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Banasura


Banasura

Il re Bali aveva cento figli, di cui il maggiore si chiamava Banasura.

Il grande eroe Banasura era un grande devoto di Siva e la sua devozione gli aveva permesso di raggiungere nella società una posizione importante e rispettata. Era liberale, possedeva un’intelligenza brillante e tutti i suoi atti erano lodevoli perché era sempre fedele alla parola data, manteneva tutte le promesse e rispettava con scrupolosa onestà tutti i suoi voti. Al tempo della nostra storia di Banasura governava sulla città di Sonitapura. Per grazia di Siva egli possedeva mille braccia, e la sua potenza divenne così grande che perfino deva onorati come Indra si comportavano verso di lui come fedeli servitori.

Una volta, mentre Siva danzava nella sua famosa tandava-nrtya -da cui il suo nome di Nataraja- Banasura lo aveva aiutato scandendo il ritmo sui tamburi con le sue mille mani. Siva, chiamato spesso Asutosa, colui che è facilmente soddisfatto, nutre un grande affetto per i suoi devoti, ed essendo il maestro di tutti gli esseri di questo mondo, protegge coloro che prendono rifugio in lui. Soddisfatto di Banasura, Siva gli disse: “Sono pronto a concederti qualunque cosa desideri, perché sono molto contento di te.

-Caro signore, gli rispose Banasura, rimani nella mia città, se vuoi, e proteggimi dai miei nemici.”

Un giorno Banasura andò a offrire i suoi omaggi a Siva, e toccandogli i piedi di loto col suo casco che risplendeva come il sole, gli rivolse queste preghiere: “O signore, colui che non ha realizzato ancora tutti i suoi desideri potrà farlo prendendo rifugio ai tuoi piedi di loto, che sono come alberi dei desideri da cui si può cogliere qualsiasi cosa. O signore, tu mi hai dato mille braccia, ma non so come usarle. Perdonami se dico che non posso servirmene bene in battaglia, ma non riesco a trovare un avversario della mia forza eccetto te, che sei il padre originale di tutto il mondo. Spesso sento il bisogno di usare queste braccia in battaglia e parto in cerca di un guerriero degno di me, ma purtroppo tutti fuggono conoscendo bene la mia straordinaria potenza. Deluso, senza avversario, sfogo il prurito delle mie braccia contro le montagne, facendo a pezzi anche quelle più alte.”

Siva, vedendo che la sua benedizione era diventata un fastidio per Banasura, lo apostrofò: “Miserabile! Tu hai una voglia sfrenata di combattere, e poiché non trovi un avversario adatto a te sei infelice. Tu credi che nessuno in questo mondo, eccetto me, possa fronteggiarti? Io ti dico invece che troverai un giorno un avversario degno di te e allora per te la vita sarà finita, e la bandiera della tua vittoria non sventolerà più. La tua vanità la vedrai ridursi in polvere!”

A queste parole Banasura sentì gonfiare il suo orgoglio: l’idea d’incontrare un giorno l’avversario che l’avrebbe schiacciato lo inebriava. Tornò a casa pieno di gioia e da quel giorno rimase in attesa, tanta era la sua stupidità! Gli schiocchi e gli esseri demoniaci, quando abbondano di benefici materiali vogliono farne mostra e provano soddisfazione, nella loro stupidità, a perdere tutto. Il fatto è che ignorando i benefici della coscienza di Krishna essi non sanno come impiegare la loro energia per la giusta causa. Esistono due tipi di uomini, quelli che sono coscienti di Krishna e quelli che non lo sono. Questi ultimi si votano per lo più ai deva, mentre i primi riservano la loro devozione a Dio, la Persona Suprema, e usano ogni cosa al servizio del Signore. Tra quelli che adoperano ogni cosa per il piacere dei sensi Banasura è un tipico esempio. Per soddisfare i propri sensi egli era così impaziente di utilizzare nel combattimento la sua forza straordinaria che in mancanza di avversari giunse perfino ad abbattere le montagne a colpi di pugni. Arjuna era anche lui dotato di eccezionali capacità belliche, ma le usò solo per servire Krishna.

