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VAISHNAVISMO


VAISHNAVISMO

di

Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura

Prefazione degli editori contenuta

nella prima edizione

(3 Agosto 1926)

Questo breve saggio contiene l’essenza del vero vaisnavismo, così come è stato rivelato nei Veda, nelle Upanisad, nella Gita, nel Bhagavatam e nelle scritture che concordano con la versione vedica.

Contiene inoltre gli insegnamenti che da tali scritture sono stati tratti e messi in pratica da Srì Caitanya Deva.

Sulla via qui indicata, della realizzazione della verità, si possono riscontrare quattro tipi di pretesti: i condizionamenti di nascita e di condizione (alta o bassa), di conoscenza mondana (elevata o insufficiente) e di forma (bella o brutta, maschile o femminile). L’Anima Suprema, in cui tutte le anime individuali sono contenute, e a cui tutte, in modo consapevole o inconsapevole, si sottomettono, dimostra che le nostre capacità ed i nostri stratagemmi sono falsi ed erronei. Le parole di ogni anima che parla da quella dimensione devono suonare vane per coloro che non si trovano allo stesso livello di comprensione.

Quando i muri del tempo e dello spazio sono portati via ci si trova esposti, da un lato, alle illimitate profondità della natura spirituale e, dall’altro, agli attributi del Signore Supremo. A quel punto si scopre che c’è un’altra giovinezza, un’altra età, che nulla ha a che vedere con quella misurata dall’anno della nostra nascita mondana. Si comprende così che la bilancia dell’anima è di un tipo, e quella degli agenti della mente materiale, ossia dei sensi e della capacità di pensare, di un altro.

Non è la mente, che dirige gli organi di senso e d’azione, ad essere l’anima nell’uomo, bensì ciò che dà animazione alla mente, a questi organi, allo sfondo e all’ambiente della nostra esistenza. L’angolo di visione di queste anime individuali e dell’Anima Suprema è, ovunque, lo stesso, mentre c’è una distintiva varietà e una molteplicità di angoli di visione tra gli elementi materiali e il mondo dei sensi. Queste righe probabilmente creeranno un desiderio di conoscere in ogni dettaglio la natura essenziale dell’Eterno, o Verità Assoluta, e di indagare con sollecitudine, onestà e sincerità su tutto ciò che Lo riguarda direttamente.

Sua Divina Santità, Paramahamsa Parivràjakàcàrya Srì Srìmad Bhaktisiddhànta Sarasvatì Gosvàmì Mahàràja, il Presidente Acarya e capo organizzatore della Visva-Vaisnava-Rajà Sabhà è sempre pronto ad inviare in ogni parte del mondo i suoi diretti collaboratori, dei devoti ideali, a spiegare per completo le suddette scritture in bengali, hindi e inglese. Non ha altra occupazione che riversare perpetue benedizioni sull’umanità sofferente e fermare le fonti perenni delle triplici miserie ereditate da tutto ciò che è carnale.

Introduzione

La parola vaisnavismo indica la normale, eterna e naturale condizione di tutte le anime individuali e le loro caratteristiche di devozione in relazione a Srì Visnu, l’Anima onnipresente.

La parola vaisnava in modo naturale e letterale significa colui che adora Visnu per puro amore, senza aspettarsi da Lui niente in cambio. La jìva, l’anima individuale, è quella parte che è identica al tutto, dal punto di vista qualitativo, ma differente se considerata quantitativamente.

Questa è la vera ed eterna relazione tra la jìva e Visnu. Il servizio al Maestro è la funzione fondamentale del servitore e in questo modo ogni jìva è un vaisnava.

I miei sinceri ringraziamenti a tutti coloro che hanno reso possibile la pubblicazione in lingua italiana di questo testo del mio maestro spirituale. Possa Egli e il Signore Srì Krishna benedirli tutti per il servizio reso.

Invocando le benedizioni del Divino Maestro

Srìla Sarasvatì Gosvàmì,

Tridandi Bhiksu B.V.Purì Mahàràja

Papamocani Ekadasì

14 marzo 1999

INVOCAZIONE

Inchiniamoci, prostriamoci all’Acàrya, a Gurudeva (il precettore). Lui non è altri che la manifestazione esterna del Signore Supremo stesso.

Essendo l’incarnazione della benevolenza di Dio, è sempre impegnato nell’operare amorevolmente con la punta della vera conoscenza sulla cateratta che ricopre di ignoranza l’occhio di tutte le anime individuali condizionate. E’ lui che apre loro gli occhi spirituali dell’eternità ungendoli con il collirio del puro, disinteressato e ininterrotto amore per Krishna. Bloccando ulteriori attacchi al male, li rende, inoltre, idonei a vedere Krishna di persona nella Sua beata dimora.

Baciamo la polvere dei santi piedi dei devoti di Krishna. Essi sono come alberi dei desideri (kalpataru)  che producono il frutto della soddisfazione di tutti i nostri desideri devozionali, sono oceani di gentilezza e purificano le anime cadute.

Prostriamoci anche dinanzi a Srì Krishna Caitanya, che è Krishna stesso. Lui è generoso per eccellenza. Distribuisce liberamente il puro amore di Krishna. Lo splendore del Suo corpo offusca quello dell’oro fuso. Lo sguardo grazioso dei Suoi occhi di loto fa si che i devoti considerino l’annientamento della propria individualità, sia in modo cosciente sia incosciente, come un’esistenza infernale, il paradiso come un castello in aria e gli insaziabili e indomabili organi di percezione e d’azione come serpenti privati dei loro denti velenosi, e fa dell’universo una beata dimora.

Vero Vaisnavismo

Per vaisnavismo si intende la condizione, le funzioni e le caratteristiche devozionali normali, eterne e naturali di tutte le anime individuali in relazione a Visnu, l’Onnipresente. Ma a questa parola è stato attribuito un senso così innaturale, spiacevole e deplorevole, tanto che il termine vaisnava richiama subito alla mente una forma umana con dodici segni particolari (tilaka), che indossa un certo abito, che adora molti esseri celesti (deva) nelle vesti di un particolare Dio e che detesta un’altra forma umana che marca il suo corpo con segni diversi dai suoi, che indossa altri tipi di abiti e che adora in modo diverso un Dio differente, come per esempio gli sivaiti, i sakta, ganapatya, i jainisti, i buddisti, i musulmani, i cristiani, ecc.

