offesa.

Krsna non tollera in alcun caso le offese commesse ai piedi di loto di un puro Vaisnava. Ad ogni modo un Vaisnava è sempre pronto a perdonare. Krpambudhi: un Vaisnava è un oceano di misericordia. Vàncà-kalpa-taru: tutti hanno dei desideri, e un Vaisnava può soddisfarli tutti. Kalpa-taru si riferisce ad un albero del mondo spirituale, chiamato albero dei desideri. In questo mondo materiale una particolare varietà di frutta si può avere solo da un albero particolare, ma a Krsnaloka, come negli altri pianeti del cielo spirituale, tutti gli alberi sono spirituali e soddisfano ogni desiderio.

Ciò è descritto nella Brahma-samhita (cintamani prakara­sadmasu kalpa-vrksa). Il puro Vaisnava è paragonato ad un albero dei desideri perché può elargire al discepolo sincero il dono impareggiabile della coscienza di Krsna.

Un Vaisnava è definito maha-bhaga, “fortunato.” Colui che lo diventa, ed è cosciente di Dio, deve considerarsi molto – fortunato. Sri Caitanya Mahàprabhu, il principale esponente della coscienza di Krsna in quest’era, ha spiegato che gli esseri viventi vagano nei vari sistemi planetari dell’univer­so trasmigrando nelle differenti specie di vita. Un essere vivente può andare dove vuole, in paradiso o all’inferno, basta che si prepari per l’uno o l’altro luogo. Ci sono molti pianeti paradisiaci e altrettanti pianeti infernali, e molte specie di vita. Secondo il Padma Purana esistono 8.400.000 specie di vita, e l’essere vivente vaga attraverso queste specie, nei vari tipi di corpi conformemente al suo stato men­tale. “Ognuno raccoglie ciò che ha seminato.” Questa è la legge. Caitanya Mahaprabhu dice che tra gli innumerevoli esseri viventi che trasmigrano nel mondo materiale, solo uno è così fortunato da adottare la coscienza di Krsna. La coscienza di Krsna è ora distribuita liberamente in ogni luo­go, eppure non tutti l’accettano, specialmente in quest’era di Kali. Perciò lo Srimad-Bhàgavatam definisce sfortunate le persone di quest’era. Sri Caitanya Mahaprabhu dice che solo le persone più fortunate adottano questa coscienza di Krsna e raggiungono così un’esistenza felice e piena di co­noscenza.

È dovere di un Vaisnava andare di porta in porta per far accettare la buona fortuna alle persone sfortunate. Un Vaisnava pensa: “Come può, questa gente, essere salvata dalla vita infernale?” Tale fu anche la domanda di Mahàràja Pariksit. “Signore” egli disse, “tu hai detto che a causa delle attività peccaminose commesse l’individuo è posto in una condizione di vita infernale. Ora, quali sono i metodi me­diante i quali una persona può essere salvata?” Questa è una domanda molto importante. Quando un Vaisnava, Dio stes­so, i figli di Dio o i Suoi devoti confidenziali discendono, la loro missione consiste nel salvare gli empi dalla sofferenza. Essi conoscono il metodo. Quando Prahlada Mahàràja in­contrò i1 Sri Nrsimhadeva, disse:

naivodvije para duratyaya-vaitaranyàs tvadvirya-gàyana-mahàmrta-magna-cittah soce tato vimukha-cetasa indriyàrtha­maya-sukhàya bharam udvahato-vimúdhàn (S. B. 7.9.43)

Prahlada cominciò dicendo: “Mio caro Signore, non sono molto ansioso di ottenere la liberazione.” A questo punto potremmo contrapporre questa attitudine a quella dei filo­sofi Màyàvàdi, i quali sono sempre molto attenti a non inter­rompere il loro processo di liberazione. Spesso pensano: “Se vado a predicare e mi associo con gli altri, rischio di cadere e di interrompere così la mia realizzazione.” Per questo motivo essi non si fanno avanti a predicare. Solo i Vaisnava si fanno avanti, anche a rischio di cadere, ma essi non cadono. Un Vaisnava è anche disposto ad andare all’inferno per liberare le anime condizionate. Tale era la missione di Prahlàda Mahàràja. Egli continua dicendo: “Non ho molta paura di vivere in questo mondo materiale. Non mi preoccu­po per me stesso, perché in un modo o nell’altro sono stato addestrato a rimanere cosciente di Krsna in ogni circostan­za.” Poiché Prahlàda Mahàràja era cosciente di Krsna, era fiducioso di tornare a Lui nella prossima vita. Nella Bhagavad­gita è detto che colui che segue scrupolosamente i princìpi regolatori della coscienza di Krsna, è sicuro di raggiungere la destinazione suprema nella prossima vita. Prahlàda Mahàràja continua: “Solo una cosa mi rende ansioso, mi preoccupo solamente per coloro che non sono coscienti di Krsna.” Per quale motivo le persone non sono coscienti di Krsna? Maya-sukhàya bharam udvahato vimúdhàn. I ma­scalzoni hanno creato una civiltà ingannevole per una felici­tà temporanea.

Maya-sukhaya. Questa è la realtà. Abbiamo creato una civiltà falsa, ingannevole. Ogni anno vengono fabbricate moltissime automobili e per conseguenza molte strade ven­gono costruite o rimodernate. Questo crea una serie di pro­blemi, ed è perciò maya-sukhaya, una felicità illusoria. Stia­mo cercando di trovare un modo per essere felici, ma riuscia­mo solo a creare altri problemi. Negli Stati Uniti c’è il mag­gior numero di auto del mondo, ma questo non risolve alcun problema. Abbiamo fabbricato automobili con l’idea di riu­scire a risolvere i problemi dell’esistenza, ma sperimentiamo spesso che questo genera solo ulteriori problemi. Dopo aver creato le auto siamo costretti a viaggiare trenta o quaranta chilometri solo per incontrare i nostri amici o per andare dal dottore. Possiamo persino andare da New York a Boston in meno di un’ora, grazie all’aeroplano, ma poi si impiega molto di più solo per raggiungere l’aeroporto. Questa situazione è definita maya-sukhaya. Maya significa falso, illusorio. Noi cerchiamo di creare situazioni molto confortevoli, ma riu­sciamo solo a creare altre situazioni disagevoli. Questa è la caratteristica del mondo materiale. Se non ci accontentiamo delle comodità naturali offerteci da Dio e dalla natura e desideriamo creare delle comodità artificiali, allora dovre­mo subire anche degli inconvenienti. La maggior parte della gente, ignara di questo, è convinta di adoperarsi per creare una situazione molto confortevole, ma in realtà finisce sem­pre per percorrere cinquanta chilometri per andare in uffi­cio e guadagnarsi da vivere e altri cinquanta per tornarsene a casa.

A causa di ciò, Prahlada Mahàràja afferma che questi vimúdha, persone materialiste, si sono gravati di un fardello inutile, solo in vista di una felicità temporanea. Vimúdhan maya-sukhaya bharam udvahato. Perciò il sistema vedico raccomanda di liberarsi dalla vita materiale, accettando il sannyasa, l’ordine di rinuncia, ed impegnandosi nel servizio devozionale liberi da ogni ansietà.

Ad ogni modo; non è sempre necessario accettare l’ordi­ne di rinuncia. Si raccomanda anche di praticare la coscienza di Krsna nella vita di famiglia. Sebbene Bhaktivinoda Thakura fosse un magistrato e un uomo di famiglia, si dedi­cava al servizio di devozione in maniera eccellente. Dhruva Mahàràja e Prahlàda Mahàràja erano anch’essi dei grhastha, capifamiglia, ma addestrarono se stessi in tal modo, da non vedersi mai costretti a dover interrompere il loro servizio. Perciò Prahlàda Mahàràja disse: “Ho appreso l’arte di rima­nere sempre in coscienza di Krsna. In cosa consiste quest’ar­te? Tvad-virya-gàyana mahamrta-magna-cittah, nel glorifi­care solo le attività eroiche e i divertimenti del Signore. La parola virya significa “molto eroico.” Attraverso lo Srimad-Bhagavatam possiamo comprendere che i divertimenti di Krsna, la Sua fama, i Suoi associati e tutto ciò che Lo riguar­da sono tutti eroici. A questo proposito Prahlàda Mahàràja dice: “Sono certo che dovunque mi trovi, glorificando le Tue gesta eroiche posso essere salvato. Non ho paura di cadere, mi preoccupo soltanto per coloro che hanno creato un gene­re di civiltà che li costringe a lavorare duramente.” Prahlàda dice inoltre:

pràyena deva munayah sva-vimúkti-kama

maunam caranti vijane na paràrtha-nisthàh

naitàn vihàya krpanàn vimumuksa eko

nànyam tvadasya saranam bhramato ‘nupasye

“Mio caro Signore, sono molte le persone sante e i saggi interessati solo alla loro liberazione. Essi vivono in luoghi solitari come le montagne himalayane, fanno il voto del si­lenzio ed hanno sempre timore di mischiarsi con la gente ordinaria delle città, di essere disturbati o persino di cadere. Essi dicono: è meglio che pensi a salvare me stesso. Mi di­spiace che tali grandi personalità non si rechino in queste città, la cui gente ha prodotto una civiltà basata sul costante duro lavoro. Tali santi non sono in realtà molto compassio­nevoli, ma io mi preoccupo per queste persone cadute che stanno lavorando duramente solo per un po’ di gratificazio­ne dei sensi.” (S.B. 7.9.44)

Anche se c’è un motivo per lavorare così duramente, tali individui ignorano completamente quale sia. Tutto ciò che conoscono è il forte desiderio di godimento sessuale e il postribolo che serve a soddisfarlo. Malgrado ciò, Prahlada Maharaja prova compassione per tali individui: naitàn vihàya krpanàn vimumuksa eko. “Mio Signore, non desidero essere liberato. Se non potrò portare questi sciocchi con me, non me ne andrò.” Così egli si rifiutò di andare nel regno di Dio senza aver prima preso con sé tutte le anime cadute. Tale è il comportamento del Vaisnava. Nànyam tvadasya saranam bhramato ‘nupasye: “Desidero soltanto insegnare loro ad abbandonarsi a Te. Questo è il mio desiderio.”

L’abbandono viene così enfatizzato perché un Vaisnava sa che non appena egli si abbandona, il sentiero diventa chiaro.

naivodvije para duratyaya-vaitaranyàs

tvad-virya-gàyana-mahàmrta-magna-cittah

“In un modo o nell’altro, fa sì che tutti si inchinino davanti a Krsna.” Questo è un metodo molto semplice; non bisogna fare altro che prosternarsi con fede dinanzi a Krsna dicendo: “Mio Signore, Krsna, mi sono dimenticato di Te per lungo tempo, per tante vite. Ora che ho acquisito la coscienza di Te, Ti prego di accettarmi.” Questo è tutto. Se si apprende semplicemente questo metodo e ci si abbandona al Signore con sincerità, la propria strada si illumina immediatamente. Questa è l’aspirazione di un vero Vaisnava.

Un Vaisnava pensa costantemente al modo di liberare le anime condizionate ed è sempre impegnato ad elaborare nuovi piani a questo scopo. I Gosvami, i principali discepoli di Sri Caitanya Mahaprabhu, erano dei veri Vaisnava, e fu­rono così descritti da Srnivasa Acarya:

nana-sastra-vicaranaika-nipunau

sad-dharma-samsthàpakau

lokànam hitakàrinau tribhuvane

mànyau saranyàkarau

radha-krsna-padàravinda-

bhajanànandena mattàlikau

vande rúpa-sanàtanau

raghuyugau sri jiva-gopàlakau

“I sei Gosvami- Sri Sanatana Gosvami, Sri Rupa Gosvami, Sri Raghunatha Bhatta Gosvami, Sri Raghunàtha Dàsa Gosvami, Sri Jiva Gosvami e Sri Gopàla Bhatta Gosvami – sono molto esperti nello studiare attentamente tutte le Scrit­ture rivelate allo scopo di ristabilire gli eterni princìpi della religione a beneficio dell’umanità intera. Essi sono costan­temente assorti nel sentimento delle gopi e sono sempre impegnati nel trascendentale servizio d’amore di Radha e Krsna.”

Rivelando la natura compassionevole, propria del Vaisnava, Pariksit Maharaja disse a Sukadeva Gosvami: “Hai appena descritto le differenti forme di vita infernale; Ti pre­go ora di dirmi in quale modo coloro che soffrono possono essere liberati.” Adhuneha maha-bhaga yathaiva narakàn narah nànograyàtanàn neyàt tan me. La parola narah si rife­risce agli esseri umani o alle anime cadute. Narakàn narah nànograyàtanàn neyàt tan me: “Come possono essere libera­ti da queste atroci sofferenze e pene orribili?” Questo è tipi­co del cuore di un Vaisnava. Mahàràja Pariksit continuò: “Per una ragione o per l’altra essi sono caduti in una condi­zione di vita infernale, ma ciò non significa che debbano rimanere in tale condizione. Ci dev’essere un modo per libe­rarli, quindi illuminami, ti prego.”

Sukadeva Gosvàmì rispose:

na ced ihaivàpacitim yathamhasah

krtasya kuryàn mana-ukti-pànibhih

dhruvam sa vai pretya narakàn upaiti

ye kirtita me bhavatas tigma-yàtanàh

“Sì, ho già descritto le varie condizioni infernali che caratte­rizzano una vita dura e piena di sofferenze. Il punto è che bisogna neutralizzare un tale genere di esistenza.” (S. B. 6.1.7)

Come fare? Le attività peccaminose possono essere com­piute in vari modi. Un modo è attraverso la mente. Se una persona pensa di commettere un’azione empia ed elabora un piano: “Ucciderò quell’uomo”, anche questo è peccami­noso. A1 pensare, sentire e volere della mente segue certa­mente l’azione. In certe zone degli Stati Uniti, secondo la legge, il proprietario di un cane che abbaia a qualche passan­te per la strada viene considerato responsabile. Sebbene il cane abbia solamente abbaiato, il proprietario è ritenuto responsabile. Il cane non ha responsabilità perché è un ani­male, ma siccome il proprietario del cane ha fatto dell’ani­male il suo migliore amico; la legge lo considera responsabi­le. Similmente, proprio come il latrato del cane può essere considerato illecito, così anche le parole offensive possono essere considerate tali, perché assomigliano a latrati. Il fatto è che le attività colpevoli possono essere compiute in vari modi: si potrebbe semplicemente pensare di compierle, si potrebbe parlare in modo empio o commettere effettiva­mente un’azione empia. In ogni caso, tutte queste attività sono considerate colpevoli. Dhruvam sa vai pretya narakàn

upaiti: si deve subire una punizione come conseguenza di tale azione.

La gente si rifiuta di credere nell’esistenza di una prossi­ma vita perché vuole evitare ansietà e punizioni, ma tutto ciò non può essere evitato. È un fatto ben noto che bisogna agire in conformità della legge vigente, se non si vuole incorrere in una punizione. Lo Stato punisce chi commette azioni crimi­nali. Talvolta, comunque, un criminale riesce a sottrarsi alla punizione dello Stato, ma non potrà sfuggire alle leggi divi­ne. Un individuo può imbrogliare, commettere furti e na­scondersi evitando così la punizione dello Stato, ma non può sfuggire ad una legge superiore, la legge della natura. È estre­mamente difficile perché ci sono molti testimoni: la luce del sole e della luna, e Krsna, il testimone supremo. Così non è possibile dire: “Sto commettendo questo peccato, tanto nes­suno può vedermi.” Krsna è il testimone supremo situato all’interno del cuore e non solo conosce i pensieri e le azioni di ogni essere, ma offre anche delle facilitazioni all’essere vivente in modo che egli possa soddisfare i propri desideri. Se una persona desidera soddisfare i propri sensi, Krsna gli concede tutte le facilitazioni. Ciò è affermato nella Bhagavad-gita. Sarvasya càham hrdi sannivistah: “Io risiedo nel cuore di ognuno.” Mattah smrtir jnànam apohanarim ca: “Da Me viene il ricordo, la conoscenza e l’oblio.”

In tal modo Krsna ci fornisce varie opportunità. Se desi­deriamo Krsna, il Signore ci darà la possibilità di raggiun­gerLo, se Lo rifiutiamo, ci darà l’opportunità di dimenticarLo. Se vogliamo godere dell’esistenza senza Krsna, Dio, Egli ci fornirà tutte le facilitazioni per dimenticarLo, ma se voglia­mo godere di una vita in coscienza di Krsna, Egli ci darà l’opportunità di progredire spiritualmente. Dipende da noi. Se pensiamo di essere felici senza la coscienza di Krsna, Krsna non fa obiezioni. Yathecchasi tatha kuru. Dopo aver istruito Arjuna, il Signore disse semplicemente: “Ti ho spiegato ogni cosa. Ora agisci come credi.” Arjuna rispose immediatamente, karisye vacanam tava: “Eseguirò il Tuo ordine.” Questa è coscienza di Krsna.