Banasura aveva una bellissima figlia di nome Usha. Quando fu in età da marito, una notte che dormiva con le sue numerose amiche sognò che Aniruddha era accanto a lei e insieme godevano del legame coniugale sebbene lei non l’avesse mai visto, né avesse mai sentito parlare di lui. Svegliandosi esclamò forte: “Dove sei, mio amato?”; ma subito, accorgendosi della presenza delle amiche, si sentì un po’ imbarazzata. Citralekha, la figlia del primo ministro di Banasura e amica intima di Usha, le chiese incuriosita: “Mia cara e bella principessa, tu non sei ancora sposata e finora non hai mai incontrato nessun ragazzo, perciò le tue parole mi stupiscono molto. A chi ti rivolgevi? Chi è il compagno del tuo cuore? -Amica mia, rispose Usha, ho visto nei miei sogni un ragazzo affascinante, bellissimo, dalla carnagione scura e dagli occhi simili ai petali del loto. Era vestito di giallo e le sue lunghe braccia e tutti i suoi lineamenti erano così seducenti che nessuna ragazza potrebbe resistergli. Mi baciava e io gustavo intensamente il nettare dei suoi baci, posso dirlo con fierezza. Poi, quando è scomparso sono sprofondata in un vortice di delusione. Oh, amica mia, non vedo l’ora di trovare questo meraviglioso ragazzo, perché è lui il signore del mio cuore.
-Capisco il tuo dolore, la consolò Citralekha, e ti assicuro che se questo ragazzo vive in uno di questi tre sistemi planetari – quello superiore, intermedio e inferiore- lo troverò per farti felice. Se hai un ricordo esatto di lui, posso riportare la pace nella tua mente. Ora dipingerò differenti ritratti e se qualcuno assomiglierà al ragazzo che desideri sposare, dimmelo, perché ovunque si trovi, io conosco l’arte di portarlo subito qui.” Così parlando Citralekha cominciò a disegnare diversi ritratti di deva che abitano i pianeti superiori, e anche ritratti di Gandharva, Siddha, Carana, Pannaga, Daitya, Vidhyadhara, Yaksa e di numerosi esseri umani. Tra le figure che rappresentavano esseri umani c’erano i componenti della dinastia Vrsni, compreso Vasudeva, il padre di Krishna, Suo nonno Surasena, Sri Balaramaji, Sri Krishna e molti altri. Davanti al ritratto di Pradyumna, Usha arrossì un po’, ma davanti a quello di Aniruddha la sua emozione fu così intensa che ella chinò subito il capo e sorrise: aveva trovato l’uomo che cercava, colui che le aveva rubato il cuore.
Citralekha, che era una potente yogini, capì subito che il ragazzo del ritratto era Aniruddha, un nipote di Krishna, sebbene nessuna di loro l’avesse mai visto né avesse sentito parlare di lui. Quella stessa notte, viaggiando velocissima nello spazio, Citralekha raggiunse la città di Dvaraka, che dormiva sotto la protezione di Krishna, e penetrata nel palazzo dove Aniruddha dormiva su un sontuoso letto, lo prende, e con l’aiuto dei suoi poteri sovrannaturali lo porta senza svegliarlo fino a Sonitapura, perché Usha potesse finalmente vedere lo sposo che tanto desiderava. Appena Usha lo vede il suo volto s’illumina di gioia. Il palazzo in cui vivevano Usha e Citralekha era così ben fortificato che nessun uomo avrebbe potuto penetrarVi o anche solo vedere all’interno. Lì, Usha e Aniruddha vissero insieme, e ogni giorno l’amore di Usha per il principe si quadruplicava. Lo allietava con ricchi vestiti, con fiori, ghirlande, profumi, incensi; e per rendergli piacevole il soggiorno aveva sistemato accanto al suo divano delle bevande dissetanti come latte, succhi di frutta e altri deliziosi alimenti succosi e asciutti. Ma soprattutto Usha cercava di fargli piacere con dolci parole e con un servizio pieno di premure; lo adorava proprio come se fosse stato Dio stesso, la Persona Suprema, tanto che Aniruddha dimenticò tutto e non poté più staccare da lei la sua attenzione e il suo amore, perdendo la nozione dei giorni che passavano. Ma il tempo non si era fermato e ben presto la ragazza manifestò alcuni sintomi che lasciavano capire la sua relazione d’amore in un modo così evidente che non fu più possibile nasconderla a nessuno. La compagnia di Aniruddha la riempiva continuamente di una felicità senza limiti, ma il guardiano del palazzo indovinò facilmente il suo segreto e avvertì Banasura. Nella società vedica, quando una ragazza nubile frequenta un uomo è una disgrazia per tutta la famiglia, perciò il guardiano del palazzo si affrettò a informare il re. I servitori, interrogati, assicurarono che la casa era sorvegliata giorno e notte così attentamente che nessun uomo sarebbe riuscito neppure a vedere ciò che succedeva di là dalle mura. Chi poteva essere il colpevole? Non trovano la risposta, lasciarono a Banasura il compito di scoprirlo. Banasura, senza perdere