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Panchatantra – tantra I


PANCHATANTRA

Tantra I

La separazione degli amici

Indice:

LA SCIMMIA E IL CUNEO

LO SCIACALLO ED IL TAMBURO

CADUTA E RIPRESA DI UN MERCANTE

IL SAGGIO STOLTO E LO SCIACALLO

LA GRU FURBA ED IL GRANCHIO PIU’ FURBO

LA LEPRE SCALTRA ED IL LEONE OTTUSO

LA PULCE ED IL POVERO INSETTO

LO SCIACALLO BLU

IL CAMMELLO, LO SCIACALLO ED IL CORVO

LA COPPIA DI FAGIANI E IL MARE

I TRE PESCI

L’ELEFANTE E IL PASSERO

IL LEONE E LO SCIACALLO

SUCHIMUKHA E LA SCIMMIA

IL DISPIACERE DI UN PASSERO

LA GRU E LA MANGUSTA

IL RE E LA SCIMMIA

C’era una volta Amarasakti, che governava la città-stato di Mahilaropyam nel sud dell’India. Egli aveva avuto tre figli ottusi, che divennero per lui una fonte di preoccupazioni senza fine. Rendendosi conto che i suoi figli non avevano alcun interesse per l’apprendimento, il re convocò i suoi ministri e disse:

“Voi sapete che non sono felice con i miei figli. Secondo gli uomini di sapienza, un figlio non ancora nato e un figlio che non c’è più, sono meglio di un figlio idiota. Per cosa è buona una vacca sterile? Un figlio che è stupido porterà disonore a suo padre. Come posso renderli adatti ad essere miei successori? Mi rivolgo a voi per un consiglio”.

Uno dei ministri suggerì il nome di Vishnu Sharman, un grande studioso che godeva del rispetto di centinaia di suoi discepoli. “Lui è la persona più competente come precettore per i vostri bambini. Li affidiamo alla sua cura e molto presto vedrete il cambiamento”.

Il re convocò Vishnu Sharman e lo supplicò “Oh, venerabile studioso, abbi pietà di me, ti prego di istruire i miei figli per farne grandi eruditi e io ti nominerò signore di centinaia di villaggi”.

Vishnu Sharman rispose: “Oh, re, ascolta la mia promessa. Centinaia di villaggi non mi tentano a vendere l’insegnamento. Conta sei mesi da oggi. Se io non rendo i tuoi figli grandi studiosi, potrai chiedermi di cambiare il mio nome”.

Il re chiamò immediatamente i suoi figli e li consegnò alle cure del dotto. Sharman li portò al suo monastero, dove iniziò ad insegnare loro le cinque strategie (Panchatantra). Mantenendo la sua parola, terminò il compito affidatogli dal re in sei mesi. Da allora, il Panchatantra divenne popolare in tutto il mondo, come guida per i bambini a risolvere i problemi della vita.

Si inizia ora con la serie “La Divisione degli Amici” (prima delle cinque strategie). Sono storie, rappresentate nella forma di un dialogo, tra due sciacalli di nome Karataka e Damanaka.

Tanto, tanto tempo fa, un mercante di nome Vardhaman, viveva in una città nel sud dell’India. Un giorno, mentre stava riposando sul suo giaciglio, lo colpì come un fulmine, l’idea che il denaro fosse l’asse del mondo e che più ne avesse posseduto, tanto più sarebbe stato potente. Anche i nemici cercano l’amicizia di un uomo ricco, si disse. Il vecchio diventa giovane se ha ricchezze, e il giovane diventa vecchio, se non ha la ricchezza. Gli affari sono uno dei sei modi che aiutano l’uomo ad accumulare ricchezza. Questa era la sua logica.

Mobilitate tutte le sue merci, Vardhaman partì, in un giorno propizio, per Madhura, alla ricerca di mercati per le sue merci. Iniziò il suo viaggio in un carro allegramente decorato, trainato da due buoi. Lungo la strada, stanco del lungo percorso, uno dei buoi, di nome Sanjeevaka, crollò nel bel mezzo di una giungla vicino al fiume Yamuna. Il mercante, continuò il suo viaggio, chiedendo ad alcuni dei suoi servi di prendersi cura dell’animale. Ma i servi abbandonarono il bue subito dopo che il loro padrone li aveva lasciati. Raggiuntolo più tardi, gli comunicarono che il bue era morto.

In realtà, Sanjeevaka non era morto. Nutrendosi con l’abbondante erba fresca e tenera della foresta, riguadagnò forza e cominciò ad esplorare la giungla allegramente, danzando e cantando in allegria. Nella stessa foresta viveva Pingalaka, il leone. Sanjeevaka, contento della sua nuova vita nella giungla, continuava a danzare e cantare fragorosamente con gioia. Un giorno, Pingalaka e altri animali stavano bevendo l’acqua dello Jamuna, quando il leone sentì il muggito spaventoso del bue. In preda al panico, il leone si ritirò nella foresta e si sedette, profondamente perso nei suoi pensieri e circondato dagli altri animali.