Questo è il significato più innaturale, spiacevole e deplorevole che si possa dare a questa parola, perché il termine vaisnava letteralmente significa: “colui che adora Visnu spinto dal puro amore, senza aspettarsi niente in cambio da Lui”.

Il Supremo e Onnipresente Visnu dà vita e significato a tutto ciò che esiste. Egli è ovunque ed eternamente la Verità immutabile, suprema e priva d’illusione. E’ eterno (sat), onnisciente (cit), sempre felice e totalmente libero (ananda). Egli è presente nelle anime individuali (jìva) ed esse sono in Lui, come i raggi nel sole splendente e le particelle d’acqua nel vasto oceano. Come il calore e la luce del sole sono gli elementi che compongono i raggi, e la freddezza e la liquidità quelli che compongono le particelle dell’acqua, allo stesso modo nelle anime individuali si trovano l’eternità, l’onniscienza e la felicità. Gli ingredienti e gli attributi del Tutto sono presenti anche nelle Sue parti in misura minore. Così, la parte è identica al Tutto quando è considerata dal punto di vista qualitativa, mentre, quando è vagliata quantitativamente, è differente. Questa è la vera ed eterna relazione tra la jìva e Visnu. In questo senso Lui prevale sempre sulla jìva che le è sempre soggetta!|

Come il servizio reso al padrone è la funzione fondamentale del servitore, così quello reso a Visnu è la naturale ed intrinseca attività dell’anima.

Questo è il vaisnavata o il vaisnavismo. E ogni jìva è un vaisnava. Una persona in possesso di immense ricchezze è considerata avara se non ne fa un uso appropriato. Allo stesso modo, quando non mostrano vaisnavata, le anime sono chiamate non-vaisnava, o avaisnava, sebbene in realtà lo siano.

Jìva reale e jìva immaginaria

Una volta, alla domanda: “Chi Sei?” Srì Caitanya rispose: “Non sono né un bràhmana, né un rè, né un vaisya, né un sùdra, né un sannyàsì, né un bràhmacàrì, né un grhasta, ma il servitore di tutti i servitori di Visnu”.

In un’altra occasione, Srìla Sanàtana Prabhù Gli chiese: “Io chi sono? E perché i tre tipi di sofferenza (tritapa) mi disturbano?”*

Srì Caitanya Deva rispose: “Sanàtana, tu sei una jìva, il tuo vero sé è un eterno servitore di Visnu, ma tu hai anche un sé immaginario, (la tua mente ed il tuo corpo), con cui il vero IO, in condizione di quasi incoscienza, s’identifica. Tritapa affligge l’IO immaginario, perché il vero IO (la jìva) ha indossato questi due vestiti mortali: la mente, sottile e perennemente instabile, che consta di desideri insoddisfatti in continuo aumento, e il corpo fisico composto dei cinque elementi: la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e l’etere”.

Il vero IO dimentica il suo autentico sé e, di conseguenza, è avvolto in questi due vestiti, quello interiore e quello esteriore, identificandosi così come indù, musulmano, cristiano, bràhmana, maschio, femmina, ricco, povero, ecc.

Queste designazioni di credo, casta, rango, ecc. non solo mutano nel corso di differenti esistenze, ma persino durante una stessa vita: un indù diventa musulmano o cristiano, un musulmano diventa indù, un bràhmana diventa brahmo o cristiano, un ragazzo di strada diventa un signore, un signore diventa un mendicante…

Poiché l’instabilità è il primo fattore della mente, essa vola come un’ape ronzante sulle ali dei desideri e cambia a volere il nome, il colore, il credo, l’abitazione ecc…

Si vede spesso qualcuno passare dalla capanna di legno alla Casa Bianca, o dal niente alla corona. I dolci sedici anni si tramutano negli amari sessant’anni, e l’antico ordine cambia cedendo lo spazio a quello nuovo”.

E’ in questa fabbrica di mutamenti, in questo vortice di nascita e morte che la jìva è considerata schiava (baddha), o apparente, ed è sempre impegnata nel forgiare le catene della sua stessa schiavitù.

* ( Tritapa sono le tre forme di sofferenza che affliggono l’anima condizionata. Sono conosciute come: adhyàtmika, o causate dal proprio sé; adhidaivika, inflitte dagli esseri celesti o di origini sovrannaturali; adhibautika, causate dalla natura e dagli altri esseri. Per esempio: la febbre e le malattie analoghe, la collera, il desiderio ed altre passioni del genere provengono dalla miseria conosciuta come adhyàtmika; il tuono, i temporali, ecc. sono prodotti dalla miseria chiamata adhidaivika. Adhibautika è causata da altri esseri, come per esempio animali quali tigri, serpenti, ecc.)

La schiavitù dell’anima

Le anime individuali sono di due tipi: eternamente libere (nitya-mukta), o eternamente schiave (nitya-baddha). Le anime libere non vengono mai fatte schiave e possono servire Dio in cinque differenti sentimenti: come strumento, come servitore, come amico, come genitore o come consorte, nella Sua dimora eterna e piena di felicità, dove non c’è né mutamento, né distruzione, né miseria. Una volta entrata là, la jìva non torna più in questo mondo materiale.

L’inconcepibile e finissima linea di demarcazione tra la terra e l’acqua, la linea dove la terra e l’acqua si incontrano, è chiamata tata. Anche la linea di incontro tra la dimora eterna del Signore Supremo (il mondo cit) e la regione di màyà (il mondo acit), è perciò chiamata tata. Il potere del Signore Supremo manifestato nel tata è conosciuto come tatastha (che giace nel tata) o potere marginale.

Le jìva sono la manifestazione di questo potere di Dio e hanno l’inerente e oscillante libero arbitrio di andare nel mondo cit o nel mondo acit. Il tata non è un luogo di riposo, perciò le jìva devono andare da una parte o dall’altra.