tempo si precipitò nel palazzo di Usha, dove trovò Aniruddha che discorreva seduto accanto a Usha. Insieme formavano proprio una bella coppia, perché Aniruddha era il figlio di Pradyumna, Cupìdo in persona. In lui Banasura vide lo sposo degno di sua figlia, ma poiché l’unione era illegittima, pensò solo all’insulto fatto all’onore della famiglia. Banasura non capiva chi fosse veramente quel ragazzo, ma apprezzò il fatto che Usha non avrebbe potuto trovare un uomo più bello di lui in tutti i tre mondi. Aniruddha aveva la carnagione scura e luminosa ed era vestito di abiti gialli. Gli occhi simili ai petali del loto, le lunghe braccia, i bei capelli ondulati dai riflessi blu, gli orecchini splendenti e il meraviglioso sorriso, tutto in lui aveva un grande fascino. Ma la collera del re non si placò. Banasura vide Aniruddha che stava giocando con Usha; era vestito elegantemente e con una magnifica ghirlanda di fiori che l’amata gli aveva messo intorno al collo. Su quella ghirlanda si scorgevano qua e là tracce di kunkuma, la polvere rossa che usano le donne per decorarsi il petto: Usha l’aveva dunque abbracciato. Banasura era stupefatto nel vedere che in sua presenza Aniruddha rimaneva tranquillamente seduto vicino a Usha. Eppure il giovane principe non ignorava lo stato d’animo del suo futuro suocero, e sapeva bene che questi aveva riunito nel palazzo numerosi soldati perché lo arrestassero. Aniruddha era disarmato, ma venuto il momento afferrò una sbarra di ferro massiccio e si erse davanti a Banasura a ai suoi guerrieri assumendo una posizione che non lasciava dubbi sulla sua decisione di abbattere tutti gli avversari che lo avessero attaccato. Agli occhi di Banasura e dei suoi uomini Aniruddha apparve come il deva della morte, armato della sua verga invincibile. All’ordine di Banasura i soldati lo assalgono da tutte le parti per arrestarlo, ma Aniruddha li colpisce con la sbarra sulla testa, le braccia e le gambe. Uno dopo l’altro gli assalitori cadono a terra morti. Aniruddha pareva il capo di uno stormo di falchi quando ammazza uno dopo l’altro un branco di cani rabbiosi. Così il principe si apre la via per fuggire dal palazzo, ma Banasura che era esperto nelle arti marziali, per la grazia di Siva conosceva l’arte di fermare il nemico servendosi del naga-pasa, un serpente usato come laccio. Poté così catturare Aniruddha mentre usciva dal palazzo. La notizia giunse a Usha, che si sentì invadere dal dolore e dalla confusione; i suoi occhi si riempirono di lacrime, e incapace di trattenersi scoppiò in singhiozzi.

 I quattro mesi della stagione delle piogge erano trascorsi e ancora Aniruddha non tornava. Nella famiglia Yadu aumentava l’inquietudine per la sua inspiegabile assenza. Fortunatamente, il grande saggio Narada andò un giorno a far visita agli Yadu e raccontò loro quanto era successo, dal rapimento di Aniruddha, che fu portato nella capitale di Banasura, fino alla vittoria del giovane sui nemici e alla sua cattura con l’aiuto del nagapasa. Tutta la storia fu rivelata da Narada nei minimi particolari. Allora tutti i componenti della dinastia Vrsni, che erano legati a Krishna da un profondo affetto, si prepararono ad attaccare la città di Sonitapura. Quasi tutti i capi della famiglia, compresi Pradyumna, Satyaki, Gada, Samba, Sarana, Nanda, Upananda e Bhadra si riunirono e organizzarono in falangi diciotto divisioni militari aksauhini. L’esercito marciò su Sonitapura che ben presto fu accerchiata da guerrieri, elefanti, cavalli e carri. Quando Banasura seppe che i soldati della dinastia Yadu avevano attaccato la sua città abbattendone le mura e devastando i giardini che la circondavano, fu preso da una terribile collera e diede ordine alle sue truppe di fronteggiare le truppe degli Yadu, che per forza militare si equivalevano. Nella sua grande benevolenza per Banasura, Siva stesso, assistito dai suoi eroici figli Karttikeya e Ganapati, venne a comandare il suo esercito. Cavalcando il suo toro preferito, Nandisvara in persona diresse il combattimento contro Krishna e Balarama. Si può immaginare l’ardore della lotta: da una parte Siva e i suoi favolosi figli, dall’altra Sri Krishna, Dio, la Persona Suprema, e Suo fratello maggiore, Balaramaji. Così violento fu lo scontro che tutti coloro che vi assistettero sentirono rizzarsi i peli sul corpo. Siva lottava contro Sri Krishna, Pradyumna contro Kartikeya, e Sri Balarama contro il generale di Banasura, Kumbhanda, che era assistito da Kupakarna. Samba, il figlio di Krishna, si batteva contro il figlio di Banasura, e Banasura affrontava Satyaki, comandante in capo della dinastia Yadu. Così si rivolse la battaglia.