Dio non ostacola la nostra minuscola indipendenza. Se desideriamo agire sulla base dell’ordine di Dio, allora Egli ci aiuta. Anche se talvolta c’è una caduta, se una persona diventa sincera pensando: “Da ora in poi rimarrò cosciente di Krsna ed eseguirò i Suoi ordini”, allora Krsna lo aiuterà. Egli riceverà il perdono ed una maggiore intelligenza. L’intelli­genza gli dirà: “Non farlo. Continua a compiere il tuo dove­re.” Ma se si desidera dimenticare Krsna e diventare felici senza di Lui, il Signore fornirà tante opportunità da farci dimenticare di Dio vita dopo vita.”

Pariksit Maharaja disse: “Non è che se nego l’esistenza di Dio allora Dio cessa di esistere o non sono più responsabile per le mie azioni.” Gli atei rifiutano Dio a causa delle loro attività colpevoli. Se pensassero che Dio esiste allora treme­rebbero per paura del castigo che li attende: perciò negano la Sua esistenza. Quando i conigli subiscono l’attacco di animali più grandi, chiudono gli occhi pensando: “Non verrò ucciso”, ma subiscono comunque la cattiva sorte. Similmente, potre­mo negare l’esistenza di Dio e delle Sue leggi, ma essi conti­nueranno a esistere. In tribunale, davanti all’Alta Corte di Giustizia l’imputato potrebbe asserire: “Non mi importa del­le leggi del Governo.” Tuttavia egli sarà ugualmente obbliga­to a rispettarle. Chi rifiuta la legge dello Stato finisce in prigio­ne e viene debitamente punito. Allo stesso modo, qualcuno potrebbe stupidamente denigrare l’esistenza di Dio in vari modi, affermando: “Dio non esiste”, oppure, “io sono Dio”, ma alla fine dovrà rendere conto delle proprie azioni, buone o cattive.

Secondo le leggi del karma o quelle del Governo, chi agisce correttamente e compie atti pii, è premiato dalla buo­na sorte, ma chi agisce in modo empio va incontro alla sof­ferenza.

Perciò Sukadeva Gosvàmì dice:

tasmàt puraivàsv iha papa-niskrtau yateta mrtyor avipadyatàtmana dosasya drstva guru-làghavam yatha bhisak cikitseta rujàm nidàna-vit

“Devi sapere che sei responsabile delle tue azioni e secondo la gravità dei tuoi peccati, devi sottoporti a qualche metodo di espiazione previsto dagli sastra ossia dalle Scritture rive­late.” (S.B. 6.1.8)

Come una persona malata va in cerca di un dottore, così sulla base del sistema vedico di vita, ci si deve rivolgere ad una classe di brahmana e farsi indicare un metodo di espiazione adatto ai peccati commessi. Ci sono diverse forme di espiazione. L’espiazione consiste nel neutralizzare un’azione empia mediante una penitenza. La Bibbia cristiana forni­sce vari esempi. Sukadeva Gosvami afferma che bisogna eseguire l’espiazione prescritta in base alla gravità delle at­tività peccaminose commesse. Secondo la gravità della ma­lattia, un medico prescrive una medicina più o meno costosa. Per un semplice mal di testa, ad esempio, prescriverà un’aspi­rina, ma nel caso di una malattia seria sarà forse necessario In intervento chirurgico del costo di migliaia di dollari. Analogamente, le attività empie sono simili a malattie, se si desidera guarire occorre seguire le cure prescritte.

Accettando la catena di nascite e morti ripetute l’anima accetta una condizione insana. L’anima non è soggetta a nascita, malattia o morte, perché è puramente spirituale. Nella Bhagavad-gita Krsna dice che l’anima non nasce (na jaiyate) e non muore (mriyate):

na jàyate mriyate va kadacin

nàyam bhútva bhavita va na bhúyah ajo nityah sàsvato ‘yam puràno

na hanyate hanyamàne sarire

«Per l’anima non vi è nascita né morte. La sua esistenza non ha avuto inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro. Essa è non nata, eterna, sempre esi­stente e primordiale. Non muore quando il corpo muore.” (B.g. 2.20)

La civiltà moderna ha un urgente bisogno di un sistema educativo che dia alla gente informazioni su ciò che accade dopo la morte. In realtà, l’attuale sistema educativo è imperfetto, perché se si ignora cosa avviene dopo la morte, si muore come può morire un animale. L’animale non sa che è soggetto alla morte o che dovrà rinascere in un altro corpo. La vita umana dovrebbe essere più elevata. Non dobbiamo interessarci unicamente delle funzioni proprie degli animali del mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi. Un essere vivente potrà anche avere un’abbondante quantità di cibo per nutrirsi, o molti bei palazzi per dormire, buone oppor­tunità di godere della vita sessuale o un efficiente sistema di difesa, ma ciò non significa che egli sia un essere umano. Una civiltà basata su tali attività è da considerarsi una civiltà di tipo animalistico. Poiché anche gli animali si impegnano in tali attività, qual è la differenza tra la vita umana e quella animale?

Si può fare una distinzione solo quando un essere umano comincia a chiedersi: “Perché mi trovo in questa condizione miserabile? C’è forse qualche rimedio? Esiste la vita eterna? Io non voglio morire e neanche soffrire. Voglio condurre un’esistenza felice e pacifica. C’è qualche possibilità che questo avvenga? Qual è il metodo o la scienza attraverso i quali ottenere tutto ciò?” Solo quando ci si pongono tali in­terrogativi comincia il vero processo di civilizzazione umana. Se non vengono posti dei quesiti, quella civiltà deve essere considerata non differente da quella animale. Gli animali e gli esseri umani con tendenze animali si preoccupano solo di garantire la possibilità di mangiare, di dormire, di accoppiar­si e di difendersi, ma in realtà tali programmi sono destinati a fallire. Il fatto è che non ci può essere una reale difesa, perché nessuno può proteggere se stesso dagli artigli della morte crudele. Hiranyakasipu, ad esempio, che desiderava vivere in eterno, si sottopose a severe austerità, ma alla fine fu sconfitto dal Signore stesso, apparso nella forma di mezzo uomo e mezzo leone, Nrsimhadeva, il quale l’uccise con i Suoi artigli. I cosiddetti scienziati sostengono che in futuro riusciranno a sconfiggere la morte grazie ai loro metodi scien­tifici, ma questa è soltanto un’altra folle affermazione. È impossibile arrestare la morte. Potremo fare grandi progres­si nel campo della conoscenza scientifica, ma non c’è soluzio­ne scientifica alle quattro sofferenze della nascita, malattia, vecchiaia e morte.

Una persona intelligente dovrebbe desiderare ardente­mente di risolvere questi quattro problemi principali – nascita, malattia, vecchiaia e morte. Nessuno desidera mo­rire, ma non c’è rimedio. Tutti dobbiamo morire. Tutti sono molto ansiosi di arrestare l’inesorabile incremento della popolazione attraverso l’impiego di metodi contraccettivi, eppure le nascite continuano. Né la morte né la nascita possono essere arrestate. E neanche alla malattia e alla vecchia­ia si può porre rimedio, nonostante le recenti scoperte nel campo della medicina.

Si potrebbe anche pensare di aver risolto tutti i problemi della propria esistenza, ma dov’è la soluzione a questi quat­tro problemi della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte? La soluzione è la coscienza di Krsna. Ad ogni istante il nostro corpo si deteriora e l’ultima fase di questo processo è chiamata morte. Ma Krsna dice anche:

janma karma ca me divyam evam yo vetti tattvatah tyaktva deham punar janma naiti mam eti so ‘rjuna

“Colui che conosce la natura trascendentale della Mia appa­rizione e delle Mie attività, o Arjuna, non dovrà più nascere in questo mondo materiale quando avrà lasciato il corpo, ma raggiungerà la Mia eterna dimora.” (B.g. 4.9)

Cosa accade a tale individuo? Mam eti. Egli ritorna a Krsna. Per tornare da Krsna dobbiamo preparare un corpo spirituale. Tale preparazione consiste nel metodo della coscienza di Krsna. Colui che si mantiene in coscienza di Krsna prepara gradualmente il suo prossimo corpo, un corpo di natura spirituale che lo condurrà immediatamente a Krsna­loka, la dimora di Krsna, dove vivrà eternamente una vita felice.

CAPITOLO 3

Imparare ad amare

Le Scritture prescrivono metodi di espiazione adeguati, secondo le varie forme di contaminazione derivanti dalle attività colpevoli, Sukadeva Gosvami afferma che la perso­na che si sottopone al processo di espiazione prima che la morte sopraggiunga, nella vita successiva non sarà soggetto a cadute. In caso contrario porterà con sé le reazioni deri­vanti dalle attività empie e andrà incontro a molte sofferen­ze. Secondo la legge, chi uccide un altro uomo dovrà a sua volta essere ucciso. Questo concetto di “una vita per una vita” non è per niente nuovo; esso è riportato anche nella Manu-samhita, il libro vedico di legge destinato all’umanità, in cui si afferma che quando un re fa impiccare l’assassino, questi in realtà ne trae beneficio, perché, se non viene ucciso in questa vita, porterà con sé le reazioni del suo crimine e dovrà soffrire in molti modi.

Le leggi della natura sono molto sottili e vengono appli­cate molto diligentemente, anche se la gente le ignora. La Manu-samhita sancisce il concetto della “vita per la vita”, concetto applicato anche in varie parti del mondo. Simil­mente, esistono altre leggi che affermano perfino la responsabilità dell’uccisione di una formica. Poiché non siamo in grado di creare, non abbiamo il diritto di uccidere alcun essere vivente; perciò le leggi formulate dagli uomini, che fanno distinzione tra l’uccisione di un uomo e l’uccisione di un animale, sono imperfette. Ma se ci sono delle imperfezio­ni nelle leggi fatte dall’uomo, non ci possono essere difetti in quelle fatte da Dio. Secondo le leggi di Dio, l’uccisione di animali è condannabile quanto quella di un uomo. Coloro che fanno distinzione fra questi due crimini stanno architettando le loro leggi in base ai propri comodi. Perfino nei Dieci Comandamenti è detto: “Non uccidere.” Questa legge è perfetta, ma speculando e discriminando, gli uomini ne dan­no un’interpretazione distorta. “Non devo uccidere gli uo­mini ma posso uccidere gli animali.” In tal modo la gente inganna se stessa ed è causa di sofferenza per sé e per gli altri. Ad ogni modo, le leggi di Dio non giustificano un simile comportamento.

Tutti sono creature di Dio, anche se sono situati in dif­ferenti corpi o abiti. Dio è considerato il Padre Supremo. Un padre può avere molti figli, alcuni dei quali più intelli­genti di altri, ma se un figlio intelligente dice a suo padre: “Mio fratello non è molto intelligente, permettimi di ucci­derlo”, pensate forse che il padre acconsenta a una simile richiesta? Egli non accetterà mai che un figlio poco intelli­gente venga ucciso da un altro figlio, soltanto perché è di peso. Così, se Dio è il Padre Supremo, per quale motivo dovrebbe approvare l’uccisione di animali che sono anch’essi Suoi figli? Nella Bhagavad-gita il Signore dichiara ad Arjuna che tutte le 8.400.000 specie viventi sono Suoi figli. “Ed Io sono il padre che dà il seme”, dice il Signore. Proprio come nella procreazione materiale ordinaria, il padre dà il seme e la madre rende possibile lo sviluppo del feto fornendogli il sangue necessario, così gli esseri viventi, frammenti infi­nitesimali del Padre Supremo, sono fecondati dal Signore all’interno della natura materiale.

L’anima spirituale ha una dimensione infinitesimale: Le Scritture indicano tale dimensione col termine kesagra, la decimillesima parte della punta di un capello. Possiamo dif­ficilmente immaginare un minuscolo punto diviso in dieci­mila parti: In altre parole, è così minuscolo che non può essere percepito neanche con un potente microscopio. La dimensione della scintilla spirituale è così infinitesimale da risultare invisibile all’occhio umano. Tutte queste informazioni ci vengono date dalle Scritture, ma poiché siamo sprov­visti di un’adeguata capacità visiva, non possiamo vedere l’anima. Sebbene i nostri occhi materiali non possano perce­pire le sue dimensioni, l’anima è presente tuttavia all’inter­no del corpo, e appena lo abbandona, trasmigra in un altro corpo, secondo le azioni compiute nella vita precedente.

Dovremmo sempre considerare che dietro a tutte queste attività c’è un controllore supremo. L’essere vivente agisce nel mondo materiale proprio come un impiegato che compie il proprio lavoro e la cui prestazione viene annotata sul re­gistro di lavoro. L’essere vivente non conosce l’opinione che il suo superiore ha di lui, ma la sua nota di servizio viene in ogni caso tenuta in ufficio, e a seconda delle sue attività, gli verrà conferita una promozione o un aumento di stipendio, oppure potrà essere abbassato di grado o addirittura licen­ziato. In modo analogo, tutte le nostre azioni sono sorveglia­te da testimoni. Nelle Scritture è detto che gli esseri viventi sono soggetti a un controllo superiore e vengono premiati o puniti sulla base delle loro azioni. Ora possediamo un corpo umano, ma nella prossima vita potremmo non averlo; potremmo ritrovarci in qualche altra forma di vita, superiore o inferiore. La forma corporea è stabilita dai nostri superiori. Generalmente l’essere vivente ignora la scienza della trasmigrazione dell’anima da un corpo all’altro.

L’anima spirituale trasmigra anche nel corso di una stes­sa esistenza, dal momento che il corpo è soggetto a muta­menti. All’inizio, quando il corpo è manifestato nel grembo materno, è molto piccolo, ha le dimensioni di un pisello, poi gradualmente sviluppa nove aperture due occhi, due orec­chi, le due narici, la bocca, l’orifizio genitale e l’ano. In tal modo, il corpo cresce e rimane nel grembo materno il tempo necessario a svilupparsi. Quando è sufficientemente svilup­pato, viene alla luce e cresce ulteriormente. La crescita com­porta un cambiamento di corpo. Tale impercettibile cambia­mento, non può essere avvertito dall’essere vivente. Nell’infanzia avevamo un corpo piccolo che ora non esiste più; perciò possiamo dire di aver cambiato corpo. Similmente, a causa della natura di tutto ciò che è materiale, quando que­sto corpo cesserà di funzionare, dovremo sostituirlo. Tutto ciò che è materiale si deteriora e, proprio come una macchi­na rotta o un vecchio pezzo di stoffa, dopo un certo periodo, il corpo diventa inutilizzabile.

Sebbene questo processo di crescita continui, l’attuale sistema educativo delle moderne università, definito un si­stema avanzato, sfortunatamente non se ne occupa. Senza la conoscenza spirituale non può esistere vera educazione. Si può imparare a guadagnarsi da vivere, a mangiare; a dormire e ad accoppiarsi anche senza un’educazione formale. Gli animali non sono educati, non sono dei tecnici e non possie­dono lauree universitarie, eppure anch’essi si dedicano alle attività del mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi. Un sistema educativo che si limiti a insegnare queste attività, non merita di essere definito tale. La vera educazione è quella che ci rende capaci di capire chi siamo. A meno di sviluppare la coscienza, comprendendo la verità del sé, tutte le azioni di un uomo sono compiute sotto l’influenza dell’ignoranza. La vita umana è fatta per vincere le leggi della natura materiale. In realtà stiamo tutti cercando di ottenere questa vittoria al fine di neutralizzare gli attacchi della natura materiale. La massima vittoria per l’uomo consiste nel conquistare la na­scita, la malattia, la vecchiaia e la morte, ma noi abbiamo trascurato questo punto importante.