Quelle che preferiscono l’acit cadono nelle grinfie della piovra màyà non appena questi costumi mortali, formati di mente e corpo, le sono infilati addosso come una punizione. Così il satanico delirio nel quale la jìva prova avversione per il beato ed eterno servizio al Suo, preferendo appagare i suoi bramosi desideri di godere della materia, le apre davanti una sorgente perpetua di fuoco liquido e velenoso alla quale inizia a bere a piene mani.

Cercando di dominare màyà, la jìva viene da lei fatta schiava.

Dayà, la gentilezza verso la jìva

Un’anima condizionata, considerandosi mentalmente e fisicamente meno afflitta, si preoccupa della sofferenza di un’altra e fa qualcosa per trovarle un rimedio o darle un conforto. Però questo non è altro che fermare o ridurre le interminabili miserie in modo parziale, locale o temporaneo. Si è riscontrato che una jìva, sentendosi afflitta, per conseguente debolezza o incapacità si astiene dal commettere torti ad altri. Non appena però essa, grazie a quel conforto, recupera la forza o l’abilità sufficiente riprende a far del male alle altre jìva.

Così succede spesso che tali servizi, apparentemente gentili, non solo arrecano danno al destinatario, ma causano ingiurie indirette agli altri. E questo è un aspetto della questione.

Occupiamoci ora dell’altro. Come un giardiniere pota un albero in crescita, permettendo però alle radici di continuare a svilupparsi liberamente e facilmente, o come un dottore tratta un paziente lasciando la malattia principale indisturbata, così questo tipo di gentilezza temporanea ferma senza dubbio per un lasso di tempo lo sviluppo dei momentanei inconvenienti, ma non sradica in alcun modo la causa da cui sorgono tutte queste afflizioni.

Questa causa è stata identificata con la condizione di schiavitù delle anime.

Perciò la vera e permanente gentilezza consiste nel presentare alle anime soggiogate una vera e vivida immagine della loro naturale, libera e beata esistenza e ristabilirle nella loro effettiva posizione.

Quindi la vera gentilezza è applicabile alla jìva reale, mentre la gentilezza apparente si applica alla jìva immaginaria.

Il brahmacarya della mente e dell’anima

Dobbiamo proprio illustrare la triste e deplorevole condizione mentale e fisica della generazione più giovane: i ragazzi delle scuole e delle università?

Voi guardiani, genitori e benefattori dei ragazzi, per quanto tempo farete l’occhiolino al celato indebolimento della vitalità dei vostri cari?

Per quanto tempo sarete crudeli verso di loro?

Poiché reclamate un diritto sul loro corpo e sulla loro mente per il vostro godimento personale, non sarebbe forse giusto che vi occupaste anche del loro appropriato e naturale sviluppo?

In ogni anima c’è un forte ardore di zelo religioso che, sebbene represso, sgorgherà e si aprirà un varco, come fa la pioggia dalla gola di una grondaia che straripa.

Come cresceranno le piante se le siepi protettive le stanno divorando?

Qualcuno può forse negare il fatto che questa generazione stia diventando di giorno in giorno sempre più mentale e perciò fisicamente schiava dei suoi sensi?

Le semplici restrizioni artificiali e le austerità del corpo e della mente, una meccanica regolazione della dieta e una vita in solitudine, non costituiscono il brahmacarya, (periodo di celibato e di studi sotto la tutela di un maestro spirituale) perché cambiano l’orizzonte, ma non la mente che scorrazza sulla superficie del mare. Se così fosse, allora gli animali dello zoo sarebbero i migliori brahmacari!

Il brahmacarya è la centrale elettrica da cui sono generate le correnti della conoscenza del proprio sé (àtmàjnana).

Esse illuminano il sé accecato, ne trattengono tutte le tendenze malefiche e mettono in moto tutto il meccanismo.

Allora il corpo umano, questa zattera fragile e rara, accidentalmente ottenuta, potrà farci attraversare il mare, fino a gettare l’ancora nella baia dell’eternità, portando a casa il suo passeggero.

Come una mucca sterile è esattamente uguale ad una mucca da latte, ma non può dare latte al mandriano in cambio degli attenti e fedeli servizi che generano solo ulteriore lavoro, allo stesso modo il cosiddetto brahmacarya, cioè la continenza, o la conoscenza teorica delle scritture, non ispirerà in alcun modo la realizzazione del sé nelle anime condizionate. Per quanto si provi in tutti i modi e con tutti i mezzi, chi non lo è davvero non potrà mai essere un bramhmacàrì. La mente e l’anima, in essenza, sono diametralmente opposte: la prima è irrequieta, impetuosa, mutevole e sempre impegnata a godere della materia, mentre la seconda è eterna, immutabile, fissa e incapace di godere della materia.

Perciò il vero brahmacarya si trova nell’anima e non nella mente.

I difetti caratteristici della mente

La mente e l’anima sono mutuamente ostili, tra di loro c’è una eterna inimicizia.

La mente fallace ha quattro difetti caratteristici che sono totalmente assenti nella mente spirituale: scambia il miraggio per l’acqua o la corda per il serpente; è portata a fraintendere; acquisisce la conoscenza delle cose con dei sensi imperfetti e inganna se stessa e gli altri.

Come il cavallo non può tenersi le redini da solo, allo stesso modo la mente, sempre guidata da un infinito e insaziabile insieme di desideri sotto forma di godimento o indifferenza, non può guidarsi da sola nel fare il bene o il male.

Ogni mente individuale differisce da un’altra. Non si possono trovare due menti identiche. Come dice il proverbio: “Tanti saggi, tante menti”.

Una mente può, con più facilità, afferrare un lupo per le orecchie, piuttosto che rafforzarsi  nell’esperienza spirituale.

Fai attenzione a questa mente! Come un cattiva guida essa appare davanti a te e agli altri nelle vesti di una pecorella, seppure abbia tutta la ferocia di un lupo che va in cerca della preda. E’ come un ladro professionista che, scappando, grida: “Al ladro! Al ladro!”.

Nella seguente canzone del nostro precettore, è stata descritta appieno e con chiarezza la natura ingannevole della mente:

O mente peccaminosa! Tu non sei un vaisnava!

In apparenza canti il nome di Hari in una casa solitaria,

ma lo fai per raggiungere il predominio mondano;

la tua non è altro che pura ipocrisia!