La notizia si sparse per tutto l’universo. I deva come Brahma, i grandi saggi e i santi, Siddha, Carana e Gandharva scesero dai sistemi planetari superiori per sorvolare con le loro aereonavi il campo di battaglia, curiosi di assistere allo scontro di Siva, Sri Krishna e i loro luogotenenti.

Siva -che per questo motivo è chiamato anche bhuta-natha- si fece aiutare da ogni tipo di potenti spiriti e abitanti dell’inferno –bhuta, preta, pramatha, guhyaka, dakini, pisaca, kusmanda, vetala, vinayaka e vinayaka e brahma-raksasa. Dio, la Persona Suprema, Sri Krishna, scacciò via dal campo di battaglia tutti questi fantasmi percuotendoli semplicemente col Suo famoso arco Sarngadhanu. Siva allora lanciò contro il Signore le sue armi terribili, ma Sri Krishna le neutralizzò tutte facilmente con altrettanti armi. Un brahmastra (arma simile alla bomba atomica) contro un altro brahmastra, un’arma d’aria contro un’arma-montagna: Siva lanciò l’arma d’aria provocando un ciclone sul campo di battaglia, Sri Krishna un’arma-montagna che fermò il ciclone. E quando Siva lanciò un fuoco devastatore, Krishna gli Si oppose con una pioggia torrenziale. Infine, Siva lanciò la sua arma personale, la pasupata-astra, alla quale Krishna oppose la Sua narayana-astra. Siva era esasperato; e il Signore ne approfittò per lanciargli contro la Sua “arma-sbadiglio”, sotto il cui effetto il nemico si sente stanco, sbadiglia e cessa di combattere. Siva si sentì pervadere da una stanchezza così opprimente che si mise a sbadigliare rifiutando di continuare il combattimento. Allora Krishna poté spostare la Sua attenzione su Banasura massacrando con spade e mazze i soldati della sua scorta personale. Intanto il figlio di Sri Krishna, Pradyumna, lottava ferocemente contro Karttikeya, il generale dei deva. Ferito e col sangue che sgorgava a fiotti, Karttikeya fu costretto ad abbandonare il campo sul dorso del suo pavone. Kupakarna, il comandante in capo di Banasura, cadde sul campo di battaglia ferito a morte sotto i colpi della mazza di Sri Balarama e Kupakarna, il suo assistente, subì la stessa sorte. Privi di guida, i soldati di Banasura si dispersero in tutte le direzioni. La disfatta non fece che aumentare la collera di Banasura, il quale credette opportuno interrompere il combattimento con Satyaki, comandante in capo dell’esercito nemico, e attaccare direttamente Sri Krishna. Questo era il momento di usare le sue mille mani. Così Banasura mise in azione simultaneamente cinquecento archi scagliando duemila frecce contro Krishna. Uno sciocco non può capire la potenza di Krishna. Senza il minimo sforzo Krishna spezzò in due i cinquecento archi, e per impedire a Banasura la fuga abbatté i suoi cavalli e il carro si frantumò in mille pezzi. Poi Sri Krishna soffiò nella Sua conchiglia, Pañcajanya. Banasura adorava una dea di nome Kotara, e tra loro esisteva una relazione di madre e figlio. Madre Kotara s’irritò vedendo Banasura in pericolo di morte e apparve nuda e coi capelli sciolti davanti al Signore. Sri Krishna Si voltò dall’altra parte e l’asura ne approfittò per darsi alla fuga. Le corde degli archi spezzate, senza carro e senza auriga, Banasura rientrò in città dopo aver perso tutto nella battaglia.
Bersagliati dalle frecce del Signore, tutti i compagni di Siva, gli spiriti e gli spettri bhuta, preta e ksatriya abbandonarono il campo. Allora Siva fece ricorso alla sua arma estrema, la più mortale, lo Siva-jvara, che distrugge tutto con la sua elevatissima temperatura. E’ detto che alla fine della creazione il sole brucia dodici volte più del normale, ed è questa temperatura dodici volte superiore a quella del sole si chiama Siva-jvara. Quando fu lanciato, lo Siva-jvara aveva tre teste e tre gambe, e mentre si precipitava su Krishna sembrava incenerire tutto al suo passaggio. Un fuoco ardente apparve in tutte le direzioni, ma Krishna vide che si dirigeva in particolare verso di Lui.