Se il sistema educativo si occupasse di insegnare una corretta utilizzazione delle risorse di Dio, sarebbe migliore. I cereali e la frutta di cui ci nutriamo vengono forniti da Dio, il Quale assicura il cibo a tutti gli esseri viventi. Nello Srimad ­Bhagavatam è detto, jivo jivasya jivanam: “Ogni essere vi­vente è cibo per un altro (S.B. 1.13.47). Gli animali privi di mani fanno da cibo agli animali dotati di mani, come l’uomo. Gli animali che non possiedono quattro zampe fanno da cibo ad animali che ne sono dotati. Anche l’erba è un essere vivente, ma è priva di arti con cui muoversi e così viene mangiata dalle mucche e da altri animali. Così gli esseri im­mobili sono cibo per gli animali mobili, e in tal modo nel mondo c’è una lotta costante tra sfruttatori e sfruttati. Il più debole è sfruttato dal più forte; questa è la legge della natura. Tradizionalmente, i Vaisnava, ossia devoti di Krsna, non mangiano carne, non soltanto al fine di sostenere il vegeta­rianesimo, ma soprattutto al fine di favorire la coscienza di Dio. Se vogliamo diventare coscienti di Dio bisogna seguire alcune regole e norme. È naturale che una persona debba nutrirsi, ma la proposta è di cibarsi dei resti del cibo offerto a Krsna. Questa è anche la filosofia della Bhagavad-gita, in cui Krsna dice:

patram puspam phalam toyam yo me bhaktya prayacchati tad aham bhakti-upahrtam asnàmi prayatàtmanah

“Se qualcuno Mi offre con amore e devozione una foglia, un fiore, un frutto o dell’acqua, accetterò la sua offerta.” (B.g. 9.26)

Non è che Krsna sia affamato e stia mendicando del cibo da noi. Questa offerta ha lo scopo di creare uno scambio amorevole. Krsna desidera questo scambio: “Tu ami Me, io amo te.” Se Dio, la Sua energia, crea e sostiene ogni cosa, perché dunque Egli dovrebbe mendicare da noi una foglia, un frutto o un po’ d’acqua? Egli sarà molto compiaciuto, ad ogni modo, se noi Gli offriamo della frutta, una foglia e dell’acqua con amore, dicendo: “Krsna, io sono talmente povero che non posso offrirTi niente. Sono riuscito a procu­rarmi solo un frutto e una foglia: Accettali, Ti prego.” Tale offerta renderebbe Krsna molto felice. Se Egli accetta ciò che Gli offriamo, la nostra vita avrà successo perché faremo realmente amicizia con Krsna. Frutta, fiori e acqua sono disponibili praticamente in ogni parte del mondo, e ogni uomo, ricco o povero che sia, può procurarseli e offrirli a Dio. Dovremmo ricordarci dunque che non è il fatto di es­sere vegetariani ciò che conta, né il fatto che Dio ha bisogno di qualcosa. Siamo noi che dobbiamo imparare ad amare Krsna.

L’amore comincia da questo scambio. Noi diamo qualco­sa al nostro amato ed Egli dà qualcosa a noi e in tal modo l’amore si sviluppa. Ogni volta che viviamo una relazione d’amore con un ragazzo o una ragazza, un uomo o una don­na, noi diamo e riceviamo qualcosa. Così Krsna ci insegna a dare e a ricevere. Krsna ci esorta dicendo: “Cerca di amarMi. Impara ad amarMi. OffriMi qualcosa.”

“Signore”, potremmo rispondere: “Io non ho niente da offrirTi.”

“Oh, non puoi procurarti della frutta, un fiore, una foglia o dell’acqua?’

“Oh sì, perché no?” Tutti possono procurarsi queste cose. Questo è dunque il metodo della coscienza di Krsna che ci permette di stabilire un’amicizia con Krsna. Possiamo stabilire un qualsiasi numero di relazioni con Krsna. Possia­mo diventare Suoi diretti servitori o, a uno stadio più eleva­to, il padre, la madre o l’amante di Krsna. Krsna è pronto a stabilire una relazione d’amore con tutti gli esseri viventi. In realtà questa relazione è già esistente perché Egli è il Padre Supremo e noi siamo Suoi frammenti infinitesimali. Poiché il figlio. è parte del corpo del padre, la relazione tra loro non può essere interrotta; può essere dimenticata per un certo tempo, ma appena una persona riconosce il proprio padre o il proprio figlio, immediatamente l’affetto si sviluppa. Si­milmente, noi abbiamo una relazione eterna con Krsna, ma al momento presente l’abbiamo dimenticata. Per conseguen­za l’essere vivente pensa erroneamente di non avere alcuna relazione con Krsna: Poiché siamo Suoi frammenti la nostra relazione con Lui è eterna, deve soltanto essere risvegliata. Questo risveglio non è altro che il processo della coscienza di Krsna.

Attualmente, siamo soggetti all’influenza di una diversa coscienza. Qualcuno pensa di essere indiano, un altro pensa di essere americano e un altro ancora pensa: “Io sono que­sto”, “io sono quello.” In tal modo ci creiamo tante identità artificiali, ma la nostra vera identità è quella che ci fa dire: “Io appartengo a Krsna.” Quando pensiamo così, stiamo pensando in modo cosciente di Krsna. Solo allora l’amore universale per tutti gli esseri viventi può essere stabilito. Krsna ha una relazione di eterno padre con ognuno di noi e per conseguenza, quando stabiliamo una relazione coscien­te di Krsna, instauriamo anche una connessione con tutti gli altri esseri. Quando un individuo si sposa, automaticamente stabilisce una relazione con la famiglia della sposa. Nello stesso modo, se noi ristabiliamo la nostra relazione originale con Krsna, stabiliremo anche la nostra vera relazione con gli altri. Questa è la base per l’autentico amore universale. Se non stabiliamo la nostra relazione con Colui che è il centro di tutto, l’amore universale è artificiale e non può durare. Un individuo nato in America si considera americano, e così altri americani diventano i membri della sua famiglia, ma se è nato altrove, non ha alcuna relazione con gli americani. Sulla piattaforma materiale tutte le relazioni sono relative. Ad ogni modo, la nostra relazione con Krsna è eterna e non è soggetta a tempo e circostanza. Ristabilendo la nostra relazione con Krsna, le questioni di fratellanza universale, di giustizia, di pace e prosperità saranno risolte. Senza Krsna, non c’è modo di realizzare questi alti ideali. Se manca il punto centrale, come ci può essere pace e fratellanza?

La Bhagavad-gita riporta chiaramente la formula della pace. Dobbiamo capire che Krsna è l’unico beneficiario. È possibile sviluppare questa coscienza in un tempio cosciente di Krsna, dove Dio rappresenta il centro di ogni attività. Si cucina per Krsna, non per la nostra gratificazione personale; dopodiché si prende il prasadam (cibo offerto a Krsna). Tuttavia, mentre cuciniamo dovremmo pensare che lo stia­mo facendo per Krsna e non per noi stessi. Quando i membri di un tempio vanno per le strade, non lo fanno per un motivo personale, ma agiscono al fine di distribuire la letteratura cosciente di Krsna e per rendere la gente consapevole del­l’esistenza di Dio. Tutto il ricavato è speso per Krsna, per diffondere il Suo messaggio in molti modi. Questo sistema di vita, in cui ogni cosa è fatta per Krsna, favorisce lo sviluppo della giusta coscienza. Non è necessario abbandonare le proprie attività, dobbiamo soltanto comprendere che stia­mo agendo per Krsna e non per la nostra soddisfazione per­sonale. In tal modo, possiamo ristabilire la nostra coscienza originale e ottenere la felicità. Fino a quel momento, siamo soggetti all’influenza di una forma di pazzia. Chi non è co­sciente di Krsna dev’essere considerato un pazzo perché vive a un livello temporaneo e transitorio. Ma poiché siamo eter­ni, le attività temporanee non ci riguardano. Poiché siamo eterni, le nostre occupazioni dovrebbero essere eterne. Tali occupazioni consistono nel rendere servizio a Krsna con amore.

Krsna è l’Eterno Supremo, e noi siamo Suoi eterni subor­dinati. Krsna è il Supremo essere vivente e noi siamo esseri viventi subordinati. Il dito è parte integrante dell’intero cor­po e la sua eterna funzione è di servire il corpo. In realtà, questa è la vera funzione del dito, e se è incapace di servire il corpo intero, è malato o inutile. Analogamente noi siamo frammenti infinitesimali di Krsna e dobbiamo servirLo ed esserGli subordinati, perché Egli è il Padre Supremo e prov­vede a tutte le nostre necessità. Questa vita di subordinazione a Krsna è una vita sana ed è la vera liberazione. Coloro che cercano di negare l’esistenza di Dio, e rifiutano qualsiasi relazione con Lui, conducono una vita colpevole.

Sukadeva Gosvami e Mahàràja Parìksit discussero tale argomento. Mahàràja Parìksit era ansioso di salvare le anime condizionate dalle loro condizioni infernali. È il naturale desiderio di un Vaisnava salvare l’umanità sofferente. Ge­neralmente, la gente comune non si preoccupa delle soffe­renze di altri individui, ma un Vaisnava, un devoto del Si­gnore, pensa sempre al modo di alleviare là condizione ca­duta della gente. I Cristiani credono che attraverso la Sua crocifissione Gesù Cristo si fece carico delle attività colpe­voli della gente del mondo. Un esempio ci è dato da Vasudeva Datta, un compagno di Sri Caitanya. Egli disse al Signore: “Ora che sei venuto, Ti prego, libera tutti gli abitanti di questo pianeta e conducili a Vaikuntha, nel mondo spirituale. Se pensi che siano così colpevoli da non meritare la liberazione; allora Ti prego, trasferisci su di me tutti i loro peccati e io soffrirò per loro.” Tale è la misericordia di un Vaisnava. Ad ogni modo, non è che Gesù Cristo o Vasudeva Datta debba­no fare un contratto per prendere sudi sé tutti i nostri peccati in modo che noi possiamo continuare a commetterli. Questa è una proposta infame. Un Vaisnava, un devoto, può decide­re di soffrire per tutta l’umanità, ma la razza umana o i disce­poli di quel particolare devoto non dovrebbero approfittare di questa facilitazione per continuare a peccare. Poiché Gesù Cristo o Vasudeva Datta hanno sofferto per loro; essi do­vrebbero piuttosto realizzare che è meglio evitare di agire in modo empio.

In realtà, ognuno è responsabile dei propri peccati. Per­ciò Sukadeva Gosvami raccomanda, tàsmat puràivàsv iha papa-niskrtau: chi si vuole liberare da tutte le reazioni dei peccati commessi, fino a che è in possesso di un corpo mate­riale, deve sottoporsi all’espiazione. Yateta mrtyor avipadya-tatmana dosasya drstva guru-làghavam yatha bhisak cikitseta rujam nidana-vit. In base alle proprie attività colpevoli, biso­gna accettare una determinata forma di espiazione. Com’è stato menzionato prima, esistono differenti forme di espiazione, a seconda delle varie attività commesse. In ogni caso, prima che la morte sopraggiunga, bisogna fare penitenza in modo da non vedersi costretti a portare con sé tali peccati nella vita successiva ed essere quindi costretti a soffrire. Se non ci si sottopone all’espiazione, la natura non ci perdone­rà. Dovremo soffrire gli effetti dei nostri peccati nella pros­sima vita. Questo legame alle proprie attività materiali è detto karma-bandhanah:

yajnàrthàt karmano ‘nyatra loko ‘yam karma-bandhanah tad-artham karma kaunteyà mukta-sàngah sàmàcara

“L’attività dev’essere compiuta come sacrificio a Visnu, al­trimenti lega il suo autore al mondo materiale. Per questa ragione, o figlio di Kunti, compi i tuoi doveri per la soddisfa­zione di Visnu e resterai per sempre libero dai legami della materia.” (B.g. 3:9)

Colui che uccide un animale per cibarsi della sua carne, sarà legato da tale azione. Così nella vita successiva, pren­derà il corpo di una mucca o di una capra e l’animale ucciso precedentemente, prenderà il corpo di uomo e se ne ciberà. Questo è ciò che affermano le Scritture vediche: E come, per tutte le ingiunzioni vediche, ognuno è libero di crederci o no. Sfortunatamente oggi la gente è educata in tal modo, da non credere più nell’esistenza di una prossima vita. A dire il vero, sembra quasi che quanto più l’istruzione au­menta tanto meno si crede in Dio e nelle Sue leggi, nell’esi­stenza di una prossima vita o nelle attività colpevoli e pie. Così l’educazione moderna sta preparando gli uomini a d diventare animali. In mancanza di un’educazione che inse­gni all’uomo la sua vera identità, ossia la sua distinzione dal corpo, l’uomo resta simile a un animale. Anche l’asino, come tutti gli altri animali, pensa: “Io sono questo corpo.” Qual è dunque la differenza tra lui e un qualsiasi animale? Lo Srimad-Bhagavatam afferma:

yasyàtma-buddhih kunape tridhàtuke sva-dhih kalatradisu bhauma ijyadhih yat tirtha-buddhih salile na karhicij janesv abhijnesu sa eva gokharah

“La persona che identifica il proprio sé con il corpo inerte composto di muco, bile e aria, che considera la moglie e la famiglia sua proprietà permanente, che vede in un’immagi­ne fatta di terra o nel paese in cui è nato, cose degne di adorazione, oppure valuta un luogo di pellegrinaggio unica­mente per l’acqua che vi si trova, senza identificarsi mai con coloro che sono saggi nella verità spirituale, né sentire affi­nità per loro, senza adorarli e neanche visitarli- tale perso­na non è migliore di una mucca o di un asino.” (S.B.10.84.13) Secondo l’Ayur Veda, il corpo materiale è costituito di tre elementi, kapha, pitta e vàtaih, muco, bile e aria. All’interno del corpo c’è una macchina complessa che trasforma il cibo in liquidi. Avvengono anche molti altri processi complicati, ma cosa ne sappiamo? Noi diciamo: “Questo è il mio corpo”, ma cosa ne sappiamo del corpo? Alcuni osano affermare: “Io sono Dio”, ma ignorano perfino ciò che accade all’inter­no del loro corpo.

Il corpo è un sacco pieno di escrementi, urina, sangue e ossa. È da sciocchi credere che l’intelligenza derivi da questi elementi. Siamo in grado di creare l’intelligenza, attraverso un miscuglio di escrementi, urina, sangue e ossa? Malgrado ciò, la gente continua a pensare: “Io sono questo corpo.” Perciò le Scritture affermano che chiunque consideri il cor­po il suo vero sé, e consideri proprie le relazioni basate sul corpo con moglie, figli e parenti, è soltanto un illuso. La parola kalatra significa moglie, e adi significa inizio. Poiché un uomo si sente solo, accetta una moglie e immediatamente vengono dei bambini e poi dei nipoti. In tal modo ci si espan­de: Stri significa “colei che espande.” Così kalatràdisu signi­fica “l’espansione del sé” a cominciare dalla moglie. La pa­rola bhauma si riferisce alla terra natale, che l’ignorante considera degna di adorazione, ijyadhih. Gli uomini sacrifi­cano la loro vita per la terra in cui sono nati, ma ignorano che la terra, il corpo, la moglie, i figli, il paese e la società, in realtà, non hanno niente a che vedere con loro. Noi siamo anime spirituali (aham brahmàsmi). Questa è la realizzazio­ne della conoscenza; quando giungiamo a tale livello di co­noscenza ci sentiamo felici.

brahma-bhútah prasannàtma na socati na kanksati samah sarvesu bhútesu mad-bhàktim labhate paràm

“Colui che ha così raggiunto la Trascendenza realizza subito il Brahman Supremo e diventa felice. Non si lamenta, non ha desideri di possesso ed è equanime verso tutti gli esseri viven­ti. In questa condizione può servirMi con una devozione pura.” (13.g. 18.54). Colui che comprende: “Io sono un’anima spiri­tuale, io sono Brahman. Io non sono questa materia”, diventa immediatamente felice (prasannàtma). Il segno visibile di questa felicità è che tale individuo non è più in balia di desi­deri ardenti o del lamento. In questo mondo tutti sono sog­getti al lamento per ciò che hanno perso e al desiderio ardente di qualche guadagno materiale, ma il vero guadagno consiste nel comprendere se stessi e conoscere la propria identità.

Finché manterremo una concezione corporea dell’esi­stenza, dovremo attenerci alle leggi della natura materiale, a quelle dello Stato e a tutte le altre leggi. Quindi questo corpo è detto condizionato, perché è soggetto a numerose condizioni. Ci sono diverse condizioni, e indipendentemen­te dalla condizione cui siamo soggetti, siamo ugualmente responsabili. Se non espiamo i peccati commessi mentre sia­mo ancora in questo corpo, dovremo soffrire nel prossimo corpo, perché esso ci verrà dato sulla base del nostro karma. Yam yam vàpi smàran bhàvam tyajaty ante kalevaram. Que­sta è la legge della natura. Sukadeva Gosvami raccomanda dunque di sottoporsi all’espiazione sulla base della gravità dei propri peccati, seguendo i metodi prescritti dagli sastra, altrimenti non c’è salvezza.