Non sai che la supremazia mondana è priva di

valore, come il letame del cinghiale, e che è uno degli

splendori di màyà, l’illusione? Perché dovresti pensare,

anno dopo anno, alla ricchezza e al godimento?

Queste sono tutte cose momentanee e transitorie!

Quando reclami come tua la ricchezza,

essa genera in te uno sfrenato desiderio di godimento.

Ma solo Màdhava, il Signore di tutte le ricchezze,

dovrebbe essere sempre servito con essa.

E perché abusi della sensualità delle donne, di cui Yàdava, Krishna (l’incantatore di tutti),

è l’unico ed eterno beneficiario?

Ràvana, la lussuria incarnata, combatté invano

con Ràghava, l’incarnazione dell’amore,

per l’albero immaginario della supremazia,

che non è altro che un miraggio.

L’egemonia che cerchi è come la sabbia mobile

che ti fa sprofondare dal tuo punto di appoggio.

Non potrai mai ergerti su di essa

e se insisti nel farlo, ti condurrà alla rovina e alla distruzione. Se ti puoi situare sulla fissa e solida piattaforma su cui poggia sempre un vaisnava,

i tuoi piedi non scivoleranno mai.

Perché soffri nella falsa speranza di profanare

i devoti di Hari e di raggiungere la loro intrinseca

elevazione spirituale e gloriarti dei tuoi infruttuosi

e sciocchi sforzi?

Una superiorità eterna e non-mondana

segue spontaneamente i santi piedi di un vaisnava.

Nella relazione tra un vaisnava, il devoto,

e Visnu, il Signore, non c’è traccia di illusione, màyà,

o di inganno mondano. Sappi che la tua

apparente supremazia è traditrice come una donna

che divora carne di cane, e che la tua finta solitudine

è totalmente infernale.

Abbandonerò il kìrtana,

il canto collettivo del santo nome del Signore,

per ricercare la fama attraverso la solitudine”.

Ma dove può portare questa ricerca di celebrità?

Se questo è il tuo dubbio, o mente,

sappi per certo che Màdhavendra Purì

non si lasciò mai sedurre dall’imitazione,

né rubò mai nel suo magazzino di percezione

come fai tu!

Seguendo Màdhavendra Purì come fa un servitore,

non dovresti mai paragonare l’autorità non sollecitata

con il tuo potere apparente,

che è come il letame di un cinghiale.

Dovuto all’invidia ti sei affogato da solo

nelle luride acque del godimento

e hai abbandonato le perfezioni del kìrtana.

Tu, mente peccaminosa, considera attentamente

che coloro che adottano mezzi malefici

propagano sotto false vesti la devozione solitaria.

Medita ancora e ancora su ciò che

il Signore Supremo Gauranga ci ha gentilmente insegnato attraverso le istruzioni che con massima cura

diede a Sanàtana Prabhù.

Non dimenticare nemmeno per un momento

le parole più preziose che insegnò:

immaginario e reale, simpatia e indifferenza,

libertà e schiavitù.

Non confonderle mai un con l’altra.

Canta ad alta voce il nome del Signore.

Chi non è mai vittima della tigre della ricchezza,

della bellezza e della fama, è un vaisnava.

Egli è davvero indifferente

e perciò è un puro devoto.

Per lui il mondo transitorio

è come un serpente per l’incantatore.

Colui che usa con moderazione né più né meno

di ciò che gli è necessario e favorevole

per il servizio di devozione, che evita tutti i godimenti

ed è sempre distaccato dalla malattia, è davvero impassibile. Egli vede che ogni cosa è proprietà del suo Signore Màdhava, e non è destinata

al suo piacere personale.

Questa identità con le cose di Màdhava e questo attaccamento per esse è la vera indifferenza.

Colui che è attaccato in questo modo ad Hari e che ne vede lo splendore anche nel regno della materia,

è veramente fortunato.

Chi canta il nome del Signore per ottenere prestigio,

è pieno di ipocrisia.

Coloro che abbandonano la materia

per paura o desiderio e coloro che ne godono,

sono entrambi ugualmente non-vaisnava.

Evitane la compagnia.

Tu non puoi né possedere né rinnegare

le proprietà di Visnu, e perciò rincorri

come un pazzo il godimento o la rinuncia.

La mente dei Màyàvàdì non può mai pensare

a Krishna e, presa dal concetto di salvezza immaginaria, condanna un vaisnava.

O mente! Tu sei al servizio dei vaisnava e dovresti sempre sperare di ottenere la devozione.

Perché dovresti desiderare la solitudine?

Un falso rinunciante che si autodefinisce tale

non potrà mai essere un vaisnava, poiché abbandona

il suo servizio e annega nella solitudine.

Che guadagno c’è nell’acquisire

quel vantaggio apparente?

Impegnati sempre nel servizio di Srì Ràdhà,

e tieniti lontano dall’infido godimento.

Canta il nome del Signore, ma non per gloria o supremazia.

Perché dovresti rincorrere la falsa solitudine

alla ricerca della devozione, tralasciando Srì Ràdhà,

il tuo eterno oggetto di adorazione?

I veri predicatori sono gli abitanti di Vraja.

Essendo destinati alla predica, essi non aspirano

ad essere superiori e sono forti abbastanza

da infondere vitalità nelle persone.

La predica ne è il sintomo.

Nella coscienza di Krishna non c’è nessun tentativo

di ottenere una posizione di supremazia.

L’umile servitore di Srì Ràdhà e del Suo amante

spera sempre nel kìrtana, e prega tutti

di cantare ad alta voce il nome del Signore.

Quando la meditazione seguirà in modo spontaneo

il kìrtana, solo allora la devozione solitaria

e la rinuncia saranno naturali.

Due menti: quella materiale e quella spirituale

La mente non può mai starsene oziosa. Creerà un inferno dal paradiso o un paradiso dall’inferno. E’ come un pezzo di legno sballottato dal flusso e riflusso del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, della virtù e del vizio. Come talvolta capita anche ai migliori, la mente commette sempre l’errore di rimanere attaccata a ciò che appare cattivo e di provare avversione per quel che sembra buono., e viceversa.