Contro l’arma Siva-jvara, esiste l’arma Narayana-jvara, che produce un freddo glaciale. E’ possibile sopportare le alte temperature, ma il freddo distrugge ogni cosa, come si può sperimentare all’istante della morte quando la temperatura del corpo sale fino a 42 gradi, poi sopraggiunge il collasso e il corpo diventa gelido. Così, per annullare il calore torrido dello Siva-jvara non c’era altra arma che il Narajana-jvara.
Quando Si accorse che Siva aveva lanciato la sua arma estrema, Sri Krishna non ebbe alternativa e lanciò il Narayana-jvara. Sri Krishna è il Narayana originale, dunque è anche il maestro dell’arma Narayana-jvara. I due jvara si opposero in uno scontro gigantesco. Quando un forte calore incontra un freddo intenso la temperatura si abbassa gradualmente; così lo Siva-jvara sentì che il suo calore si affievoliva e si mise a gridare implorando l’aiuto di Siva, ma Siva nulla poteva contro il Narayana-jvara. Allora, lo Siva-jvara, abbandonato, capì che non gli restava che sottomettersi a Narayana, a Sri Krishna in persona: se Siva, il più grande tra i deva, non gli era stato di alcun aiuto, che dire degli altri deva? Lo Siva-jvara finì per prostrarsi davanti a Krishna e Gli offrì una preghiera nella speranza di soddisfare il Signore e ottenere così la Sua protezione.
Quest’episodio mostra che nessuno può uccidere chi è protetto da Krishna, ma nessuno può salvare un essere a cui Krishna nega la sua protezione. Siva è chiamato Mahadeva, il più grande dei deva, anche se talvolta si considera più grande Brahma perché ha il potere di creare; Siva, però, può annientare le creazioni di Brahma. Tuttavia, entrambi agiscono in un’unica direzione: Brahma crea e Siva distrugge, ma nessuno dei due può mantenere la creazione. Sri Krishna, invece, può compiere tutt’e tre queste azioni. In realtà, la creazione non è opera di Brahma, poiché lui stesso è creato da Visnu. E Siva, a sua volta, è nato da Brahma. Lo Siva-jvara capì dunque che eccetto Krishna, Narayana, nessuno poteva aiutarlo. Così, tornato in sé, prese rifugio ai piedi di loto di Sri Krishna e a mani giunte cominciò a pregare. “Caro Signore, offro il mio rispettoso omaggio a Te, che possiedi illimitate potenze. Nessuno le può superare, perciò Tu rimani il Signore dell’universo. Spesso Siva è considerato l’essere più potente del mondo materiale, ma Siva non è onnipotente come Te. Questa è la verità. Tu sei la coscienza, Tu sei la conoscenza originale, senza la quale non esiste potenza. Un oggetto può racchiudere in sé una grande potenza, ma privo di coscienza, non può agire. Una macchina può essere enorme e meravigliosa, ma senza l’intervento di un essere cosciente e provvisto di una certa conoscenza, perde ogni utilità. O Signore, Tu sei il sapere perfetto e in Te non c’è traccia di contaminazione materiale. Poiché può distruggere la creazione, Siva è senza dubbio un potente deva, come Brahma che è capace di creare l’universo; ma in realtà né l’uno né l’altro sono la causa originale della manifestazione cosmica. Tu sei la Verità Assoluta, il Brahman Supremo e la causa originale. Lo sfolgorio del Brahman impersonale che dipende da Te non è la causa originale. Come conferma la Bhagavad-gita, la causa del Brahman impersonale sei Tu, Sri Krishna. Simile ai raggi che emanano dal globo solare, il brahmajyoti come potrebbe essere la causa ultima? La causa ultima di ogni cosa è la suprema eterna forma della Tua Persona, Sri Krishna. Nel Brahman impersonale rimangono ancora tutti gli atti materiali con le loro conseguenze, ma nel Brahman personale, l’eterna forma di Krishna, non esiste l’azione che genera conseguenze. Perciò, mio Signore, il Tuo corpo è pieno di pace, felicità ed è libero da ogni contaminazione materiale. “Nel corpo materiale si producono le azioni e le reazioni dei tre guna, a cui si aggiunge il tempo, fattore di estrema importanza perché mette in azione gli elementi che permettono il manifestarsi dell’universo materiale. Così appare il mondo fenomenico, che