Pariksit Mahàràja, che era una grande personalità, disse: “Attraverso l’espiazione ci si libera dalle attività peccami­nose; ma supponiamo che un uomo commetta un assassinio e in conseguenza di ciò venga condannato a morte, la reazio­ne colpevole prodotta dal suo crimine viene così neutraliz­zata, ma niente ci garantisce che nella vita successiva que­st’uomo non uccida nuovamente.” Così Pariksit Mahàràja osservò che dopo essersi sottoposte all’espiazione, le perso­ne continuano a peccare. Se un uomo è malato, il dottore può dargli una cura e guarirlo, ma ciò non significa che egli non subisca ancora un attacco di quello stesso male. Le malattie veneree sono spesso contratte più di una volta, malgrado le cure; così un ladro potrebbe continuare a ruba­re, sebbene sia stato più volte in prigione. Per quale motivo? Mahàràja Parìksit osservò che, sebbene l’espiazione sia in grado di neutralizzare le attività peccaminose commesse in passato, non impedisce che tali peccati vengano ulterior­mente commessi. Tutti sanno che l’assassino viene punito, ma il fatto di saperlo non basta a dissuadere una persona dal commettere tale crimine. In ogni Scrittura come in ogni libro di legge è raccomandato di non uccidere, eppure nessuno prende in considerazione tale ingiunzione. Qual è il rimedio per tale problema? Drsta-srutàbhyàm yat pàpam. Grazie all’esperienza pratica e ascoltando dalle autorità, tutti pos­sono conoscere qual è l’attività colpevole e nessuno può dire: “Io non so che cosa sia la colpa.” Che valore ha l’espiazione se continuiamo a commettere gli stessi peccati anche dopo aver fatto penitenza? Kvacin nivartate ‘bhadràt kvacic carati tatpunàh pràyascittam ato ‘pàrtham manye kunjara-saucavat (S. B. 6.1.9). Quando una persona viene punita, pensa: “Che grave sbaglio ho fatto! Non lo farò mai più.” Ma non appena è fuori pericolo, egli peccherà nuovamente.

L’abitudine è la nostra seconda natura; cambiare è molto difficile. Svà yadi kriyate ràja / tat kim nàsnàty upànaham (Hitopadesa): si potrà anche far sedere un cane su di un trono, ma non appena questi vedrà una scarpa salterà subito giù per rincorrerla, per il semplice fatto che è un cane. Gli attributi canini sono presenti, e non si possono cambiare semplicemente ponendo l’animale su di un trono. Similmen­te, a causa del contatto con le tre influenze della natura materiale -sattva guna, rajo guna e tamo guna- noi abbia­mo acquisito delle qualità materiali e le nostre abitudini si sono formate a causa del contatto con queste tre qualità, virtù, passione e ignoranza. Solo se ci allontaniamo da que­ste tre influenze, risveglieremo la nostra natura spirituale. Questo è il processo della coscienza dì Krsna. Per la persona cosciente di Krsna non esiste il rischio di contatto con le tre influenze della natura materiale; la propria natura viene au­tomaticamente riscoperta. Questo è il segreto. Coloro che seguono seriamente il metodo della coscienza di Krsna, nonostante le loro cattive abitudini, si situano su una piattaforma libera dalla contaminazione materiale solo in virtù della loro pratica devozionale.

La coscienza di Krsna è dunque un’eccellente medicina. Se non si risveglia la propria coscienza di Krsna, le abitudini nate al contatto con le tre influenze della natura materiale perdureranno e cambiarle risulterà impossibile. Se si desi­dera veramente liberarsi dal ciclo di nascite e morti ripetute, bisogna diventare coscienti di Krsna. Sri Krsna dice nella Bhagavad-gita:

mam ca yo ‘vyabhicàrena bhakti-yogena sevate sa gunàn samatityaitàn brahma-Bhúyàya kalpate

“Chi s’impegna completamente nel servizio devozionale, senza deviare in nessuna circostanza, trascende subito le tre influenze della natura materiale e raggiunge il livello del Brahman.” (B.g. 14.26)

Il processo della coscienza di Krsna non raccomanda questo o quel metodo di espiazione. Si può andare avanti a fare penitenze, ma i mali dell’anima perdureranno fino a che non si giunge alla piattaforma del servizio devozionale com­piuto con amore e ad un livello puro di esistenza.

CAPITOLO 4

Imparare tapasya, il controllo del sé

Se non si adotta la coscienza di Krsna, ci si libera solo temporaneamente dalle reazioni della attività colpevoli, ma ben presto si ritorna a peccare. Perciò Pariksit Maharaja disse, kvacin nivartate ‘bhakràt kvacic carati tat punah pràyascittam ato ‘pàrtham: “Il fatto di commettere ripetuta­mente atti colpevoli, e sottoporsi poi a penitenza, non è altro che una perdita di tempo.” Egli fa l’esempio di un elefante che pulisce il suo corpo minuziosamente in un lago o in uno stagno, ma appena torna a riva si cosparge nuovamente di terra e torna a sporcarsi. Così Pariksit Maharaja disse che sebbene l’espiazione abbia il potere di purificare un indivi­duo, tale pratica è del tutto inutile, se chi la compie commet­te di nuovo gli stessi atti colpevoli. Perciò la seconda doman­da fatta da Pariksit Maharaja a Sukadeva Gosvami è molto importante: come ci si può liberare definitivamente da tutte le contaminazioni causate dalle tre influenze della natura materiale? A che serve l’espiazione se con tale metodo non si raggiunge la liberazione?

Sukadeva Gosvami rispose che non basta annullare il karma, le attività interessate, con altre azioni, al fine di porre ; un termine definitivo alle proprie sofferenze. Le Nazioni Unite, per esempio, stanno cercando di stabilire la pace nel mondo, ma non riescono a fermare la guerra. Essa continua a scoppiare in varie parti del mondo. Dopo la prima guerra mondiale, uomini di Stato e diplomatici fondarono la Lega delle Nazioni. Ma poi venne la seconda guerra mondiale, e ora essi hanno creato le Nazioni Unite. Ma la guerra è ancora presente sul pianeta. Lo scopo reale è quello di fermare la guerra, ma ciò risulta impossibile. Essa esplode in seguito a un’azione, ed è temporaneamente interrotta da un’altra azione, ma di nuovo, alla prima occasione, ci sarà un’altra guerra. Il ciclo delle attività peccaminose e delle successive penitenze è simile a questo. Desideriamo veramente liberar­ci dalla guerra e dalla sofferenza, ma ciò non avviene.

Sukadeva Gosvami disse che ogni guerra causa un certo tipo di disturbo e un’altra guerra lo interrompe temporanea­mente, senza però trovare la soluzione definitiva. Sukadeva Gosvami afferma che tutti questi problemi sono dovuti al­l’ignoranza: avidvad-adhikàritvàt. Avidvat significa “man­canza di conoscenza.” Avidvat-adhikàritvàt pràya-scittam vimarsanam. La vera espiazione è quella eseguita in cono­scenza. Perché ci sono guerre e sofferenze? Se non ci si pongono tali quesiti, che nei Veda sono detti Kena Upanisad, allora ci si sottrae alla vera funzione della vita umana. Dob­biamo porci queste domande: “Perché soffro? Da dove ven­go? Qual è la mia posizione costituzionale? Dove andrò dopo la morte? Perché mi trovo in questa condizione mise­rabile? Perché esistono la nascita, la morte, la malattia e la vecchiaia?”

Come rispondere a tali interrogativi? Sukadeva Gosvàmí dice: nàsnatah pathyam evànnam vyàdhayo ‘bhibhavanti hi /evam niyamakrd ràjan sanaih ksemàya kalpate. Se deside­riamo veramente fermare la malattia della nostra esistenza, dobbiamo seguire un principio regolatore. Se il malato non segue il programma del medico curante, non può guarire. Similmente; se una persona non pensa o agisce in modo sag­gio, sulla base della conoscenza vedica, come può porre fine ai problemi della vita? Con la semplice espiazione si avrà una temporanea eliminazione delle difficoltà, ma queste tor­neranno presto a farsi sentire.

Sukadeva Gosvami afferma che nella vita materiale sia­mo costretti a peccare e a subire le conseguenze dei nostri atti colpevoli: Questa è la realtà. Se vogliamo porre fine a questo ciclo di sofferenze e punizioni, dobbiamo avanzare nella conoscenza. Le persone comuni, i karmi, agiscono in modo interessato; lavorano giorno e notte per ottenere dei risultati soddisfacenti e continuano a soffrire. Così i loro problemi non trovano mai soluzione. Lo Srimad-Bhagavatam consiglia dunque di elevarsi alla piattaforma della conoscen­za. Per prima cosa occorre sottoporsi al tapasya, l’accettazio­ne di austerità. Se un dottore consiglia al paziente diabetico di digiunare per qualche giorno, sebbene non sia una cosa molto piacevole, egli dovrà accettare volontariamente que­sta istruzione, se desidera guarire. Questo è il tapasya: l’ac­cettazione volontaria di una condizione spiacevole. La capa­cità di fare ciò porta dei benefici e la vita umana è fatta per tale proposito. In realtà, la cultura vedica prescrive il tapasya; i n India, infatti, si vedono molti tapasvi che si sottopongono ad austerità. In inverno, essi stanno in piedi nell’acqua a meditare; quando fa molto freddo non è una cosa molto piacevole, ma essi lo fanno volontariamente. In estate inve­ce, accendono dei fuochi tutto intorno a loro e si siedono nel mezzo a meditare. Questi sono esempi di severe austerità, compiute dagli asceti in India.

Un po’ di tapasya è certamente richiesto, altrimenti, non è possibile avanzare nella vita spirituale o nella conoscenza. Se ci impegniamo, semplicemente a soddisfare le tendenze animalesche del mangiare, dormire, accoppiarsi e difender­si, rifiutando di compiere il tapasya, la vita umana è un vero fallimento. A chi desidera diventare un membro iniziato del nostro Movimento per la Coscienza di Krsna, chiediamo per prima cosa di sottoporsi al tapasya. Specialmente nei paesi occidentali, il fatto di rinunciare alla vita sessuale ille­cita, all’uso di intossicanti, al consumo di carne e al gioco d’azzardo costituisce un grande tapasya. Malgrado si richie­dano solo queste austerità, risulta molto difficile osservarle. In Inghilterra, un ricco aristocratico chiese a un confratello Vaisnava: “Swàmiji, puoi farmi diventare brahmana?” Lo Swàmiji rispose: “Perché no? Devi solo osservare questi quattro princìpi – niente sesso illecito, intossicanti, gioco d’azzardo e consumo di carne.” “Impossibile”, rispose l’in­glese. Sì, è impossibile, perché in Europa e in America, l’in­dulgenza verso se stessi è la base dell’educazione fin dalla nascita. I gentiluomini indiani si recano spesso in Occidente per apprendere queste libertà e in questo modo credono di avanzare. Grazie alla cultura vedica, gli indiani apprendono automaticamente il tapasya, ma vanno in America per di­menticare la loro cultura e accettare un nuovo stile di vita. Comunque la realtà è: se si desidera avanzare nella com­prensione spirituale, e porre fine ai problemi dell’esistenza, bisogna accettare una vita di tapasya – di austerità e restri­zioni.

Le restrizioni sono fatte per gli esseri umani non per gli animali. Noi incontriamo quotidianamente restrizioni an­che nelle nostre faccende ordinarie. Non possiamo guidare l’automobile sul lato sinistro della strada, né passare col semaforo rosso senza rischiare una sanzione da parte della legge. Ma se un cane cammina sul lato sinistro della strada o attraversa col rosso, non viene punito, perché è un anima­le. La legge fa dunque distinzione tra l’essere umano e l’animale, perché si suppone che gli esseri umani abbiano una coscienza più avanzata. Se non seguiamo le regole e le nor­me, cadiamo nuovamente nell’animalismo. A quanto pare oggi, si sta diffondendo un concetto di libertà inteso come l’opposto di una vita regolata, ma colui che ha una giusta visione delle cose può capire che libertà da ogni restrizione significa vita animale. Perciò Sukadeva Gosvami raccoman­da il tapasya: Se desideriamo veramente essere liberi da tutti i problemi dell’esistenza, dobbiamo accettare una vita di austerità, unica alternativa alla schiavitù della vita mate­riale.

In che cosa consiste il tapasya, l’austerità? Il primo prin­cipio dell’austerità è il brahmacarya, la vita sessuale limitata. Il vero significato di brahmacarya è “completo celibato”; secondo la cultura vedica, all’inizio della propria vita si de­vono seguire strettamente le regole del brahmacarya. Una volta cresciuto, il brahmacari può sposarsi ed entrare a far parte del grhastha asrama. II grhastha può avere relazioni sessuali, ma nella vita di brahmacarya, si raccomanda uno stretto celibato. Nell’era attuale le persone si sono degrada­te per mancanza di tapasya, perché nessuno insegna loro a vivere secondo questo principio. La critica è di per sé inutile: bisogna essere efficacemente addestrati al tapasya.

I Veda affermano che chiunque conduca una vita regola­ta di tapasya deve essere considerato un brahmana. Etad aksaram gàrgi viditvàsmàl lokàt praiti sa bràhmanah / etad aksaram gargy aviditvàsmàl lokàt praiti sa krpanah. Tutti sono soggetti alla morte, perché nessuno può vivere in modo permanente, ma chi muore dopo aver condotto una vita di tapasya è un brahmana, e chi muore come un cane o un gatto, senza aver eseguito alcun tapasya, è considerato un krpana. Questi due termini vengono usati frequentemente nella let­teratura vedica – bràhmana e krpana. Krpana significa “avaro” e brahmana si riferisce a una persona liberale, di larghe vedute. Brahma jànàtiti bràhmanah: brahmana è co­lui che conosce il Supremo, la Verità Assoluta. Colui che ignora tutto ciò è considerato un animale. Questa è la diffe­renza tra un uomo e un animale. Per meritare un tale nome, l’uomo deve essere educato a comprendere la Verità Asso­luta. Poiché la vita umana è fatta per la conoscenza, ci sono scuole e università, filosofi, scienziati e matematici. I proces­si del mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi non hanno bisogno di essere insegnati, si imparano istintivamente. La vita umana è destinata ovviamente a qualcosa di più impor­tante: al tapasya e alla conoscenza.

I Veda contengono descrizioni del brahmacarya, il celi­bato, che caratterizza l’inizio di una vita dedicata al tapasya: smaranam kirtanam kelih preksanam guhya-bhàsanam / sarckalpo ‘dhyavasàyas ca kriyà-nirvrttir eva ca (Sridhara 6.1.12). Se si vuole seguire il vero celibato, non si dovrebbe neanche pensare o parlare di vita sessuale. Anche leggere la letteratura moderna e i giornali che sono pieni di materiale riguardante il sesso, va contro i princìpi del brahmacarya. Il fatto di indulgere nel sesso in qualsiasi modo, guardando le donne o parlando intimamente con loro, come anche deci­dere o sforzarsi di avere relazioni sessuali, va contro tali princìpi. Solo quando si pone un termine a queste attività, si può parlare di vero brahmacarya.

Attraverso l’austerità, il celibato e il controllo della men­te e dei sensi si può avanzare nell’esistenza pura. Similmen­te, l’avanzamento può essere fatto attraverso la carità ese­guita in modo giusto. Essa è chiamata tyaga, la rinuncia. Se una persona possiede migliaia di dollari, non dovrebbe te­nerli, ma fintanto che sono sotto la sua giurisdizione, do­vrebbe spenderli per Krsna. Il denaro e l’energia sono pro­priamente utilizzati solo se spesi per Krsna.

Al momento della morte, tutte le risorse-monetarie e i beni che una persona ha accumulato nel corso della propria esistenza, in connessione al suo corpo, sono perduti, perché l’anima spirituale trasmigra in un altro corpo. Tale individuo ignora dove si trovi il denaro accumulato nella vita prece­dente o come esso sia stato speso. Un uomo può lasciare questo mondo dichiarando in che modo il suo denaro debba essere speso dai suoi figli o eredi, ma anche se lascia milioni di euro, nella sua prossima vita non avrà più alcun diritto su di essi. Perciò, fintanto che si trova nelle nostre mani, è meglio spendere il denaro per una buona causa. Se viene mal utiliz­zato, esso ci incatena, ma se viene speso per una buona causa ne traiamo beneficio. Ciò è molto chiaramente detto nella Bhagavad-gita.