Ogni mente ha un suo modo di vedere le cose. Quel che una mente afferma, un’altra distrugge. Anzi, la stessa mente rifiuta oggi ciò che ha accettato ieri, poiché ogni esistenza è una serie di sorprese o esperienze. Le cose che ora sono considerate un punto fisso, si staccheranno da sole dalla nostra esperienza, una dopo l’altra, e cadranno come frutti maturi. Il vento le spazzerà via, nessuno sa dove. Il paesaggio, le figure, Calcutta, Londra, New York, il trono reale, la sedia presidenziale, sono situazioni transitorie come una qualsiasi istituzione del passato, o qualsiasi sbuffo di fumo o di foschia: così è la società e così è il mondo.

Per te ieri un uomo era intimamente attraente e affascinante, una grande speranza, un mare in cui nuotare; ora hai trovato le sue sponde, hai scoperto che quel mare, in effetti, è solo uno stagno, e non ti interessa se non lo rivedrai mai più.

Come dice il proverbio: “Oggi re, domani nessuno”. Ci sono due menti: una è la mente spirituale, la mente dell’anima, l’altra è quella materiale che desidera, sente e percepisce il mondo materiale. La mente spirituale non può attaccarsi agli oggetti di questo mondo in cui regnano vari cibi e bevande, né distaccarsi da essi. In questo mondo dei sensi non è neppure soggetta ad alcun cambio o modifica. La lingua può ferire la mente materiale e procurarle una ferita incurabile, mentre nessun colpo può ferire o uccidere la mente spirituale. Una palla di ferro e il fuoco sono distinti e differenti, ma quando la prima è portata a un intimo contatto con il secondo, ne assume le caratteristiche irradiando luce e calore e incendiando altre cose. Per quanto in realtà sia solamente materia priva di vita e della conseguente energia, essendone stata eternamente in stretto contatto, la mente materiale esibisce, attraverso i dieci organi di senso e di azione, le sue attività prese in prestito dalla mente spirituale. Esse si manifestano sotto forma di bene e  male, giusto e sbagliato, vizio e virtù, filantropia ed egoismo, benevolenza e avarizia, etc., come un elefante che corre all’impazzata senza che colui che lo guida lo possa controllare. Non c’è risveglio, sogno o sonno nella mente spirituale, mentre quella fisica si sveglia, dorme e sogna, crea, mantiene, distrugge e “dà ad un illusorio nulla un luogo di residenza ed un nome”.

Nel fare questo, a volte è tutta presa dai piaceri fugaci, frivoli e meschini di questo mondo. Altre volte si astiene da queste cose e sceglie di sua volontà un dio immaginario come oggetto di meditazione e adorazione.

Si considera, allora, in uno stato di meditazione e si immerge nella solitudine meditativa o adora un idolo di legno, di argilla o di metallo, trattandolo come un dio che si può sfruttare o come un mezzo per ottenere le diverse forme di liberazione*.

Si trasforma così in idolatra nelle vesti di un meditatore.

Talvolta la mente cerca di gustare i dolcissimi passatempi del Signore Supremo nella Sua beata dimora attraverso i sensi pieni di passione, identificando il riflesso perverso con il verso oggetto, come fa un nano che solleva le braccia per afferrare la luna. Pur allentando le briglie alla sue passioni ed ai suoi desideri e continuando ad essere completamente soggetta alla sofferenza, all’afflizione e alla malattia, la mente si considera libera da queste cose e tende la sua mano in aiuto ad un’altra che sta soffrendo allo stesso modo. La sua conoscenza di bene e male, felicità e miseria, donatore e beneficiario, legge e disordine per quanto concerne le cose che non riguardano il Signore Supremo, non è niente altro che una serie di errori grossolani, così come saltare dalla padella alla brace o come nuotare tra Scilla e Cariddi.

Anche se la sua pronuncia è dolce e appropriata e la sua meditazione è profonda, lunga e indisturbata, queste attività apparentemente vere non hanno effettivamente nessuna realtà e sono perennemente soggette ai mutamenti e alla distruzione. Imitando le attività della mente spirituale, la mente materiale sta rubando dalle sue stesse tasche.

Tenere dell’aglio sotto l’ascella o esporsi al sole infuocato causa al corpo un calore anormale, mentre il calore causato dalla febbre, sebbene la percezione sia simile, non è la stessa cosa. Il primo è artificiale, empirico e induttivo, mentre il secondo è naturale, spontaneo e deduttivo, in quanto l’attività dei germi che lavorano dentro si manifesta sottoforma di febbre, mal di testa, etc. Quando la mente materiale comincia a risvegliare le sue assopite attività ispirate alla devozione, il suo intrinseco amore per Dio inizia vaivarnya, umiltà, dainaya, fremiti, bepathu, esultanza, harsa, etc. a sbocciare a contatto con l’eterna ed estatica energia superiore incarnata come suo liberatore.

Appaiono allora sul corpo, come cambiamenti spirituali, i Sàttvìka vikàra: tremiti, kampa, lacrime, asru, meraviglia, stambha, sudorazione, sveda, orrore, pulaka, pallore,

Mutamenti di questo tipo e portata si notano, a volte, sui corpi di persone emotive le cui menti sono così docili e suscettibili che è facile produrre questi segni peculiari con il fragore del tamburo e dei cembali, con il suono di una dolce musica e simili. Questi sono semplici effetti della causa, e scompaiono non appena la causa viene a mancare, come il calore della febbre apparente scompare dal corpo non appena ci si ritira dai raggi cocenti o si toglie l’aglio da sotto l’ascella. Così come il pendolo oscilla tra due estremi, allo stesso modo la mente oscilla tra godimento e astinenza. Quando si stanca della varietà dei cibi di questo mondo, della lotta affannosa nel tumulto della grande città, dei dolori e delle pene della dolce casa, la mente colpevole sembra risvegliarsi. Dà allora prova di una vita di ritiro, di distacco o di reclusione. Sovente dirige invano le sue forze verso l’annientamento dell’imperitura ed indistruttibile energia ispirata alla devozione della mente spirituale. Tenta così di ridurla a nulla affinché non possa mai volere, percepire o sentire ed imbattersi nelle situazioni transitorie, mutevoli e tormentose del piacere e del dolore. Talvolta una mente maschile avverte il bisogno di una mente femminile, e così due corpi si uniscono attraverso il vincolo del matrimonio. Non appena questo desiderio è soddisfatto, ecco sorgere prontamente l’esigenza di ricchezza, casa e focolare. Proprio mentre si crogiola nella ricchezza e il dolce sorriso della moglie e dei bambini lo rallegrano, il torvo mietitore il cui nome è morte, miete in un soffio, con il suo falcetto affilato, sia il grano maturo sia i fiori che vi crescono nel mezzo. Allora comprende che stava bevendo veleno da una tazza d’oro. Accade così che la mente spirituale si sente caduta in un oceano le cui acque di profondo dolore sono salmastre dovuto al sale delle lacrime umane. Trovatasi tra le fauci della lussuria e della collera che sono come tanti squali e coccodrilli che nuotano in quell’oceano, si sente incatenata da ardenti bramosie, totalmente priva di amici e senza rifugio. Allora si scrolla di dosso il torpore e comprende che la mente materiale aveva per tanto tempo giocato invano con le forme carnali conosciute come moglie, figli, etc. e con gioie fugaci come tante limpide ed instabili gocce d’acqua su una foglia del fior di loto.