produce subito le azioni interessate. Queste azioni determinano la forma che prenderà l’essere vivente; acquisita una particolare natura, l’essere si copre di un corpo sottile e di uno grossolano, composti dall’aria vitale, dall’ego, dai dieci organi dei sensi, dalla mente e dai cinque elementi grossolani. Questi componenti si combinano per formare un tipo particolare di corpo che diventa la radice o la causa di numerosi altri corpi che l’essere acquisisce successivamente nel corso delle trasmigrazioni dell’anima. Tutti questi fenomeni sono interazioni della Tua energia materiale. Immune dalle interazioni degli elementi, Tu sei la causa di quest’energia esterna. Tu trascendi questi movimenti imposti dall’energia materiale e rimani la serenità suprema. E poiché rappresenti la liberazione totale da ogni contaminazione materiale, abbandono tutto e prendo rifugio ai Tuoi piedi di loto. “Caro Signore, la Tua apparizione come figlio di Vasudeva, nelle vesti di un essere umano, è uno dei Tuoi divertimenti sublimi, una prova della Tua libertà assoluta. Per dare beneficio ai Tuoi devoti e sconfiggere gli asura, Tu appari nella forma di molteplici avatara. Essi discendono in questo mondo per mantenere la promessa che Tu hai fatto nella Bhagavad-gita di apparire ogni volta che sorgono degli ostacoli sulla via del progresso spirituale. Ogni volta che i principi empi turbano la pace, Tu, o Signore, appari grazie alla Tua energia interna sia per proteggere e mantenere i deva e gli esseri inclini alla spiritualità sia per ristabilire la legge e l’ordine materiali. Perciò Tu giustamente combatti gli asura e i miscredenti. Non è la prima volta che discendi in questo mondo; sappiamo che sei già venuto molte altre volte. “Caro Signore, sono stato severamente punito dal Tuo Narayana-jvara, che, sebbene rinfrescante, è un grande pericolo ed è intollerabile per tutti noi. O Signore, l’essere che ha accettato un corpo materiale è soggiogato dai desideri materiali finché si dimentica della coscienza di Krishna, e ignorando il rifugio ultimo dei Tuoi piedi di loto, deve subire le tre forme di sofferenza imposte dalla natura materiale. Chi non si abbandona a Te è destinato a soffrire per l’eternità.” Sri Krishna rispose: “O essere dalle tre teste, sono soddisfatto delle tue parole. Rassicurati, perché il Narayana-jvara non ti farà più soffrire. Non solo non dovrai più temerlo, ma chiunque ricorderà questo combattimento tra lo Siva-jvara e il Narayana-jvara sarà liberato da ogni paura.” Ascoltate le parole di Dio, la persona Suprema, lo Siva-jvara offrì il suo rispettoso omaggio ai piedi di loto del Signore e si congedò.
Nel frattempo Banasura era riuscito a riprendersi dalla sconfitta subìta e con rinnovate energie tornò all’attacco. Sri Krishna, seduto sul carro, Se lo vide comparire davanti con le sue mille braccia che brandivano diverse armi. In preda a una violenta agitazione, Banasura prese a lanciarGliele tutte una dopo l’altra: una pioggia torrenziale sembrava che investisse il corpo di Sri Krishna. Quando vide tute tutte quelle armi che Gli venivano addosso simili a tanti fili d’acqua usciti con forza dai buchi di un colino, il Signore afferrò il Suo disco sudarsana dalla lama ben affilata e cominciò a tagliare una dopo l’altra le mille braccia dell’asura, come fa un giardiniere che pota un albero. Allora Siva si rese conto che neppure la sua presenza poteva salvare il suo devoto Banasura, e ritornando in sé si avvicinò a Sri Krishna per placarLo con la sua preghiera. Siva disse: “Caro Signore, che sei adorato dagli inni vedici, chi non Ti conosce considera il brahmajyoti impersonale come la Verità Suprema e Assoluta perché ignora la Tua esistenza nella Tua dimora eterna, situata al di là del Tuo fulgore spirituale. La Bhagavad-gita Ti designa dunque col nome di Param Brahman. I santi che hanno purificato il cuore da ogni contaminazione materiale possono realizzare la Tua forma assoluta, sebbene Tu sia presente dappertutto come il