La Bhagavad-gita afferma molto chiaramente che ci sono tre forme di carità- sotto l’influsso della virtù, della passione o dell’ignoranza. Una persona virtuosa sa bene come fare la carità. Krsna dice nella Bhagavad-gita:

samo ‘ham sarva-bhútesu na me dvesyo ‘sti na priyah ye bhajanti tu mam bhaktya mayi te tesu càpy aham

“Non invidio e non favorisco nessuno. Sono imparziale con tutti, ma chiunque Mi offra un servizio con devozione vive in Me; egli è un amico per Me come Io sono un amico per lui.” (B.g. 9.29)

Krsna non ha bisogno di denaro; perché Egli è il proprietario originale di tutto (isàvàsyam idam sarvam). Eppure Egli ci chiede la carità. Ad esempio Krsna, nella forma di Vamana, un brahmana nano; andò a mendicare da Bali Maharaja. Sebbene sia sarva-loka-mahesvaram, il proprietario di tutti i pianeti, il Signore dice: “Ti prego, damMi la carità.” Per quale motivo? Solo per il nostro interesse, perché prima restituiremo a Krsna il Suo denaro, meglio sare­mo situati. Naturalmente, questo argomento non sembra molto piacevole da ascoltare, ma la realtà è che siamo tutti dei ladri, perché ci siamo impossessati delle proprietà di Dio. Se chi possiede qualcosa non è cosciente di Dio, ha rubato le Sue proprietà. Questa è la natura del mondo materiale. Se si considera attentamente tutto ciò e si giunge alla vera conoscenza, diventa chiaro il fatto che se usiamo le proprietà di Dio senza comprenderLo, tutto ciò che possediamo è pro­prietà rubata. La Bhagavad-gita afferma che chi non spende il denaro per lo yajna, il sacrificio, deve essere considerato un ladro (yo bhunkte stena eva sah). Se, per esempio, un individuo guadagna una grande quantità di denaro ma cerca di nasconderlo per non pagare le tasse, il governo lo consi­dera un criminale. Egli, non può dire: “Sono io che ho gua­dagnato questo denaro; perché dovrei pagare le tasse?” No, egli deve pagare, altrimenti rischia una sanzione. Similmen­te, in un senso superiore, tutto ciò che abbiamo è proprietà di Krsna, di Dio, e dev’essere utilizzato secondo il Suo vole­re. Se desideriamo costruire un palazzo, dove prenderemo le pietre, il legno e la terra necessari? Non possiamo produrre della legna in modo artificiale; è proprietà di Dio. Non pos­siamo neanche produrre il metallo; dovremo prelevarlo dalla miniera, e anch’essa appartiene a Dio. Lo stesso vale per la terra e i mattoni che si ricavano dalla Terra. Anch’essi ap­partengono a Dio. Noi forniamo soltanto il nostro lavoro, ma anche quel lavoro è proprietà di Dio. Lavoriamo con le mani, ma anch’esse appartengono a Dio, perché quando Dio decide di riprendersi il potere che ci permette di usarle, esse diventano inutili.

Dovremmo usare questa grande opportunità, la vita umana, per comprendere tutti questi punti menzionati dai libri autorevoli della conoscenza vedica, come lo Srimad-Bhagavatam e la Bhagavad-gita. Nel Bhagavatam, Sukadeva Gosvami dichiara che la vera espiazione richiede raccogli­mento, serietà e meditazione. Bisogna fare considerazioni sulla natura trascendentale dell’anima distinta dal corpo, e cercare di conoscere Dio. Tali argomenti devono essere stu­diati in coscienza di Krsna. Non dobbiamo essere frivoli o sprecare il nostro tempo. Per acquisire tale conoscenza; bi­sogna praticare il tapasya, l’austerità e l’inizio del tapasya; come è stato spiegato precedentemente, è il brahmacarya ­il celibato o vita sessuale limitata. Il sesso è il fulcro dell’at­trazione materiale, non solo per la società umana ma anche per quella animale. I passeri e i piccioni fanno sesso trecento volte al giorno, sebbene siano rigorosamente vegetariani, e il leone che è carnivoro, fa sesso una volta all’anno. Praticare la vita spirituale non è questione di vegetarianesimo, occor­re la comprensione di una conoscenza superiore. Quando si giunge a una piattaforma elevata di conoscenza, si diventa automaticamente vegetariani. Panditàh sama darsinah: co­lui che possiede la vera conoscenza non fa distinzione tra l’erudito, il brahmana, l’elefante, il cane o la mucca. Egli è sama-darsi, la sua visione è del tutto equanime, perché non vede il corpo ma l’anima, la scintilla spirituale (Brahman). Egli pensa: “Questo è un cane, ma è anche un essere vivente che, a causa del suo karma passato, ha accettato questo corpo. Anche questo studente erudito è una scintilla spirituale. Egli ha preso una buona nascita, grazie al suo buon karma.” Quando si giunge a tale livello di comprensione non si fa più attenzione al corpo ma alla scintilla spirituale che è in esso; non si fa più distinzione tra un essere vivente e un altro.

In effetti, noi non facciamo distinzione tra carnivori e vegetariani; perché l’erba ha vita proprio come la mucca o l’agnello. Una linea di condotta ci è data dalle istruzioni vediche contenute nell’Isopanisad:

isavasyam idam sarvam yat kinca jagatyam jagat tena tyaktena bhunjitha

ma grdhah kasya svid dhanam

“Il Signore possiede e controlla tutto ciò che esiste in questo universo, sia l’animato sia l’inanimato. Noi dobbiamo quin­di usare solo il necessario e prendere solo la parte che ci è stata assegnata, sapendo bene a chi tutto appartiene.” (Isopanisad, Mantra 1)

Poiché ogni cosa appartiene al Signore Supremo, possia­mo godere solamente di ciò che ci è stato assegnato dal Si­gnore, senza toccare le proprietà altrui. Secondo il sistema vedico e le Scritture vediche, l’uomo dovrebbe vivere cibandosi di frutta e ortaggi, perché i suoi denti sono fatti in tal modo da masticare e digerire facilmente questi alimenti. Anche se il fatto di sopravvivere cibandosi di altri esseri viventi (jivo jivasya jivanam) è una legge di natura, si deve usare discrezione. Frutta, fiori, ortaggi, riso, cereali e latte sono destinati agli esseri umani. Il latte, ad esempio, è un prodotto animale, il sangue della mucca trasformato, ma la mucca produce latte in quantità superiore a quella necessa­ria per il proprio vitello, perché il latte è fatto per l’uomo. L’uomo dovrebbe usufruire del latte e lasciare in vita le mucche, e in questo modo, seguendo le leggi della natura, potrebbe condurre un’esistenza felice. Tena tyaktena bhunjitha: bisogna accettare quello che Dio ci ha destinato e vivere in modo confortevole.

Dobbiamo elevare la nostra coscienza mediante questa scienza di Krsna. La carità è nel cuore di tutti ma la gente non sa come usarla nel modo migliore. Tutto ciò che spendiamo in termini di energia dovrebbe essere destinato alla soddi­sfazione di Krsna, perché tutto appartiene a Lui. Se spendia­mo per Krsna, non saremo mai perdenti. Krsna è così gentile che quando gli offriamo del cibo, Egli lo accetta e nello stes­so tempo lascia tutto a noi. Possiamo diventare devoti anche solo offrendo a Krsna del cibo. Non abbiamo bisogno di spendere un solo centesimo in più. In un senso più generale, ogni cosa appartiene già a Krsna, ma se noi Gli offriamo tutto ciò che abbiamo, saremo elevati. Questo è un modo efficace e sublime per avanzare verso un livello di esistenza puro.

CAPITOLO 5

Diventare stabili in coscienza di Krsna

Quando si raggiunge un livello elevato di opulenza ma­teriale, la tendenza alla rinuncia si manifesta in modo natu­rale. Ci sono due tendenze in questo mondo materiale: bhoga, la gratificazione dei sensi e tyàga, (la rinuncia a questo mon­do materiale). Ad ogni modo, senza una guida, è impossibile dedicarsi alla rinuncia in modo giusto. Per prima cosa, un uomo desidera godere, quando poi è frustrato nel suo inten­to, rinuncia al piacere materiale. Ma, quando si è stanchi della rinuncia, ci si impegna nuovamente nella gratificazio­ne dei sensi. Tutto ciò, è simile al movimento del pendolo di un orologio che oscilla continuamente da un lato all’altro. Così, noi stiamo oscillando tra la piattaforma del godimento – materiale e quella della rinuncia.

I karmi, coloro che si dedicano all’azione interessata, cer­cano di godere di questo mondo e di coglierne i frutti. Per conseguenza, viaggiano costantemente in autostrada per tutto il giorno, allo scopo di godere del piacere materiale. Dall’altra parte invece, ci sono altri, in gran parte gioventù insoddisfatta, che rifiutano tutto ciò. Così nel mondo, alcuni si impegnano in bhoga, alcuni in tyaga. Ad ogni modo non saremo felici seguendo una di queste vie; infatti, la nostra vita non è fatta per il godimento materiale o per la rinuncia. Poiché tutto appartiene a Krsna e niente appartiene a qualcun altro, tutto ciò che possediamo è in realtà proprietà di Krsna (isàvàsyam idam sarvam). Dato che non siamo stati noi a creare gli alberi, le piante, l’acqua o la terra, non possiamo pretendere di esserne i proprietari. Poiché, in realtà, nulla ci appartiene, non possiamo rinunciare a niente; c’è un detto che dice: “Nudi veniamo al mondo e nudi ce ne andiamo.” Nel frattempo però affermiamo: “Questo è il mio paese, questa è la mia casa, questa è mia moglie e questi sono i miei figli, questa è la mia proprietà, questo è il mio conto in banca e così via.” Queste sono affermazioni false, perché quando veniamo in questo mondo, veniamo a mani vuote e anche quando lo lasciamo, ce ne andiamo a mani vuote. Qual è dunque il significato di bhoga e tyaga? Alla luce dei fatti, esse non hanno un vero significato. Bhoga è furto e tyaga, la rinuncia a ciò che non ci è mai appartenuto, è una forma di follia.

A questo proposito Krsna ci dà la seguente direttiva: sarva dharman parityajya mam ekam saranam vraja (B.g. 18.66); sebbene siano state create diverse forme di religione basate su bhoga e tyaga, ci viene consigliato di abbandonarle tutte e di arrendersi a Krsna. Non sta a noi godere o rinunciare. Quando nella Bhagavad-gita si raccomanda la rinuncia, ci si riferisce alla rinuncia di tutto ciò che affermiamo falsamente di possedere. Un bambino potrebbe prendere una bancono­ta da cinquanta euro dal portafoglio di suo padre e cercare di tenere il denaro per sé, malgrado non sappia come utiliz­zarlo. In tal caso suo padre lo pregherà dicendo: “Caro ra­gazzo, restituiscimi il denaro, per favore.” Il bambino non sa che il denaro in realtà appartiene a suo padre e ignora anche che sarebbe meglio restituirglielo, perché egli non sa come usarlo. In modo analogo, Krsna dice: “Rinuncia al tuo lavo­ro per Me. Rinuncia alle tue ricchezze è ai tuoi possedimenti per Me.” Krsna non è un mendicante perché ogni cosa ap­partiene a Lui, ma ci tratta come bambini. La sottomissione alla Sua richiesta di rinunciare a tutto per Lui è detta tyaga, rinuncia, ed è uno dei mezzi per ottenere l’elevazione alla coscienza di Krsna; L’austerità, il celibato, l’equanimità, la carità, sono tutti fattori necessari per la realizzazione della Verità Assoluta. La coscienza di Krsna non ha nulla a che vedere con le verità relative perché tratta dell’Assoluto. Nello Srimad-Bhagavatam, Vyasadeva offre i suoi omaggi alla Verità Suprema e Assoluta (satyam param dhimahi). Egli offre i suoi rispetti non alle verità relative, bensì al summum bonum, la Verità Assoluta. È dovere dei brahmana svilup­pare le qualità necessarie alla realizzazione della Verità As­soluta.

I brahmana devono qualificarsi attraverso la pratica del­la pulizia, della veridicità, del controllo della mente e dei sensi e coltivando la semplicità, la fede nei Veda e in parti­colare nella Bhagavad-gita. Quando Krsna dice: “Io sono il Signore Supremo”, noi dobbiamo accettare questo princi­pio con fede, non ciecamente, ma in piena conoscenza e consapevolezza e mettere in pratica questa accettazione nella vita quotidiana. Un brahmana non è tale per nascita, ma lo diventa mediante l’educazione, la conoscenza e la pratica. Non è questione di nascita ma di qualità, come Krsna sotto­linea nella Bhagavad-gita:

càtur-varnyam maya srstam guna-karma-vibhagasah tasya kartàram api mam viddhy akartàram avyayam

“Io ho creato le quattro divisioni della società umana sulla base delle tre influenze della natura materiale e delle attività ad esse collegate; sappi però che sebbene Io sia il creatore di questo sistema, non agisco all’interno di esso perché sono immutabile.” (B.g. 4.13)

Non solo bisogna avere le qualità di un brahmana, ma bisogna anche agire come un brahmana, perché la verifica di tali qualità si fa attraverso il modo di agire. Qual è il valore di un ingegnere qualificato che se ne sta semplicemente se­duto a casa sua e non svolge alcun lavoro? Similmente, se non si agisce da brahmana, il fatto di limitarsi a dire “io sono un brahmana” non ha nessun valore. Si deve agire da brahmana impegnandosi al servizio del Param Brahman, Krsna, il Supremo Brahman.

In che cosa consiste il servizio alla Verità Assoluta? Yamena niyamena ca: la pratica dello yoga, ossia l’unione col Supremo, si basa sui princìpi regolatori e sul controllo dei sensi. Tali princìpi non possono essere seguiti senza control­lo, perciò bisogna essere assorti e purificarsi. Se si vuole superare un esame, bisogna andare a scuola, seguire il rego­lamento, sacrificarsi nello studio e così gradualmente, si rag­giungerà il successo. Una persona che gioca per la strada tutto il giorno, come può aspettarsi di essere promosso? Perciò nel procedimento illustrato da Sukadeva Gosvami, occorre per prima cosa sottoporsi al tapasya, l’austerità. Sebbene l’austerità e il brahmacarya risultino penosi a causa del nostro rifiuto di ogni restrizione, non appena regoliamo la nostra vita tutto ciò che sembrava essere doloroso nella pratica non lo è più.

Esistono due categorie di uomini: le persone sobrie (dhira) e le persone dedite agli eccessi (adhira). Chi, nonostante la provocazione o malgrado la presenza di una fonte di agita­zione mentale, rimane fisso nella sua posizione, è definito dhira. Un esempio ci è dato da Kalidasa Pandita, un grande poeta sanscrito, autore di un libro chiamato Kumara­sambhava, in cui è narrato un episodio riguardante Sri Siva. Sembra che quando i deva, nella battaglia contro i demoni stavano per essere sconfitti, decisero che avrebbero potuto essere salvati da un comandante in capo nato dal seme di Siva. Siva a quel tempo, era in meditazione e fu molto diffi­cile procurarsi il suo seme. Perciò essi mandarono Parvati, una giovane donna, la quale apparve dinanzi a lui e adorò i suoi genitali. Sebbene questa giovane donna sedesse davan­ti a Siva e toccasse i suoi genitali, Egli rimase nella medita­zione; Kalidasa dice: “Ecco un esempio di dhira, perché seb­bene una ragazza toccasse i suoi genitali egli rimase indistur­bato.

Similmente qualcuno mandò una giovane prostituta a disturbare Haridasa Thàkura, il quale, dopo aver ascoltato le sue insistenti richieste di unione, disse: “Sì, la tua proposta è molto allettante. Per favore siediti e aspetta che finisca il mio canto. Dopo ci uniremo.” Si fece giorno e la prostituta divenne impaziente, ma Haridasa Thàkura disse: “Mi di­spiace molto. Non sono riuscito a terminare il mio canto. Torna questa sera.” La prostituta venne per tre notti di se­guito e alla terza notte si gettò ai suoi piedi, confessò le sue intenzioni e supplicò: “Sono stata spinta a comportarmi in questo modo da un uomo che ti è nemico. Ti prego di perdo­narmi.” Haridasa Takura allora rispose: “Ero già a cono­scenza di questo, ma ti ho permesso di venire qui per tre volte consecutive affinché tu ti convertissi e diventassi una devota. Ora, prendi questa corona e continua a cantare. Io sto per lasciare questo luogo.” Ecco un altro esempio di dhira, una persona che controlla il suo corpo (deha), le sue parole (vac) e la sua intelligenza (buddhi). Il corpo, le parole e l’intelligenza devono essere controllati dal dhira, colui che conosce veramente i princìpi della religione.

Noi stiamo commettendo continuamente attività pecca­minose da tempo immemorabile e ignoriamo da quanto tem­po ciò è cominciato, ma questa vita è destinata a permetterci di rettificare tutti gli sbagli commessi. Se si dà fuoco alle erbacce e ai rampicanti di un campo, essi verranno ridotti in cenere. Similmente, attraverso i metodi dell’austerità e della penitenza, le attività colpevoli possono essere annullate, e in tal modo ci si purifica. Sukadeva Gosvami suggerisce un processo alternativo: kecit kevalaya bhaktya vàsudeva­paràyanàh / agham dhunvanti kàrtsnyena nihàram iva bhàskarah. In genere, un individuo che conduce una vita austera di celibato, di equanimità, di carità e così via, è de­finito da tutti una persona estremamente pia; ma se diventa cosciente di Krsna, egli potrà distruggere tutte le reazioni risultanti da attività colpevoli compiute in passato. La neb­bia scompare al sorgere del sole, e Krsna sorge con lo splen­dore di migliaia di soli.