Se l’appagamento si fosse trovato nella forza, Miro e Ofelio sarebbero stati senz’altro felici; se si fosse trovato nella ricchezza, ad essere felice sarebbe stato Creso; ma non si trova né nel potere né in tutte queste altre cose messe insieme. Infatti Nerone, Sardanapalo e Agamennone sospirarono, piansero e si strapparono i capelli, furono schiavi delle circostanze e ingannati dalle apparenze.

La mente spirituale comprende di vivere come un uccello doppiamente ingabbiato che identifica il suo stesso sé vivente con le gabbie materiali. Essa si rende conto che le gabbie nelle quali sta vivendo sono sempre soggette a cambiare e decadere. Sebbene sembrino fresche e vive, non sono altro che polvere e si sbricioleranno per tornare ad essere polvere. La gabbia sottile della mente materiale è inserita in quella grossolana del corpo fisico. La mente materiale danza come una cornacchia rivestita di piume di pavone prese a prestito.

Essa riflette: “Che piacere ci può essere in questo corpo decadente composto dei cinque elementi decomponibili e pieno di putrefazione e impurità? Non ci dovremmo ricordare almeno per un momento che questo corpo perituro e sempre in mutamento è soggetto alla collera, all’ambizione, all’illusione, alla paura, al dolore, all’invidia, all’odio, alla separazione da coloro che ci sono più cari e alla compagnia di coloro che odiamo? Che gusto può esserci per i godimenti materiali quando siamo soggetti a fame, sete, crescita, malattia, vecchiaia, deperimento, declino e morte?

L’universo tende a decadere: erba, alberi e animali si manifestano e muoiono. Uomini potenti se ne sono andati lasciando le loro gioie e le loro glorie, ed esseri ancora più grandi sono stati spazzati via; vasti oceani si sono prosciugati, imponenti montagne sono state abbattute, la stella polare ha cambiato di posto, le corde che legano i pianeti si sono separate, tutta la terra è stata inondata dal diluvio. In un tale stato di cose, che gusto ci può essere per gli effimeri godimenti? Vivendo in un mondo simile, non siamo forse come rane saltellanti in un pozzo prosciugato?”.

Per liberarci dall’inganno di questo perfido e falso amico apparente, dovremmo supplicare sinceramente il Signore Supremo e irrorare di lacrime il nostro guanciale. Egli accoglierà, allora, le nostre preghiere e avrà misericordia di noi. Mostrando la Sua naturale e amorevole gentilezza, ci apparirà dinanzi come il precettore, con tutta la conoscenza delle scritture. Pienamente libero dagli ardenti desideri dei sensi, egli viene per liberarci dalla presa della mente perversa che ha fiamme tutt’intorno e la morte all’interno.

Egli taglia in due tutti i nodi e gli intoppi e disperde tutta l’oscurità dal nostro, come l’avvicinarsi del leone mette in fuga l’elefante dagli oscuri recessi della giungla o come al sopraggiungere dell’aurora il velo dell’oscurità è eliminato dalla superficie della terra. Allora, come uno scorpione circondato dal fuoco, la mente rimuginerà sulla sua mala sorte.   

 * Sàlokya, la liberazione che permette di vivere sullo stesso pianeta del Signore. Sàmìpya, quella che permette di vivere in compagnia del Signore. Sàrùpya, quella che dà lo stesso aspetto del Signore. Sàrsti, quella che fa godere della stessa gloria del Signore. Sàyujya, quella che permette di fondersi in Dio.

Le suppliche della mente spirituale

Una mente materiale ne supplica un’altra, eternamente ed equamente afflitta dalle tre forme di sofferenza, per ottenere aiuto o sollievo. Le sue preghiere non sono altro che ardenti desideri di godimento e sono sempre motivate da necessità, paura e ansietà. Non c’è mente materiale, sia essa di un re o di un suddito, di un padrone o di un servitore, di un maestro o di un allievo, del forte o del debole, del ricco o del povero, dell’erudito o dell’incolto, che possa essere liberata dalla necessità o dalla paura.

La mente spirituale, invece, non prega mai di ottenere il pane quotidiano, un qualsiasi sollievo materiale, una prosperità mondana, una vita priva di tutte le miserie, una vita in paradiso immersa nella beatitudine celestiale o un’esistenza pacifica nel Regno di Dio. Non formula tali preghiere, ma supplica sempre il Signore Supremo e si preoccupa della continuità del suo servizio d’amore che di per sé non ha mai fine. Non appena percepisce le attività nemiche e peccaminose della mente materiale, essa fa appello ad un devoto vaisnava privo di necessità, terrore e paura di nascita e morte, che è abbastanza potente da liberare tutte le menti spirituali dalle grinfie della mente materiale. Così implora: “Vaisnava Thàkura, oceano di misericordia, prendo rifugio ai Tuoi piedi di loto.

Abbi pietà di me, tuo umile servitore, e purificami con l’ombra rinfrescante dei tuoi santi piedi. Controlla la mia tendenza a contaminarmi, usando con gli altri un linguaggio offensivo e che ferisce, fluttuando verso la deriva con passioni frivole e meschine, usando parole dure, agognando cose gustose, dando sfogo al mio appetito, bramando la lussuria”.