cielo e sia libero da ogni influsso materiale. Nessuno oltre il bhakta può realizzarTi. Secondo il concetto impersonalista della Tua esistenza suprema, il cielo è il Tuo ombelico, il fuoco la Tua bocca, e l’acqua il Tuo sperma. I pianeti superiori sono la Tua testa, tutte le direzioni i Tuoi orecchi, il pianeta Urvi i Tuoi piedi di loto, la luna la Tua mente e sole il Tuo occhio. E io agisco come il Tuo ego. L’oceano è il Tuo addome, e il re dei pianeti celesti, Indra, il Tuo braccio. Alberi e piante, i peli del Tuo corpo, le nuvole i Tuoi capelli e Brahma la Tua intelligenza. Tutti i grandi progenitori, i Prajapati, sono i Tuoi rappresentanti simbolici e la religione è il Tuo cuore. Così si concepisce l’aspetto impersonale del Tuo corpo supremo, ma Tu rimani la Persona Suprema: l’aspetto impersonale del Tuo corpo sovrano non è che una piccola emanazione della Tua energia. Tu sei paragonato al fuoco originale e le Tue emanazioni sono il Tuo calore e la Tua luce. “Caro Signore, sebbene Ti manifesti in modo universale, le diverse parti dell’universo rappresentano le diverse parti del Tuo corpo; con la Tua energia inconcepibile Tu sei allo stesso tempo universale e localizzato. La Brahma-samhita precisa che pur abitando in eterno nella Tua dimora, Goloka Vrindavana, Tu sei presente in ogni luogo. Tu appari per proteggere i bhakta, insegna la Bhagavad-gita, e la Tua apparizione è il segno di una grande fortuna per tutto l’universo. E’ solo per la Tua grazia che i deva dirigono le varie parti dell’universo, ed è sempre per la Tua grazia che sono sostenuti i sette sistemi planetari superiori. Tutte le manifestazioni delle Tue energie, che abbiano forma di deva, di esseri umani o di animali inferiori, rientrano in Te alla fine di questa creazione; allora, tutte le cause dirette o indirette della manifestazione cosmica riposano in Te, perdendo ogni forma differenziata. Non si può fare una distinzione fra la tua Persona e ogni altro essere, uguale o inferiore a Te, poiché Tu sei allo stesso tempo la causa e i fattori di questa manifestazione cosmica. Tu sei il Tutto supremo, l’Uno senza secondi. Nel mondo fenomenico si distinguono tre condizioni: lo stato di coscienza, di semi-coscienza (nel sogno) e d’incoscienza. Ma tua Grazia trascende questi tre stati dell’esistenza materiale; Tu esisti in una quarta dimensione, e la tua apparizione e la Tua scomparsa dipendono solo da Te. Tu sei la causa suprema poiché niente ha origine fuori di Te. Sei Tu stesso la causa delle Tue apparizioni e scomparse. Benché Tu trascenda la materia, sei apparso, o Signore, nella forma di diversi avatara -l’avatara-Pesce, l’avatara-Tartaruga, l’avatara-Cinghiale, Nrsimha, Kesava e altri- grazie alla Tua manifestazione personale, al fine di mostrare le Tue sei perfezioni e i Tuoi attributi assoluti; mentre sei apparso come i differenti esseri viventi grazie alla Tua manifestazione distinta. Attraverso la Tua potenza interna appari come i diversi avatara della categoria di Visnu e attraverso la Tua potenza esterna appari come il mondo fenomenico. “Vedendo un cielo nuvoloso, l’uomo comune dirà: ‘il sole è coperto’. Ma in realtà è il sole con i suoi raggi a creare le nuvole, che pur riempiendo tutto il cielo non potranno mai coprire veramente il sole. Così, gli uomini meno intelligenti sostengono che Dio non esiste perché non vedono altro che gli esseri viventi e le loro attività, ma gli uomini illuminati dalla conoscenza Ti vedono presente in ogni atomo attraverso la Tua energia esterna e marginale. Le Tue attività, la cui potenza non ha limiti, sono percepite dai bhakta più elevati; mentre coloro che sono sviati dalla Tua energia esterna s’identificano con questo mondo materiale e sviluppano attaccamento per la società, l’amicizia e l’amore materiale. Essi bevono così alle tre fonti della sofferenza che è propria dell’esistenza materiale; soggiogati dalla dualità della gioia e del dolore, ora affondano nell’oceano degli attaccamenti ora ne riemergono.