Tale metodo è destinato alle persone più fortunate. Caitanya Mahaprabhu afferma dunque, brahmanda bhramite kona bhàgyavàn jiva / guru-krsna prasade pàya bhakti-lata-bija: “Per la grazia di Krsna e del maestro spiri­tuale, una persona fortunata, dopo aver vagato per l’univer­so nelle differenti specie di vita, riceve il seme del puro servizio devozionale.” La coscienza di Krsna è destinata alle persone più fortunate, perché basta adottare questo procedimento unico, per ottenere, tutti i benefici derivanti dall’austerità, dalla rinuncia, dal celibato e così via. Sukadeva Gosvàmi dichiara, kecit kevalaya bhaktya: “Solo una perso­na estremamente fortunata adotta il processo del puro ser­vizio devozionale.” Kevala bhakti si riferisce al servizio di devozione puro e incondizionato, svolgendo il quale si pro­va un unico desiderio, quello di soddisfare Krsna: Non biso­gna compiere il servizio devozionale con lo scopo di incre­mentare le proprie entrate. Noi aspiriamo al denaro per raggiungere la felicità, ma accettando la coscienza di Krsna diventeremo così felici che il denaro non avrà più importan­za per noi. Esso verrà automaticamente, come anche la fe­licità. Non c’è bisogno di sforzarsi separatamente per otte­nere queste cose.

Dhruva Mahàràja si lamentava: “Sono stato così sciocco da adottare il servizio di devozione allo scopo di ottenere un profitto materiale.” Generalmente, per ottenere dei vantag­gi materiali, ci si rivolge al proprio superiore, a qualche uomo ricco o essere celeste, ma il devoto si rivolge solo a Krsna, anche nel caso di desideri materiali. Se una persona si rivolge a Krsna per ottenere un vantaggio materiale, verrà il giorno in cui dimenticherà i propri desideri, proprio come Dhruva Mahàràja. Egli si pentì e disse: “Stavo cercando Krsna per chiederGli qualcosa di materiale, ma ho agito come colui che, dopo essere riuscito a soddisfare un uomo estremamen­te ricco, gli domanda solo pochi chicchi di riso.” Se un uomo ricco acconsente a darci qualsiasi cosa vogliamo ma noi gli chiediamo soltanto qualche chicco di riso, è questa una cosa intelligente? Chiedere a Krsna qualche beneficio materiale è esattamente lo stesso. Non c’è bisogno di chiedere a Krsna la felicità materiale, perché essa giungerà automaticamente ai nostri piedi invocando: “Per favore, prendimi, per favore, prendimi!”

Coloro che praticano la coscienza di Krsna non hanno bisogno di opulenze materiali – casa, moglie, figli, felicità – perché tutto questo giunge loro automaticamente, per la grazia di Krsna. Non c’è bisogno di chiederGli queste cose materiali, basta semplicemente domandare: “Ti prego, im­pegnami al Tuo servizio.” Nella Bhagavad-gita, Krsna pro­mette anche che se ci si impegna al Suo servizio Egli fornirà tutto il necessario e manterrà ciò che già si possiede. In una delle Sue istruzioni finali ad Arjuna, il Signore lo esorta a dipendere totalmente da Lui:

cetasa sarva-karmàni

mayi sannyasa mat-parah

buddhi-yogam upàsritya

mac-cittah satatam bhava

“In ogni attività dipendi da Me e agisci sempre sotto la Mia protezione. In questo servizio devozionale sii pienamente cosciente di Me.” (B.g. 18.57)

CAPITOLO 6

Trascendere le designazioni e i problemi

La coscienza di Krsna può essere facilmente raggiunta grazie alla misericordia di Sri Caitanya e della Sua successione dei maestri. In accordo alla Bhagavad-gita:

manusyanam sahasresu

kascid yatati siddhaye

yatatàm api siddhanam

kascin màm vetti tattvatah

“Tra migliaia di uomini forse uno cercherà la perfezione, e tra coloro che la raggiungono, raro è colui che Mi conosce veramente.” (B.g. 7.3)

La realizzazione di Dio non è accessibile agli animali e alle persone con tendenze simili. La civiltà umana è nel complesso un’assemblea di animali perché, come è già sta­to detto precedentemente, opera sulla base di tendenze animali.

Gli uccelli e le bestie si svegliano presto il mattino e si impegnano nel cercare cibo e sesso, e nel cercare di difendersi; al sopraggiungere della notte cercano un rifu­gio e la mattina seguente volano su di un albero alla ricerca di noci e frutti. Similmente a New York grandi masse di popolazione viaggiano da un’isola a un’altra per mezzo di traghetti o attendono la metropolitana per recarsi in ufficio allo scopo di procurarsi da mangiare. Che avanzamento è questo, rispetto alla vita animale? I traghetti e la metropo­litana sono sempre affollati e molte persone devono viag­giare per quaranta o cinquanta miglia solo allo scopo di guadagnarsi il pane, mentre gli uccelli sono liberi di volare da un albero all’altro.

La vera civiltà non si preoccupa solo di soddisfare i pro­pri bisogni animali ma anche di rendere l’uomo capace di comprendere la sua relazione con Dio, il Padre Supremo. Si può apprendere qualcosa riguardo alla propria relazione con Dio attraverso qualsiasi metodo, attraverso il Cristia­nesimo, la letteratura vedica o il Corano, ma in ogni caso, bisogna arrivare a conoscerla. Questo Movimento per la Coscienza di Krsna non ha lo scopo di convertire i cristiani in indù o gli indù in cristiani, ma di informare la gente che il dovere dell’essere umano è quello di comprendere la sua relazione con Dio. Dobbiamo capire questo concetto, altri­menti sprechiamo il nostro tempo adoperandoci per la sod­disfazione delle nostre tendenze animali. Tutti noi dobbia­mo cercare di amare Dio, Krsna. Se esiste un metodo, bisogna seguirlo, oppure sforzarsi di apprenderlo. Non bisogna essere riluttanti nella scelta di un metodo rispetto a un altro. Visàd apy amrtam gràhyam amedhyàd api kancanam/nicad apy uttamam vidhyàm stri-ratnam duskulàd api (Niti-darpana 1.16). Canakya Pandita dice che bisogna prendere il meglio da ogni cosa. Se in un bicchiere di veleno c’è anche del net­tare, egli dice, bisogna estrarre il nettare e lasciare il veleno. In modo analogo, se in un luogo contaminato si trova del­l’oro, bisogna prenderlo ugualmente. Così, sebbene sulla base del sistema vedico di educazione, un individuo debba essere istruito da persone intellettuali come i brahmana, se qualcuno appartenente a un livello socialmente inferiore conosce la verità, bisogna accettarlo come maestro e ap­prendere da lui. Non si deve pensare che, siccome per nasci­ta, quella persona appartiene a un ceto inferiore, debba essere rifiutato come maestro.

Similmente, se si è seri riguardo alla comprensione di Dio, non si dovrebbe pensare: “Io sono cristiano”, “io sono indù” o “io sono musulmano:” Se si desidera veramente comprendere l’amore per Dio, bisogna considerare quale meto­do è pratico al fine di raggiungere tale obiettivo. Non si deve pensare: “Perché dovrei seguire gli indù o le Scritture vedi­che?” Lo scopo di seguire le Scritture vediche è quello di sviluppare amore per Dio. Quando gli studenti vengono in America al fine di ricevere un’istruzione superiore, essi non prendono in considerazione il fatto che gli insegnanti siano Americani, Tedeschi o di altre nazionalità. Chi desidera acquisire un’istruzione superiore, semplicemente viene e impara. Così, se esiste un vero metodo per comprendere e avvicinare Dio, come il nostro metodo per la coscienza di Krsna, una persona dovrebbe accettarlo senza esitazioni.

Solo le persone più intelligenti e fortunate, il cui unico scopo è quello di servire Krsna, adottano il metodo del servi­zio devozionale (kevalaya bhaktya). Dal mattino presto sino a tarda notte, questi devoti sono impegnati a servire Krsna. Ciò è definito kevalaya, puro; per loro non c’è altra occupazio­ne. Questo metodo è raccomandato per tutti gli esseri viventi ed è la perfezione di tutti i processi religiosi (sa vai pumsam paro dharmo yato bhaktir adhoksaje). In Sanscrito; ci sono due termini, para e apara, che descrivono due diversi modi, superiore (trascendentale) e inferiore (materiale) di intende­re la religione. Nell’esecuzione del dharma materiale, cioè la religione eseguita in vista di un profitto, la gente generalmen­te si reca in chiesa o nel tempio e prega: “Dio, dacci il pane quotidiano.” In effetti, non c’è bisogno di fare simili richieste, perché il pane è già disponibile per tutti. Perfino gli uccelli e le altre bestie si procurano il cibo senza bisogno di andare in chiesa a chiederlo a Dio. Similmente, il nostro pane ci è già fornito a sufficienza, sia che andiamo in chiesa, sia che non ci andiamo. Questo non è un problema. Nessuno muore di fame per le strade, neanche gli uccelli e le bestie. Il cibo è lì, non c’è bisogno di preoccuparsi per questo. Se dobbiamo sforzare il nostro cervello, sforziamolo per Krsna. Questo è il giusto modo di utilizzare il tempo. Non c’è scarsità di pane nel regno di Dio.

Tasyaiva hetoh prayateta kovido na labhyate yad bhrama- tàm uparyadhah. Lo Srimad-Bhagavatam afferma che dob­biamo sforzarci al fine di ottenere. ciò che non può essere i ottenuto neanche viaggiando attraverso l’intero universo. Di che cosa si tratta? Kevalaya bhaktya- della pura devozione. Per opera di Dio su questo pianeta si trova una sufficiente quantità di cibo e di terra, ma noi abbiamo organizzato le cose in tal modo che in una parte del mondo la gente soffre ‘ la fame, e in un’altra parte è costretta a gettare i cereali nell’oceano. I Veda affermano: eko bahúnàm yo vidadhàti kàman – la Persona Suprema fornisce il cibo a molti esseri viventi. La difficoltà in questo mondo, sta nel fatto che gli uomini prendono per sé più di quanto abbiano bisogno e sono così la causa dei loro stessi problemi. I problemi nascono dagli uo­mini, guidati dai cosiddetti politici. Secondo le leggi della natura, o le leggi di Dio, ogni cosa è completa. La Sri Isopanisad afferma:

om púrnam adah púrnam idam púrnàt púrnam udacyate púrnasya púrnam adàya púrnam evàvasisyate

“Dio, la Persona Suprema, è perfetto e completo, e poiché, la Sua perfezione è totale, tutto ciò che emana da Lui, come il mondo fenomenico, costituisce una totalità completa in se stessa. Tutto ciò che proviene dal Tutto completo è comple­to in sé, e poiché Dio è assoluto, Egli rimane il Tutto comple­to; anche se innumerevoli unità, anch’esse complete, ema­nano da Lui.” (Sri Isopanisad: Invocazione).

Dio è completo, la Sua creazione è completa, e anche i Suoi piani sono com­pleti, ma noi stiamo creando dei disordini, La vera educazione è quella che rende le persone coscienti di Krsna, affinché utilizzino in modo giusto le risorse della terra e smettano di creare fastidi. Non è possibile risolvere i problemi appro­vando delibere alle Nazioni Unite. Bisogna conoscere il giu­sto metodo.

Sukadeva Gosvami afferma che solo attraverso il puro servizio devozionale si possono risolvere i problemi dell’esi­stenza. Chi può farlo? Non è possibile per un uomo ordinario, ma non per coloro che sono vàsudeva-pardyanàh, devoti al Signore, Krsna (Vasudeva). Soltanto coloro la cui unica preoccupazione è quella di soddisfare Krsna e ché s’impe­gnano nel puro ed incondizionato servizio devozionale pos­sono risolvere i problemi della vita.

Agham dhunvanti -com’è già stato spiegato, i problemi sono creati dalle attività peccaminose. Nonostante ci sia cibo a sufficienza, ognuno prende più di quanto necessiti, allo scopo di trarne profitto o al solo fine di accumulare. Nel 1942, in India, ci fu una carestia artificiale, causata da un gruppo di persone che avevano accumulato del denaro, tenendolo fermo senza necessità. I ricchi acquistarono tutto il riso disponibile, che era venduto ad un prezzo di sei rupie la libbra. Improvvisamente; nel giro di una settimana, il prezzo salì a cinquanta rupie la libbra. Di conseguenza non si trova­va più riso sul mercato e la gente divenne affamata. A quel tempo un gentiluomo americano osservò: “Se la gente del nostro paese fosse stata così affamata, avrebbe fatto una rivoluzione.” In India la gente è così educata ed istruita che malgrado questa carestia artificiale, non si ribellò, ma prefe­rì morire pacificamente. Naturalmente questo è solo un esem­pio, ma ci mostra come i problemi non vengono creati da Dio ma dall’uomo. In Germania, durante la Prima Guerra Mon­diale, le donne si recavano in chiesa a pregare Dio di far tornare a casa vivi i loro mariti, figli e fratelli; ma nessuno di loro fece ritorno. Allora tutte le donne divennero atee. Non pensarono al fatto che Dio non difende la guerra e i suoi problemi. Esse andarono da Lui per trovare una soluzione. Ma siamo noi che creiamo i problemi, e ne subiamo le con­seguenze.

Ad ogni modo, colui che prende rifugio in Krsna, Dio, pone fine ai propri problemi. Quindi è meglio rivolgere il proprio servizio a Vasudeva, Dio, la Persona Suprema; essi si preoccupano soltanto di soddisfare Dio, la Persona Supre­ma. Vàsudeve bhagavati bhakti yogah prayojitah. Chi si im­pegna nel puro servizio devozionale a Vasudeva, riceverà presto la conoscenza suprema (janayati àsu vairàgyam). Le parole jnàna-vairàgyam si riferiscono a quella “conoscenza, attraverso la quale si ottiene il distacco dalla materia.” La parola jnana significa conoscenza, e vairagyam significa distacco. Entrambi, la conoscenza e il distacco sono richiesti in questa forma umana di vita. Bisogna capire che siamo anime spirituali e non abbiamo nulla a che vedere con questo mon­do materiale, ma a causa del nostro desiderio di godere di esso in differenti modi, siamo costretti a trasmigrare da un corpo all’altro. Non sappiamo quando tutto ciò ha avuto inizio ma è certo che sta ancora continuando. Questa è la vera conoscenza. Per avere conoscenza occorre comprende­re la propria posizione costituzionale e realizzare che questo mondo materiale è un luogo di sofferenza. Tale perfezione della conoscenza, si raggiunge quando si diventa vàsudeva­paràyanàh, devoti di Vàsudeva. Nella Bhagavad-gita Krsna dice ad Arjuna:

bahunam janmanam ante

jnanavan mam prapadyate

vàsudevah sarvam iti

sa mahatma sudurlabhah

“Dopo molte nascite e morti chi è situato nella vera cono­scenza si sottomette a Me sapendo che lo sono la causa di tutte le cause e sono tutto ciò che esiste. Un anima così gran­de è molto rara. (B.g. 7.19)

Quelle grandi anime che sanno perfettamente che Krsna, Vasudeva,, è la sorgente di ogni cosa, sono molto rare. È facile trovare i cosiddetti mahatma (grandi anime), dotati di lunghe barbe e baffi che sostengono pubblicamente di fare uno con Dio é che al momento della morte si risveglieranno e diventeranno Dio; questi non sono veri mahatma. Piutto­sto, sono duràtma, duri di cuore, perché vogliono usurpare la legittima posizione di Krsna e fondersi con Lui. Se in un ufficio, l’inserviente cerca di rubare il posto all’impiegato, ciò non sarà certo molto gradito a quest’ultimo. Nello stesso modo, un essere vivente che cerca. di diventare Dio, non è molto in sintonia con Lui. Naturalmente, nessuno può di­ventare Dio, ma lo sforzo volto a questo fine o il tentativo di diventare Suoi rivali, non risulta molto gradito al Signore. Coloro che desiderano usurpare la posizione di Dio, sono descritti nella Bhagavad-gita come dvisatah, invidiosi. Il Si­gnore dice:

tàn aham dvisatah krúràn

samsaresu naràdhamàn

ksipàmy ajasram asubhàn

àsurisv eva yonisu

“Gli invidiosi e i malvagi, i più degradati tra gli uomini, Io li getto per sempre nell’oceano dell’esistenza materiale tra le varie specie di vita demoniaca.” (B.g. 16.19)

Poiché sono invidiosi della posizione di Dio, il Signore li pone in condizioni di vita infernali. Prima cercano di occu­pare posizioni elevate in questo mondo materiale, e quando sono frustrati nel loro intento, pensano: “Ora occuperò la posizione di Dio.” Naturalmente, anche questo desiderio rimane frustrato, perché nessuno può diventare Dio. Dio è Dio e l’essere vivente è l’essere vivente. Dio è Supremo e Infinito, noi siamo infinitesimali. La nostra posizione consi­ste nel servire Dio, e quando agiamo in accordo ad essa, diventiamo felici. Yasyaika-nisvasita-kàlam athàvalambya jivanti loma-vilajà jagad-anda-nàthàh (B.s. 5.48). Ci sono innumerevoli universi, e attraverso un respiro di Maha-Visnu, essi sono aspirati e dissolti all’interno del Suo corpo. Come può dunque, un essere vivente, diventare Dio? Dio non è così a buon mercato. Dobbiamo dunque avanzare nella co­noscenza e accettare Vasudeva, Krsna, come il Supremo. È fuori dubbio che Krsna sia un uomo ordinario. Mai, nelle Sue apparizioni sulla Terra, Egli apparve come un uomo ordinario. Perfino da bambino Egli compì imprese miraco­lose, che superano di molto le capacità di un uomo comune. Non bisogna pensare che arrendersi a Krsna significhi arren­dersi ad un uomo ordinario, bensì a Dio, la Persona Supre­ma. Questo trova conferma in tutte le Scritture vediche. Agham dhunvanti: quando ci si abbandona a Krsna tutte le reazioni derivanti da attività peccaminose vengono annulla­te. Nella Bhagavad-gita, Krsna stesso consiglia di abbando­narsi a Lui:

sarva-dharmàn parityajya

mam ekam saranam vraja

aharit tvam sarva pàpebhyo

moksayisyàmi ma sucah

“Lascia ogni forma di religione e abbandonati a Me. Io ti libererò da tutte le reazioni del peccato, non temere.” (B.g. 18.66)

Perciò, colui che è devoto (vàsudeva-paràyanàh) e sem­plicemente si impegna nel servizio devozionale, è immedia­tamente liberato dalle conseguenze di tutte le attività peccaminose. Il servizio devozionale a Krsna, ossia la coscienza di Krsna, non può mai essere raggiunto attraverso alcun tipo di speculazione, ma solo grazie alla misericordia senza causa di un puro devoto di Krsna. È un dono inestimabile elargito dal mahatma, la grande anima, per compassione verso le anime cadute. È detto che per la grazia di Krsna si incontra un guru o maestro spirituale, e perla grazia del maestro spirituale si raggiunge Krsna. È come il dono dell’alba: Di notte, regna l’oscurità, ma il mattino, al sorgere del sole, immediatamen­te milioni di miglia di tenebre vengono rimosse. Nello stesso modo, se cerchiamo di far sorgere il sole di Krsna all’interno del nostro cuore, tutti i nostri problemi avranno fine.