Libera il mio abietto sé dai sei svantaggi…”

1)      Accumulare cose in eccesso.

2)       Andare contro la devozione aderendo a ciò che le è proibito e detestando ciò che le è favorevole.

3)      Indulgere in chiacchiere inutili ed oziose.

4)      Ritardare il progresso spirituale e accelerarne l’opposto.

5)      Mantenere la compagnia dei non devoti e tenersi lontani dai devoti.

6)      Ondeggiare tra visioni mutevoli.

Infondi in me le sei virtù…”

1)      Desiderio di percorrere la via della devozione.

2)      Ferma convinzione e fede sincera.

3)      Pazienza e perseveranza nella devozione.

4)      Accettare ciò che è favorevole e rifiutare ciò che è contrario alla devozione.

5)      Abbandonare la compagnia degli empi e di coloro che sono legati ai nastrini del grembiule di una donna.

6)      Seguire le orme degli uomini giusti.

Ho atteso a lungo la tua compagnia, senza la quale sono totalmente incapace di cantare il nome del Signore Supremo, Srì Krishna. Sii così gentile, perciò, di infondermi il rispetto e arricchirmi con il patrimonio del nome del Signore (Krishna). Poiché Krishna è tuo, tu puoi darLo a me, un mendicante privo di tutte le ricchezze mondane che ti segue cantando “Krishna, Krishna”.

I Vaisnava sono la ricchezza di questo mondo. Coloro che servono il Signore Supremo sotto la guida di un Vaisnava procedono secondo i comandamenti del Signore e seguono le Sue regole; gli altri vivono e muoiono invano. Il miglior ornamento per la nostra testa dovrebbe essere la polvere dei loro piedi; il miglior cibo i resti del loro piatto e la miglior bevanda l’acqua che ha lavato i loro sacri piedi; solo questo può rinnovare in noi l’amore ispirato alla devozione. Chi, se non un Vaisnava, salverà il nostro accecato sé dal pericolo di essere guidato da un altro cieco e dagli assalti di nemici insaziabili ed in costante crescita come la lussuria, la collera, l’illusione e l’egotismo? Stiamo brancolando nell’oscuro labirinto di questo mondo senza sapere dove si trova la nostra via.

L’avvento di Srì Caitanya Deva

Fu nell’anno 1486 D.C. che Srì Caitanya Deva apparve a Màyàpur, nell’isola di Antardvìpa, al centro delle nove (nava) isole (dvipa), che formano Navadvìpa, sulla riva orientale del sacro Gange. Là visse durante i Suoi primi ventiquattro anni impegnandoSi nella vita di famiglia. Accettò come padre Jagannàtha Misra, un rispettabile bràhmana pandìta di Sylhet poi stabilitosi a Navadvìpa, e come madre Sacidevì, un’ideale donna bràhmana di quel tempo. Srì Caitanya manifestò la perfezione della forma umana: un fisico perfetto, una carnagione splendente, di statura alta e così amorevole e puro che per un corpo umano è addirittura inconcepibile. Possedeva inoltre un’intelligenza così irresistibile e piacevole di fronte al cui fulgore le più brillanti ed acute intelligenze umane sembravano tante lucciole. Con tutti questi doni sovrumani, condusse la vita di un Vaisnava ideale allo scopo di stabilire la vita esemplare del devoto puro e sincero. Molto sofferente per la separazione dal Suo Amante Divino, allo scopo di soddisfarlo era servizievole e sottomesso, facendo il bene supremo a sé stesso e agli altri. Adottò Egli stesso la via del devoto ideale e la fece adottare anche agli altri.

Contrariamente alla norma che vede divulgazione e prassi, precetto ed esempio, procedere raramente di pari passo, Lui stesso metteva in pratica ciò che predicava. Dimostrò concretamente che la devozione si trova in ogni anima e non nella mente e nel corpo che l’accompagnano, e che né il delebile marchio di buona nascita, conoscenza mondana o ricchezza si erge in qualche modo sulla via della devozione, né bassa nascita, ignoranza o povertà al contrario l’aiutano o la suscitano. L’anima oblitera la sua individualità per quanto riguarda il mondo e ripudia queste designazioni. Sa di essere inferiore ad un filo d’erba, più tollerante di un albero, non vuole onori per sé e onora le altre anime. Sa che canta le glorie e le lodi di Hari giorno e notte, mentre la mente materiale dorme o è sveglia, mentre il corpo fisico è al lavoro o in riposo, e persino quando abbandona per sempre queste due spire del corpo e della mente.

Quando l’anima, e non la mente materiale, si sottomette ad un Vaisnava e canta il nome di Krishna sotto la sua guida seguendone le ingiunzioni devozionali:

1)      Le attività della mente materiale che prevalgono eternamente e che avviluppano completamente l’anima, o mente spirituale, gradualmente diminuiscono.

2)      L’incendio causato dalla frizione delle menti materiali è domato e non arderà mai più.

3)      I fiorenti raggi della divina beatitudine fanno sbocciare i germogli del benessere spirituale.

4)      La saggezza trascendentale fa scoppiare il guscio della conoscenza mondana.

5)      L’oceano di beatitudine va in continuo crescendo.

6)      L’anima gusta ad ogni sorso il succo dell’amore divino, quello stesso amore divino nel quale tutte le anime sono immerse quando rigettano le impurità della mente materiale.

Congiuntamente al rigetto da parte dell’anima del buio torpore dell’illusione che la ricopriva dall’eternità, anche la preghiera della mente materiale per ottenere ricchezza mondana, per la protezione dei suoi cari e per un progresso della conoscenza materiale, diminuisce. Essa aspira così all’eterna devozione, priva di motivazione o di desiderio, in qualsiasi situazione il suo amato Signore Si compiaccia di collocarla.