“Caro Signore, solo la Tua grazia e la Tua misericordia danno all’essere vivente la forma umana, e con essa la possibilità di uscire dalla miserabile condizione dell’esistenza materiale. Ma la vita umana non è sufficiente. Infatti l’uomo che non è capace di dominare i sensi è trascinato dalle onde del piacere materiale che gli impediscono di prendere rifugio ai Tuoi piedi di loto e d’impegnarsi nel Tuo servizio di devozione; la sua esistenza è segnata dalla sfortuna, e con questa vita di tenebre certamente egli inganna sé stesso e gli altri. Ecco perché la società umana priva della coscienza di Krishna è una società di truffatori e di truffati. “O Signore, Tu sei in realtà l’Anima Suprema, l’essere più caro, e di tutte le cose il maestro sovrano. In preda all’illusione l’uomo teme la morte. Attaccato al piacere dei sensi, egli accetta volontariamente questa miserabile esistenza materiale e rincorre il fuoco fatuo delle gioie terrene. E’ certamente il più sciocco degli uomini colui che getta via il nettare per bere il veleno. Tutti i deva, caro Signore, compreso me steso e anche Brahma, tutti i grandi saggi e i santi che hanno lavato il loro cuore da ogni attaccamento materiale, per la Tua grazia hanno preso tutti completo rifugio ai Tuoi piedi di loto. Noi ci rifugiamo in Te perché Ti abbiamo accettato come il Signore Supremo, la nostra vita, la nostra stessa anima. Tu sei la causa originale di questa manifestazione cosmica, il sovrano di coloro che la mantengono e anche la causa della sua distruzione. Tu sei equanime, sei l’amico supremo, il portatore di pace. Per tutti noi sei il supremo oggetto di adorazione. O Signore, permettici di essere continuamente assorti nel Tuo sublime servizio d’amore e liberaci così dalla trappola della materia. “Infine, mio Signore, desidero che Tu sappia quanto mi è caro Banasura. Egli mi ha reso un prezioso servizio e io desidero vederlo sempre felice; soddisfatto di lui, gli avevo assicurato protezione da ogni pericolo. Ti prego, Signore, sii soddisfatto di lui come lo sei stato dei suoi antenati, il re Prahlada e Bali Maharaja.”
Dopo aver ascoltato la preghiera di Siva, Sri Krishna, chiamandolo a Sua volta col nome di signore, gli disse: “Signore Siva, accetto la tua richiesta, faccio Mio il Tuo desiderio di vedere Banasura felice. So che egli è figlio di Bali Maharaja e se lo uccidessi mancherei alla promessa che ho fatto al re Prahlada di non uccidere gli asura che sarebbero nati dalla sua famiglia. Perciò, senza ucciderlo, gli ho semplicemente tagliato le braccia, alleggerendolo del suo orgoglio. I suoi numerosi guerrieri erano diventati un fardello, così per alleviare la terra da questo peso li ho eliminati. Ora Banasura è rimasto con quattro braccia ed è diventato immortale, immune dalle gioie e sofferenze di questo mondo. So che egli è uno dei tuoi più grandi devoti, perciò sii certo che d’ora in poi non avrà più nulla da temere.” Benedetto da Sri Krishna, Banasura si avvicinò al Signore e si prostrò davanti a Lui toccando la terra con la fronte. Poi, con un carro sontuoso, fece venire Aniruddha e la propria figlia Usa, che presentò a Sri Krishna. Il Signore prese quindi con Sé la giovane coppia che godeva ormai di una grande ricchezza materiale per la benedizione di Siva, e preceduto da un battaglione aksauhini Si avviò sulla strada per Dvaraka. Nel frattempo gli abitanti della capitale, che avevano saputo del ritorno trionfale di Sri Krishna in compagnia di Aniruddha e Usa, addobbarono la città con stendardi, festoni e ghirlande. I viali e i crocevia furono accuratamente lavati e spruzzati d’acqua e polpa di sandalo, il cui profumo si sparse tutt’intorno. Accompagnati da parenti e amici, tutti gli abitanti accolsero Sri Krishna con grande gioia e grande fasto. In suo onore risuonarono tumultuosamente conchiglie, tamburi e flicorni. Così Sri Krishna, Dio, Persona Suprema, entrò in Dvaraka, la Sua capitale. Sukadeva Gosvami assicurò il re Pariksit che il racconto del combattimento tra Siva e Krishna non ha il carattere sfavorevole degli altri racconti di guerra; anzi, chi ricorda al mattino l’episodio di questo combattimento e gioisce alla vittoria di Sri Krishna non conoscerà mai la sconfitta nella lotta per l’esistenza.
Quest’episodio della lotta di Banasura e della sua liberazione per la grazia di Siva ribadisce l’affermazione della Bhagavad-gita che gli adoratori dei deva non possono ottenere nessuna benedizione senza l’approvazione del Signore Supremo, Sri Krishna. Anche un grande devoto di Siva, come Banasura, poté essere salvato solo quando Siva si appellò a Krishna perché risparmiasse la vita al suo devoto. Questa è la posizione di Sri Krishna. Le parole esatte della Bhagavad-gita a questo proposito sono mayaiva vihitan hi tan: senza l’approvazione del Signore Supremo nessun deva può accordare benedizioni a chi lo adora.

(Da “Il libro di Krishna” di Srila Prabhupada)