CAPITOLO 7

La liberazione in coscienza di Krsna: il dono più prezioso

Se ci impegniamo ad adorare la Persona originale (àdi­purusam), non correremo più il rischio di essere ingannati. Sridhara Svami, il commentatore originale dello Srimad ­Bhagavatam, spiega che si può raggiungere la perfezione della vita solo grazie al servizio di devozione (kevalaya bhaktya); non c’è bisogno di dipendere da qualche altro metodo. Sukadeva Gosvami afferma inoltre che in un atti­mo si può porre fine all’esistenza materiale (kevalayà). Non c’è bisogno di sottoporsi prima a severe penitenze e austerità, di praticare il celibato, il controllo della mente e dei sensi, di dare in carità, o di eseguire grandi sacrifici o fare il voto di veridicità e pulizia. È sufficiente accettare la coscienza di Krsna per raggiungere subito la posizione più elevata e svi­luppare tutte le qualità trascendentali. L’orefice usa un piccolo martello e batte sull’oro molte volte, ma il fabbro si serve invece di un grosso martello, e con un colpo solo il suo lavoro è terminato. Questo è il metodo del fabbro: prendia­mo il grande martello del bhakti-yoga e diamo fine alla vita materiale. Non è necessario sottoporsi a svariate discipline minori o a seguire qualche altro metodo. In effetti, ci è dif­ficile anche seguire gli altri processi vedici di perfezione. Il metodo dell’hatha-yoga, per esempio, prescrive: “Bisogna osservare il più stretto celibato, sedersi nella foresta con una giusta posizione del corpo rispetto alla terra, chiudendo le narici con le dita. Tutto questo per una durata di sei mesi.” Chi potrebbe mettere in pratica una istruzione simile? Poi­ché tale metodo non è applicabile nell’era attuale, il metodo dell’orefice dev’essere scartato. L’unica soluzione è prende­re il martello del fabbro e distruggere in un colpo solo tutte le reazioni del peccato.

Grazie al servizio devozionale, possiamo diventare vasudeva-parayana, devoti di Vasudeva o di Krsna. In altre parole, dobbiamo apprendere il metodo per diventare amanti di Vasudeva. Se il mondo accetta questa coscienza di Krsna, otterrà finalmente la pace. Questo pianeta sta diventando rapidamente un pianeta infernale e se non si accetta questa coscienza di Krsna, tale condizione infernale si affermerà, malgrado tutti i progressi nel campo dell’istruzione e dello sviluppo economico. Le persone sincere devono quindi pren­dere questo movimento molto seriamente e cercare di comprenderne il valore. Non è il frutto dell’immaginazione di un uomo o di un gruppo di seguaci. È autorevole e antico, si basa sulla letteratura vedica, risalente a migliaia di anni fa.

Nihàram iva bhaskarah. Bhàskara si riferisce al sole. Il sole dissipa immediatamente la nebbia o la foschia come anche le tenebre. Come è stato detto precedentemente; dobbiamo cercare di far sorgere il sole di Krsna all’interno del nostro cuore. Anche la Caitanya- Caritàmrta afferma che Krsna è come il sole, e maya, l’energia illusoria, è l’oscurità. Yàhàn krsna, tàhàn nàhi màyàra adhikàra: Quando il sole di Krsna è presente, le tenebre di maya scompaiono immedia­tamente. Se invece non si segue questo metodo, l’oceano delle tenebre di maya è molto difficile da superare. Se inse­gniamo alla gente ad arrendersi a Krsna, Dio, la nebbia del­l’illusione scompare.

Il metodo è molto semplice: basta can­tare Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare.

Più si procede nel canto, più le tenebre di molte vite ven­gono dissipate. Ceto darpana-marjanam: attraverso il canto si pulisce la polvere dallo specchio della mente e si possono così vedere le cose molto distintamente. In tal modo, si com­prende la propria identità, chi è Dio e cos’è questo mondo, qual è la nostra relazione con Dio, come vivere in questo mondo e quale sarà la nostra prossima vita. Questa conoscenza non si apprende nelle scuole, dove si insegna solo come creare o acquistare prodotti per il piacere dei sensi. Gli uomini lottano duramente nel tentativo di dominare la na­tura materiale; ma ogni loro innovazione, è sempre accom­pagnata da inconvenienti. Recentemente, per esempio, al­cuni ingegneri progettarono un aereo capace di volare a grandi velocità senza pericolo. Ma quando questo aereo è in volo, rompe i vetri delle finestre di tutta la città. Così, spre­chiamo il nostro tempo per costruire dei congegni che ci apportano solo un vantaggio temporaneo e artificiale, al prez­zo di un proporzionato numero di svantaggi. Questo fa parte della legge del karma, la legge di azione e reazione. Tutte le nostre azioni sono seguite da reazioni che ci incatenano. Ciò è affermato nella Bhagavad-gita:

yajnàrthàt karmano ‘nyatra

loko ‘yam karma-bandhanah

tad-artham karma kaunteya

mukta-sangah samàcara

“L’attività dev’essere compiuta come sacrificio a Visnu, al­trimenti lega il suo autore a questo mondo materiale. Perciò, o figlio di Kunti, compi i tuoi doveri per la soddisfazione di Visnu, e resterai per sempre libero dai legami della mate­ria.” (B.g. 3.9)

Se si agisce con lo scopo della gratificazione dei sensi, l’azione, buona o cattiva, è causa di incatenamento per l’uo­mo, ma se si agisce per la soddisfazione di Krsna (yajnàrthàt karmano), ci sarà la liberazione, qualunque sia la natura della propria azione.

Sukadeva Gosvami disse: “Mio caro re, le persone empie possono purificarsi dalla loro contaminazione materiale, con tapa-àdibhih, la pratica dell’austerità.” Sukadeva aggiunse che con questo metodo non ci si può purificare completa­mente. Sono molti gli esempi di yogi che praticano l’austerità senza diventare puri. Visvamitra Muni, ad esempio, era uno ksatriya che desiderava diventare brahmana e si impegnò nella pratica dell’austerità. In seguito, egli cadde vittima del fascino di Menaka, una cortigiana dei pianeti celesti. Poiché Visvàmitra non era puro, rimase invischiato a causa sua, ed ebbe un figlio. Perciò è detto che anche eseguendo austerità e penitenze, le circostanze della vita materiale sono così coin­volgenti, che in un modo o nell’altro trascinano ripetutamen­te l’individuo nelle influenze della natura materiale. Sono molti gli esempi di sannyasi che rinunciarono al mondo, con­siderandolo falso e pensando: “Voglio dedicarmi al Brahman”, ma successivamente, furono coinvolti nuovamente negli affa­ri mondani e si impegnarono nella costruzione di ospedali o in opere filantropiche e di beneficenza. Se il mondo è falso; perché allora si impegnano in attività benefiche? Secondo la filosofia della coscienza di Krsna, questo mondo non è falso ma è temporaneo. Dio ha creato questo mondo, e poiché Egli è vero come può la Sua creazione essere falsa? Poiché questa è la creazione di Dio, ed Egli è la Verità Assoluta, anche questa creazione è vera. Noi la vediamo diversamente solo a causa dell’illusione. Il mondo è una realtà, ma una realtà tem­poranea.

Qualcuno potrebbe affermare che qualcosa all’interno di questo mondo gli appartiene, ma questa è una falsa affer­mazione. È vero che appartiene a qualcuno, appartiene a Dio (isàvàsyam idam sarvam). Questo non significa, comun­que, che la proprietà sia falsa. Ciò che è falso, è l’affermazio­ne di proprietà da parte dell’uomo, basata unicamente sulla falsa e superba convinzione di essere il proprietario, il mae­stro, Dio. Tutti desiderano essere maestri o proprietari di qualcosa, quindi ministri, presidenti, poi Dio. Quando tutto il resto fallisce, l’essere vivente desidera diventare Dio. La tendenza è quella di voler diventare il più grande di tutti, ma resta il fatto che Dio è il più grande e l’essere vivente è infi­nitesimale rispetto a Lui. Il più piccolo non è falso, come anche il più grande, ma quando il più piccolo pensa di essere grande, allora è falso.

Dalle Scritture vediche apprendiamo che il Brahman, ossia lo Spirito, è anor aniyàrimsam, più piccolo di un atomo, e mahato mahiyàmsam, più grande del più grande. Per quello che riusciamo a concepire, lo spazio contenente l’universo è il più grande; ma Krsna ha mostrato milioni di universi nella Sua bocca. Gli esseri viventi che sono particelle di Dio, non possono comprendere la grandezza di Dio; noi siamo molto piccoli, infinitesimali, e Dio è infinito. A dire il vero, l’anima spirituale individuale ha una dimensione talmente microscopica, che non può essere vista. Anche solo immagi­narla con i propri sensi materiali risulta impossibile. Perciò è detto che l’anima spirituale è più piccola di un atomo (anor aniyàmsam).

Poiché sia gli esseri viventi sia Krsna, il Signore Supremo, sono spirito, sono qualitativamente uno. Quantitativamente, però, il Signore è grande e gli esseri viventi sono piccoli. Ciò può essere accettato immediatamente sulla base delle infor­mazioni contenute nei Veda.

Nella Brahma-samhita si affer­ma, yasyaika-nisvasita-kàlam athàvalambya jivanti loma­vilajà jagad-anda-nàthàh: molti milioni di universi emanano dal corpo di Dio, quando Egli espira, e vengono nuovamente dissolti quando inspira: È solo grazie al Suo respiro che mi­lioni di universi sono creati e dissolti. Ma se le cose stanno così, come possono gli esseri viventi, proclamare di essere i proprietari di qualcosa? La nostra posizione è sicura fintanto che non affermiamo falsamente di essere Dio o i proprietari. È diventato di moda affermare -di essere Dio, e gli sciocchi accettano tali asserzioni. Ma dalla letteratura vedica appren­diamo che Dio non è così à buon mercato.

Non appena smettiamo di fare tali affermazioni egocen­triche e superbe, siamo già liberati. Non c’è alcun bisogno di cercare la liberazione. Ma fintanto che una persona pensa di essere il corpo, rimane nello stato condizionato. Liberazio­ne significa conoscere perfettamente bene che il proprio sé è distinto dal corpo. Perciò Sukadeva Gosvami disse, pràyascittam vimarsanam: “Sviluppa la tua conoscenza, que­sto ti darà sollievo.” La nostra conoscenza diventa perfetta quando arriviamo a capire che siamo particelle infinitesimali di scintille spirituali, e che Dio, il Supremo essere spiritua­le, provvede a tutte le nostre necessità (eko bahúnàm yo vidadhàti kàmàn). Sapendo di essere minuscole particelle, parti integranti di Dio, possiamo comprendere anche che il nostro dovere consiste nel servire Dio. Dio è il centro di tutta la creazione, dell’intero corpo universale. Egli è il beneficia­rio e noi siamo Suoi servitori. Non appena questo concetto diventa chiaro, ci liberiamo.

La liberazione implica la libertà da ogni falso concetto. Essere liberato non significa acquisire dieci mani. Lo Srimad-Bhagavatam definisce la liberazione muktir hitvà-nyatha-rúpam. Mukti significa “abbandonare” e anyatha-rupam indica una falsa concezione della vita. Solo quando ci si situa nella propria posizione costituzionale originale, liberi da ogni falso concetto, si raggiunge lo stato liberato. Lo Srimad ­Bhagavatam afferma che attraverso l’acquisizione della co­noscenza ci si libera immediatamente. Ciò può essere ottenu­to molto facilmente; perché tale conoscenza è molto sempli­ce: Dio è grande e noi siamo molto piccoli; Egli è il proprietario supremo e provvede a tutte le nostre necessità, e noi siamo i Suoi servitori. Chi può metterlo in dubbio? È una realtà. Noi crediamo falsamente di essere questo o quello e in tal modo giungiamo all’errata conclusione di essere Dio. Ma che razza di Dio siamo? Basta un piccolo malessere fisico per mandarci dal dottore. Perciò, chiunque affermi di essere Dio, bisogna capire che è caduto vittima dell’ultima trappola di maya. Una persona così caduta, non può mai ottenere la libe­razione, perché è legata a falsi concetti.

Solo quando si raggiunge la vera conoscenza ci si libera. Lo stadio liberato è detto anche stadio di brahma-bhútah. Nella Bhagavad-gita, Sri Krsna descrive così le caratteristi­he di colui che ha raggiunto tale livello:

brahma-bhútah prasannàtma

na socati na kànksati

samah sarvesu bhútesu

mad-bhaktim labhate param

“Colui che ha così raggiunto la trascendenza realizza subito il Brahman Supremo e diventa felice. Non si lamenta; non ha desideri di possesso ed è equanime verso tutti gli esseri vi­venti. In questa condizione può servirMi con una devozione pura.” (B.g. 18.54)

La gioia che segue alla realizzazione spirituale deriva da questa comprensione: “Per lungo tempo sono rimasto vitti­ma di falsi concetti. Che sciocco sono stato! Pensavo di esse­re Dio, ma ora capisco di essere l’eterno servitore di Dio.” Quando si giunge finalmente a questa comprensione; ci si situa allo stato liberato e si diventa prasannàtma, felici, perché questa è la posizione costituzionale dell’essere vivente.

Colui che è situato in pura coscienza, non si lamenta mai, perché sa di essere una minuscola parte, una scintilla spiri­tuale protetta dal Signore Supremo. Che motivo c’è dunque di lamentarsi? Un bambino si sente libero finché sa che il padre è con lui. Egli pensa: “Mio padre è qui di fronte a me, quindi sono libero. Nessuno può farmi del male.” Similmen­te, colui che si abbandona a Krsna, è sicuro di non essere in pericolo, perché ha la protezione del Signore. Una persona così abbandonata a Krsna, non è soggetta al lamento o al desiderio, mentre coloro che non sono coscienti di Dio, non fanno altro che desiderare e lamentarsi. Essi desiderano ar­dentemente ciò che non hanno e si lamentano per ciò che hanno perso. La persona cosciente di Krsna non è soggetta a tale ansietà. Se è privata di qualcosa, sa che è per volontà di Dio e pensa: “Dio voleva così, quindi va bene.” Non aspira a niente, perché sa che Krsna, il Supremo Padre, provvede a tutte le sue necessità.