Caitanya Deva è come un giardiniere

Questa inerente attività distintiva dell’anima chiamata devozione che trascina con dolcezza la mente spirituale sopra tutti i sordidi pensieri, non solo fu propagata da Srì Caitanya Deva, ma Egli Stesso ne fu una incarnazione. Egli proclamò di essere il giardiniere che possiede e coltiva l’albero immortale e sempre fruttifero dell’Amore Divino, i cui innumerevoli e succulenti frutti pendono come fichi dall’albero. Il Suo compito era quello di distribuire questi frutti tanto al ricco come al povero, all’elevato e al degradato, senza prezzo né considerazione, interpretando così la parte di un sommo munifico donatore.

Egli rinunciò al mondo e Si accollò il  compito di distribuire l’Amore Divino a tutte le anime che cercavano tentoni l’aspetto spirituale descrivendoLo come invisibile, o che erano dimentiche del loro vero sé, così come della vera natura del loro più amorevole e piacevole Seduttore. Questa dimenticanza da parte delle jìva è la causa di tutti i mali e di tutte le sofferenze. Egli supplicò tutti, perciò, di gustare questo frutto dell’Amore Divino e di contribuire in proprio alla sua distribuzione. Ingiunse, inoltre, che il miglior uso della vita umana consiste nel fare il bene supremo ed eterno a se stessi e agli altri e nell’operare, in ogni momento, per il bene spirituale altrui con la propria vita, ricchezza, intelligenza e parola.

Egli disse: “Così facendo, le onde del mondo non si ergeranno sulla vostra via, poiché i vostri passi sono ordinati dall’Amante Divino ed Egli si delizia di ciò che voi fate. Potrebbe esserci un’apparente caduta, ma non abbiate paura e non abbattetevi, poiché Lui vi sorregge con la Sua mano. Se siete muti, diventerete degli oratori persuasivi; se le vostre gambe sono paralizzate, potrete nondimeno attraversare con facilità le montagne più alte, e le vostre parole non avranno bisogno di nessuna campana per riunire la gente, né sarà necessario un poliziotto per trattenerla. Porteranno via i bambini dai loro giochi, i vecchi dalle loro poltrone e gli invalidi dalle loro calde camere. Coloro che sentono che il collo irrigidito è sotto la ghigliottina di nascita e morte, affluiranno a torrenti come i pazienti verso gli abili dottori, e saranno curati veramente ricevendo il vostro efficace rimedio che agisce sempre con effetto. Il vostro occhio è rivolto all’Eterno e di conseguenza il vostro intelletto si svilupperà. Le vostre azioni ed opinioni saranno di una tale forza e bellezza che nessuna erudizione da parte di altri potrà contrastare. Sappiate che dei Consiglieri Divini ci seguono nella vita, ora in una forma, ora in un’altra, come poliziotti vestiti in borghese, camminando con noi passo a passo attraverso questo mondo dei sensi per portarci alla nostra eterna e beata dimora”.

L’applicazione della vera gentilezza verso le jìva

A Srì Nityànanda Prabhu, Advaita Acàrya Prabhu, Srì Rùpa e Sanàtana Gosvàmi e Thàkura Haridàsa, i cari e sempiterni generali della bhakti associati a Srì Caitanya Deva, fu delegato il compito di esprimere in forma pratica la gentilezza verso l’umanità senmpre sofferente attraverso:

1)      Il dispendio di tutto il loro tempo e le loro energie nelle attività devozionali.

2)      Il canto ad alta voce del nome del Signore giorno e notte.

3)      Il canto delle Sue lodi e glorie.

4)      La compilazione de volumi di opere devozionali.

5)      Il recupero e la restaurazione dei luoghi sacri.

6)      L’andare di porta in porta pregando i dormiglioni e i sognatori di svegliarsi, alzarsi e adorare Krishna, parlare di Krishna, accettare il Suo nome e riconoscerLo come il loro padre, madre, ricchezza e vita stessa, poiché essi non hanno altro oggetto di adorazione che Srì Krishna.

Come i ramoscelli, le foglie, i fiori, i frutti, i rami e tutto il resto dell’albero sono, in effetti, alimentati nutrendo le radici, e come le membra del corpo sono appropriatamente nutrite dando del cibo allo stomaco, così gli innumerevoli deva, i saggi, gli antenati, i re e gli animali sono pienamente e propriamente soddisfatti se Krishna, che è presente in loro, è adorato. Come le continue piogge non possono nutrire le foglie né ravvivarle fintantoché l’acqua piovana non è spinta su dalle radici, e come le membra del corpo sono incapaci di trarre nutrimento dal cibo a meno che non sia immesso nello stomaco, così nessuno può accettare direttamente dagli uomini nessun dono o nessuna adorazione corretta, a meno che tutti i doni non siano trasferiti a Krishna e Lui non sia per primo adorato. Tutte le anime nel loro vero sé sono unite con Krishna, l’Anima Suprema, in un particolare tipo di relazione, come per esempio:

1)      I Suoi servitori inanimati: il flauto, la cintura, etc.

2)      I Suoi servitori, giardinieri, spazzini, etc.

3)      I Suoi amici, compagni di gioco.

4)      I Suoi genitori, Nanda e Yasodà.

5)      Le Sue consorti, Srì Ràdhà e le Sue compagne. Essendo questa relazione eternamente fissa, non è né intercambiabile né trasferibile.

Krishna è la causa prima, il Signore di tutti i signori, il Supremo di tutti i deva, è dotato in pieno delle sei pre-essenze divine: ricchezza, potenza, gloria, splendore, saggezza, distacco.

Esse sono diluite nel Suo amore traboccante e nella Sua bellezza infinitamente affascinante.

Egli è l’unico amante e l’unico oggetto di amore. Questo amore completamente libero da ogni traccia di lussuria e di passione mondana, fa si che l’Amante serva i Suoi amati e che gli amati servano il loro Amante.

Questo amore cancella tutte le concezioni di sovranità divina e di possesso delle suddette pre-essenze. Gli occhi dell’amato sono sempre ciechi quando si tratta di notare la sovranità e l’adorabilità dell’oggetto d’amore. Gli amati si considerano spontaneamente o uguali o superiori all’oggetto dell’amore. Di conseguenza, gli uni saltano in modo giocoso sulle spalle dell’altro; Lo puniscono, Gli affidano degli incarichi o si avvicinano con affetto. Tutto questo è caratteristico della relazione di amore che si può avere con Krishna.