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Bhishma


Bhishma

Nome di Devavrata figlio del re Shantanu e di Ganga, la dea del fiume Gange.

– Un giorno, mentre Shantanu inseguiva un cervo, sentì odore di fiori di foresta, talmente buono e intenso che non seppe resistervi. Deciso a portare via con sé quei fiori, seguì la scia fino al fiume, dove vide una donna impegnata a pulire una barca. Era lei che emanava quel profumo celestiale. Si avvicinò e con gentilezza le rivolse la parola.

“Ho sentito un meraviglioso profumo e l’ho seguito, ma certamente non mi aspettavo che provenisse da un ragazza. Chi sei tu?” “Mi chiamo Satyavati e sono la figlia adottiva di un pescatore,” rispose lei, imbarazzata dalle occhiate di desiderio che il re le lanciava.

“Sei bellissima,” le disse questi con irruenza. “Il tuo fascino mi ha stregato e vorrei averti con me. Io sono il re Shantanu, il signore della terra dei Bharata. Ti voglio come mia moglie. Vieni via con me”.

“Tu sai che non posso decidere da sola,” gli rispose Satyavati. “Chiedi a mio padre: io accetto la tua proposta, e se anche lui lo farà ti seguirò senza indugi.”

Condotto alla sua casa, Shantanu chiese Satyavati in sposa e il pescatore ringraziò gli dei per la buona fortuna che era toccata alla figlia, ma chiese che fossero osservate certe condizioni.

“Questo matrimonio è una grande cosa per mia figlia,” disse, “ma voglio anche che i miei nipoti diventino re dopo che avrai abbandonato il trono; se sei d’accordo su questa condizione, potrai averla come moglie.”

Shantanu era esterrefatto.

“Tutto ciò è assurdo,” disse. “Tu sai benissimo che io ho già un figlio, Devavrata, che è il principe ereditario e non posso certo privarlo del suo diritto di nascita. Chiedimi ciò che vuoi: ricchezze, onori, ma non questo.”

Fu tutto inutile; il pescatore non voleva accettare nulla se non la promessa che i figli di Satyavati avrebbero regnato sul trono di Hastinapura. Shantanu era innamorato di quella ragazza, ma non se la sentì di fare un torto simile al figlio, per cui tornò in città sconsolato, consapevole del fatto che mai avrebbe potuto dimenticare Satyavati.

Passarono alcune settimane; Devavrata si accorse che suo padre non era più felice e sereno come una volta e gliene chiese le ragioni. Shantanu rispose evasivamente e non volle rivelare il suo segreto. Però ogni giorno che passava si chiudeva in sé stesso sempre di più e si rifiutava di parlarne con chiunque. Devavrata, preoccupato, cominciò a indagare finché, con un astuto raggiro, riuscì a convincere l’auriga, che aveva assistito alla scena, a raccontargli l’accaduto.

Risolto il mistero, il giorno stesso Devavrata andò a trovare il pescatore e tentò in ogni maniera di convincerlo a concedere la figlia in sposa a suo padre. Ma lo trovò irremovibile: era deciso a vedere i nipoti sul trono.

“Se è solo questo che vuoi,” gli disse il virtuoso principe, “sei già accontentato. Io non ambisco alle gioie e al potere di questo mondo e non ho difficoltà nel rinunciare al mio diritto di nascita in favore del tuoi nipoti. Avrai ciò che vuoi, purché mio padre sia felice.”

“Sei un giovane dai principi morali grandi e solidi come le montagne”, convenne ammirato il pescatore, “e so che tu manterrai la promessa: ma tuttavia che dire dei tuoi figli? Chi mi dice che quando essi saranno arrivati all’età giusta non avanzeranno pretese al trono?”

“lo non voglio altro che sapere mio padre felice,” ribatté Devavrata con fermezza, “questo è il mio primo principio. Se hai timore che i miei figli un giorno potrebbero pretendere il trono dai tuoi nipoti, allora giuro che non mi sposerò: e che questo sia un voto che mai romperò in nessuna circostanza.”

Appena Devavrata ebbe pronunciato il voto di celibato perpetuo, dal cielo si udì risuonare una voce celestiale che diceva: “Bhishma, Bhishma”, che significa “colui che pronuncia un voto difficile e lo osserva.” Da quel giorno Devavrata fu chiamato Bhishma. Shantanu non fu affatto contento del giuramento fatto dal figlio, ma Devavrata gli fece capire che quella decisione si sarebbe rivelata un bene per entrambi. Riconoscente, il monarca benedisse il figlio a morire solo quando egli stesso lo avesse desiderato- (dal Maha-Bharata narrato da Manonath Dasa).