Non appena si comprende la propria relazione con Dio, si realizza la fratellanza universale, perché si capisce che tutti, uomini e animali, a dire il vero, tutto ciò che ha vita, sono parti del tutto supremo e sono perciò su un piano di egua­glianza. Perciò non c’è invidia, né sfruttamento o disturbo per alcun essere vivente. Poiché è situato nella giusta co­scienza, il devoto di Krsna sviluppa automaticamente tutte le buone qualità. Haràv abhaktasya kuto mahad-guna mano rathenàsati dhàvato bahih. Colui che ha sviluppato la co­scienza di Krsna manifesta tutte le buone qualità dei deva. È detto, infatti, vanca-kalpa-tarubhyas ca krpa-sindhubhya eva ca: il Vaisnava o devoto di Krsna è un oceano di misericordia. Egli concede alla società il dono più grande, perché essa ha un estremo bisogno di ricevere la coscienza di Dio. Il Vaisnava distribuisce il dono inestimabile del maha-mantra, Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. Semplicemente can­tando questo mantra, ci si mantiene in uno stato liberato.

Ad ogni modo, non si deve pensare che si tratti di uno stato di `trance’ in cui si rimane per giorni seduti in un angolo con la schiena ritta e le gambe incrociate. No, liberazione significa servizio. Non basta dire: “Adesso ho dedicato a Krsna la mia vita. Rimarrò seduto in samadhi.” Lo standard di abbandono dev’essere mantenuto attraverso nisevaya, il servizio. Il Signore Supremo Si rivela nel cuore di colui che Lo serve. Il servizio devozionale al Signore viene eseguito dal mattino alla sera. A dire il vero, Krsna dice nella Bhagavad-gita che ci si deve impegnare al Suo servizio per ventiquattro ore al giorno. Non è sufficiente meditare solo per quindici minuti e poi impegnarsi in ogni genere di scioc­chezze. Più serviamo Krsna, più ci dedicheremo a Lui. Per­ciò una persona dovrebbe utilizzare tutto il suo talento per Krsna. Sono nove i metodi di servizio devozionale, l’ascolto, il canto, il ricordo, il servizio, l’adorazione delle Divinità nel tempio, la preghiera, l’esecuzione di ordini, il servizio a1 Signore in una relazione d’amicizia e il sacrificio di ogni cosa per Lui. Un individuo dovrebbe sempre tenersi impegnato in almeno uno di questi nove procedimenti. Chi si impegna costantemente al servizio di Krsna non perde mai il gusto per tale pratica (bhajatam priti púrvakam).

Il servizio deve.essere reso con amore; all’inizio si possono incontrare delle difficoltà, tanto da rimanere delusi. Progredendo nel servizio a Krsna, comunque, si troverà questa pratica molto pia­cevole. Krsna dice nella Bhagavad-gita:

yat tad agre visam iva

parinàme ‘mrtopamam

tat sukham sàttvikam proktam

àtma-buddhi-prasàda jam

“La felicità che all’inizio può sembrare veleno, ma alla fine è come nettare, e risveglia alla realizzazione spirituale, ap­partiene alla virtù.” (B.g. 18.37)

Una volta raggiunta la piattaforma spirituale, è l’attività materiale che diventa disgustosa. Ad esempio, una persona può cantare Hare Krsna per tutta la vita senza stancarsi mai dei santi nomi del Signore, mentre si stancherebbe presto di ripetere un qualsiasi nome materiale. Più si cantano i nomi di Krsna e più si sviluppa attrazione per essi. I metodi di sravanam e kirtanam, l’ascolto e il canto delle glorie del Si­gnore, sono l’inizio del servizio devozionale. Il metodo suc­cessivo è smaranam, il ricordo costante di Krsna. Colui che raggiunge la perfezione nel canto e nell’ascolto, è sempre immerso nel ricordo di Krsna. A questo terzo stadio, si di­venta il più grande yogi.

Il progresso fatto in coscienza di Krsna non è mai perso. Nel mondo materiale, se si inizia la costruzione di una fab­brica ma non la si porta a termine, l’impresa sarà del tutto inutile. Se i lavori si arrestano e l’edificio è lasciato a metà, tutto il denaro investito è perso. In coscienza di Krsna, inve­ce, lo spiritualista che non riesce a raggiungere lo stadio della perfezione mantiene al suo attivo il progresso fatto, e nella sua prossima vita riparte dal punto in cui era arrivato. Krsna conferma nella Bhagavad-gita, che la persona che si dedica alla coscienza di Krsna non ha niente da perdere:

nehàbhikrama-naso ‘sti

pratyavàyo na vidyate

svalpam apy asya dharmasya

tràyate mahato bhayat

“In questo sforzo non vi è perdita o diminuzione, e un picco­lo passo verso questa via ci protegge dalla paura più temibi­le.” (B.g. 2.40)

Nel Sesto Capitolo della Bhagavad-gita, quando Arjuna fa domande sul destino dello yogi che fallisce, Sri Krsna risponde:

sri-bhavavan uvàca

pàrtha naiveha nàmutra

vinàsas tasya vidyate

na hi kalyàna-krt kascid

durgatim tata gacchati

“Dio, la Persona Suprema, disse: O figlio di Prtha, lo spiritualista impegnato in attività propizie non incontra mai la distruzione né in questo mondo né nel mondo spirituale; chi agisce bene, amico Mio, non è mai sopraffatto dal male.” (B.g. 6.40)

Il Signore afferma che lo yogi, anche se fallisce, continua la pratica della coscienza di Krsna nella sua prossima vita, ripartendo dal punto in cui ha lasciato. In altre parole, una persona che ha compiuto il cinquanta per cento del metodo in una vita, nella prossima riprende dal cinquantuno per cento. Tutti i benefici materiali accumulati nel corso dell’esi­stenza, invece, verranno annullati al momento della morte; non possiamo portare le opulenze materiali con noi.

Ad ogni modo, non bisogna aspettare la prossima vita per essere coscienti di Krsna. Dovremmo cercare di portare avanti la missione della coscienza di Krsna in questa vita stessa. Krsna assicura che chi diventa Suo devoto Lo rag­giungerà Krsna

man-mana bhava mad-bhakto

mad-yàji mam namaskuru

mam evaisyasi satyam te

pratijàne priyo ‘si me

“Pensa sempre a Me, diventa Mio devoto, adoraMi e offriMi i tuoi omaggi. Così verrai a Me senza alcun dubbio. Te lo prometto perché Tu sei un amico che Mi è molto caro.” (B.g. 18.65)

Non dobbiamo pensare che tornare da Krsna significhi stare in piedi davanti a un vuoto o ad una luce impersonale. Krsna, Dio, è una persona, proprio come noi. Dal punto di vista materiale, possiamo comprendere che nostro padre è una persona, e che il padre di nostro padre è anch’egli una persona, e così il padre di suo padre, ecc., fino a risalire al Supremo Padre, che, seguendo questa logica, dev’essere senza dubbio una persona. Questo non è molto difficile da capire; è noto che Dio è definito Padre Supremo non solo dai Veda ma anche dalla Bibbia, dal Corano e da altre Scritture. Anche il Vedanta-sutra afferma che la Verità Assoluta è il Padre Originale, da cui tutto ha origine. I Veda confermano:

nityo nityànàm cetanas cetanànàm

eko bahúnàm yo vidadhàti kàmàn

“Il Signore è l’Eterno Supremo tra tutti gli esseri eterni e il Supremo Essere vivente tra tutti gli esseri viventi. Egli man­tiene tutti.” I desideri e i sintomi vitali mostrati da tutti gli esseri viventi sono semplici riflessi dei desideri e degli impulsi vitali del Padre Supremo. In altre parole, noi abbiamo dei desideri perché Lui ha desideri. Poiché siamo parti integran­ti di Dio, possediamo le Sue stesse qualità benché in quantità infinitesimale. Il gioco del sesso e la vita sessuale, presenti nel mondo materiale, non sono altro che il riflesso distorto dell’amore nel mondo spirituale. Questo mondo è materiale perché qui ci si dimentica di Dio, ma non appena ci si ricorda di Lui, esso diventa immediatamente spirituale. In altre parole, il mondo spirituale è quel luogo in cui Krsna non è mai dimenticato. Questa è la definizione delle Scritture vediche. Perciò, dobbiamo pianificare la nostra vita in modo da non dimenticarci mai di Krsna. Così, impegnandoci co­stantemente al servizio di Krsna, vivremo sempre a Vaikuntha o a Vrndavana, la Sua dimora.

A1 momento presente, a causa della nostra coscienza contaminata, stiamo trasformando questo mondo, in un luogo materiale e infernale, e poiché ignoriamo la nostra posizione costituzionale, abbiamo creato innumerevoli pro­blemi, proprio come in un sogno. In realtà questi problemi non esistono. Potremo sognare di essere travolti da una tempesta, di essere inseguiti o derubati da qualcuno, di essere divorati da una tigre, ma in realtà queste sono tutte creazioni della mente. Asango hy ayam purusa iti sruteh. I Veda affermano che il purusa (l’atma o anima), non ha niente a che vedere con le attività materiali, che sono simili ad un sogno. Perciò dobbiamo impegnarci in questo meto­do per la coscienza di Krsna al fine di risvegliarci da questo stato di sogno.

Superiori a coloro che si dedicano all’attività interessata, agli speculatori e agli yogi mistici, sono i bhakta, i devoti di Krsna. Il bhakta è perfettamente sereno, mentre gli altri non ci riescono; tutti hanno desideri, ad eccezione del bhakta, il ti quale nutre un puro amore per Krsna. Un suddha-bhakta è privo di desideri, perché è felice di servire Krsna. Egli non sa e neanche si chiede se Krsna è Dio; egli desidera solamente amare Krsna. Né si preoccupa del fatto che Krsna è onnipo­tente e onnipervadente. A Vrndavana, i pastorelli e le gopi non sapevano se Krsna fosse Dio, ma essi, semplicemente, Lo amavano. Sebbene non fossero dei Vedantisti, yogi, o karmi, erano felici, perché erano dei semplici ragazzi e ra­gazze di villaggio desiderosi di vedere Krsna. Questa è una posizione molto elevata detta sarvopàdhi-vinirmúktam tat­paratvena-nirmalam, ossia lo stadio di purezza in cui ci si libera da ogni designazione materiale.

Sebbene yogi e jnani stiano cercando di comprendere Dio, essi non sono consapevoli della loro condizione illusoria. Maya-sukhàya bharam udvahato vimúdhàn: sono degli sciocchi perché lavorano duramente per una felicità illuso­ria. Non c’è pace per loro. I jnani, gli speculatori, che deside­rano liberarsi dal duro lavoro di questo mondo materiale, lo rigettano (brahma satyam jagan-mithya). La loro posizione è leggermente più elevata di quella dei karmi, i quali consi­derano il mondo materiale come unica realtà. Essi dicono: “Qui saremo felici” e il loro dharma, o religione, consiste nel cercare di creare un’atmosfera pacifica in questo mondo. Questi sciocchi non sanno che malgrado si cerchi di ottenere questa atmosfera da milioni di anni, ciò non si è mai verifi­cato e mai accadrà. Come ci può essere pace in questo mon­do materiale, quando Krsna, il creatore stesso, afferma che questo è un luogo di dispiaceri e sofferenze?

àbrahma-bhuvanal lokàh

punar àvartino ‘rjuna

mam upetya tu kaunteya

punar janma na vidyate

“Tutti i pianeti del mondo materiale, dal più alto al più bas­so, sono luoghi di sofferenza dove nascita e morte si susse­guono ripetutamente. Ma chi che raggiunge la Mia dimora, o figlio di Kunti, non rinasce più.” (B.g. 8.16)

Duhkhàlayam asàsvatam: questo mondo non è soltanto pieno di sofferenze, ma è anche temporaneo. Non ci è possi­bile nemmeno accettare le tre forme di sofferenze e rimanere qui, in questo mondo materiale. Neanche questo è per­messo. Non solo si è puniti nel corso della propria permanen­za in questo mondo, ma si viene anche buttati fuori, alla fine. Una persona potrebbe accumulare una grande somma di denaro in banca, oppure avere una casa lussuosa, una moglie e dei figli e molte comodità e pensare: “Sto vivendo in pace”, ma in qualsiasi momento gli può venir detto: “Per favore, vattene.”

“Perché?” egli domanderà. “Questa è la mia casa, io pago per averla. Io ho denaro, un lavoro e delle responsabilità. Perché dovrei andarmene?”

“Vattene senza discutere. Non lamentarti. Va fuori!” In quel momento un uomo vede Dio. “Oh, io non crede­vo in Dio”, penserà, “ma ora egli mi ha tolto ogni cosa.” È detto, infatti, che i demoni riconoscono Krsna come la mor­te, perché è a quel punto che Egli toglie loro ogni cosa. Perché vogliamo vedere Dio come la morte? Quando il demone Hiranyakasipu vide Krsna, Lo vide come la morte personificata, ma il devoto Prahlada Lo vide nella Sua forma personale, come il suo amato Signore. Coloro che sfidano Dio, Lo vedranno nel Suo aspetto terrificante, ma coloro che Gli sono devoti Lo vedranno nella Sua forma personale. In ogni caso, tutti alla fine vedranno Dio.

La persona onesta vede Krsna ovunque. Krsna dice: “Cerca di comprendermi. Cerca di vedermi ovunque.” Con l’intento di facilitare questo metodo, il Signore dice, “raso ‘ham apsu kaunteya”: “Io sono il sapore dell’acqua.” Quan­do siamo assetati e desideriamo un bicchiere d’acqua, pos­siamo berla e sentirci felici, nel comprendere che il potere dissetante dell’acqua è Krsna.

Così, anche al sorgere del sole e della luna possiamo vedere Krsna, perché Egli dice; prabhàsmi sasi-suryayoh: “Io sono il sole e la luna.” A un ulteriore stadio possiamo vedere Krsna come la forza vitale all’interno di ogni cosa, come il Signore afferma nella Bhagavad-gita:

punyo gandhah prthivyam ca

tejas càsmi vibhàvasau

jivanam sarva-bhútesu

tapas càsmi tapasvisu

“Sono il profumo originale della terra e il calore del fuoco. Sono la vita di tutto ciò che vive e l’austerità dell’asceta.” (B.g. 7.9)

Dopo aver compreso che per la propria esistenza ogni cosa dipende da Krsna, come si può rimanere insensibili nei Suoi confronti? Nella Bhagavad-gita il Signore afferma che tutto dimora in Lui, all’inizio, alla fine e nello stadio intermedio:

etad yonini bhútàni

sarvànity upadhàraya

aham krtsnasya jagatah

prabhavah pralayas tatha

mattah parataram nànyat

kincid asti dhananjaya

‘ mayi sarvam idam proktam

sútre mani-gana iva

“Tutti gli esseri creati hanno origine da queste due nature. Sappi per certo che di tutto ciò che è materiale e di tutto ciò che è spirituale in questo mondo lo sono l’origine e la fine. O conquistatore delle ricchezze, non esiste verità superiore a Me. Tutto su Me riposa come perle su un filo.” (B.g. 7.6,7)

Krsna può essere visto facilmente, ma è visibile solo ai Suoi devoti. Per le persone invidiose o prive di intelligenza, Egli si cela dietro il velo della Sua maya:

nàham prakàsah sarvasya

yoga-màyà-samàvrtah

mudho ‘yam nàbhijànàti

loko mam ajam avyayam

“Io non Mi rivelo mai agli sciocchi e agli ignoranti. Per loro rimango nascosto dalla Mia potenza interna, perciò essi non sanno che lo sono il non-nato e l’infallibile.” (B.g. 7.25).

Questa eterna potenza creatrice, o yoga-maya, che rende Krsna invisibile alla persona priva di intelligenza, può essere dissolta dall’amore.

La Brahma-samhita afferma:

premanjana-cchurita-bhakti-vilocanena

santah sadaiva hrdayesu vilokayanti

“Colui che ha sviluppato amore per Krsna può vederLo al­l’interno del suo cuore per ventiquattr’ore al giorno.”

Coloro che vedono Krsna in questo modo sono liberi dall’ansietà, perché conoscono la loro destinazione dopo la morte. Colui che ha accettato il dono della coscienza di Krsna è consapevole del fatto che non dovrà più tornare in questo mondo materiale per prendere un altro corpo, ma tornerà da Krsna. Non è possibile raggiungere Krsna, senza ottenere un corpo simile al Suo, un corpo sac-cid-ananda-vigraha, pieno di eternità, conoscenza e beatitudine. Una persona non può entrare nel fuoco e rimanere illesa, a meno che sia lei stessa a diventare fuoco; similmente, non si può entrare nel regno spirituale con un corpo che non è spirituale. In un corpo spirituale si può danzare con Krsna nella danza rasa come le gopi e i pastorelli. La loro non è una danza ordinaria, ma è la danza dell’eternità in compagnia di Dio, la Suprema Per­sona. Solo coloro che si sono purificati nel loro amore per Krsna possono parteciparvi. Perciò, non si deve considerare questo metodo della coscienza di Krsna una cosa di poco valore, bensì un dono inestimabile elargito dal Signore stesso all’umanità sofferente. Impegnandosi semplicemente in questo metodo, tutte le ansietà e le paure che affliggono la nostra esistenza, e in realtà ruotano attorno alla paura della morte, saranno eliminate.