Percependo la difficile situazione del loro re, due sciacalli, Karataka e Damanaka, figli di due ministri destituiti, che erano all’oscuro di ciò che era successo al loro re, discutevano perplessi.

“Cosa mai è potuto capitare al signore della foresta?” Chiese Karataka.

“Perché dovremmo ficcare il naso in affari che non sono di nostra pertinenza? Non hai sentito la storia della scimmia che ha tirato fuori il cuneo dal tronco?” Rispose Damanaka.

“Suona interessante. Damanaka, perché non mi racconti cosa è successo alla scimmia?”

“Va bene, ascolta” E Damanaka iniziò a narrare la storia della scimmia.

LA SCIMMIA E IL CUNEO

Un mercante, tanto tempo fa, aveva iniziato la costruzione di un tempio nel mezzo del suo giardino. Molti muratori e carpentieri stavano lavorando per il lui. Essi prendevano ogni giorno un po’ di tempo, per andare in città a consumare il loro pranzo e nel cantiere non rimaneva nessuno. Un giorno, mentre i lavoratori erano via a pranzo, un gruppo di scimmie giunse presso il giardino dove stavano costruendo il tempio e tutte iniziarono a giocare, con qualsiasi cosa catturasse la loro fantasia. Una delle scimmie vide un tronco di legno parzialmente segato ed un cuneo inserito in esso, ma in modo da non essere perfettamente fisso.

Curiosa di sapere cosa fosse, la scimmia iniziò a tirare furiosamente il cuneo con tutte le sue forze. Finalmente, dopo tanti tentativi, il cuneo venne fuori, ma non prima che le gambe della scimmia rimanessero intrappolate nella spaccatura del tronco che, una volta tolto il cuneo, si era richiusa bruscamente. Fu così che, non riuscendo a liberare le gambe dalla stretta del tronco, la scimmia rimase per sempre lì, intrappolata.

“Quindi” disse Karataka a Damanaka, ” se ho ben capito, non è saggio ficcare il naso in affari che non ci riguardano. Abbiamo un negozio di alimentari. Perché dovremmo preoccuparci entrambi delle sorti di questo leone? “

Damanaka replicò: “Il cibo non è il centro della nostra vita. Gli anziani hanno detto che gli uomini saggi cercano l’aiuto del re per aiutare gli amici e nuocere ai nemici. Ci sono centinaia di modi per raccogliere cibo. Ciò che conta è una vita piena di apprendimento, di coraggio e di ricchezza. Se vivere in qualsiasi modo è l’obiettivo, anche il corvo vive a lungo mangiando gli avanzi”.

“Vero, ma non siamo più ministri. Gli anziani hanno sempre detto che lo sciocco, che offre fuori luogo consigli al re, invita non solo l’insulto, ma anche l’inganno ” affermò Karataka.

“No” ribattè Damanaka “chi serve il re con devozione, è destinato a guadagnare il suo favore nel lungo periodo; colui che non rimane con le mani in mano. Quelli, che capiscono perché il re è arrabbiato o generoso, saliranno, un giorno, di carica. E ‘necessario essere in buoni rapporti col re.

“Bene, allora, cosa vuoi fare adesso?” Chiese Karataka.

“Sai, che adesso il re è spaventato. Noi gli chiediamo cosa lo spaventa e utilizzando le sei vie della diplomazia, ci avviciniamo a lui”.

“Come fai a sapere il re è spaventato?”

“Variazioni di postura, segni, il ritmo, le azioni, le conversazioni, gli sguardi e le espressioni indicano il funzionamento della mente. Affronterò oggi la paura-che ha colpito il re, e con la mia intelligenza, la dissiperò diventando così, ancora una volta, un suo ministro”.

disse Damanaka.

“Come puoi farlo quando non conosci i principi del servizio?” Chiese Karataka.

Damanaka gli riferì tutto quello che sapeva ed aveva imparato a conoscere, su ciò che rende, un servitore al servizio del re, buono e fedele.

“In questo caso”, concluse Karataka, “ti auguro buona fortuna”.

Preso congedo da Karataka, Damanaka si recò quindi dal re e si fece annunciare. Riconoscendo che era il figlio del suo vecchio ministro, il re Pingalaka comandò alle sue sentinelle di portarlo alla sua presenza. Giunto in sua presenza, Damanaka si pose in ginocchio per rendere omaggio al re.

“E’ da molto tempo che non ti vedevo” disse il re.

“Non so di quale utilità posso essere per lei, mio signore. Eppure, secondo il saggio, ci sono occasioni in cui ogni persona, per quanto alta o bassa, può essere utile al proprio re. Per generazioni abbiamo servito il re con devozione. Eppure io sono lontano dai favori di Vostra Maestà”.

“Va bene, competente o incompetente, sei il figlio del nostro vecchio ministro. Vai avanti e dimmi ciò che hai in mente” ordinò il re a Damanaka.

“Posso chiederle umilmente, mio signore, che cosa vi ha fatto tornare dal lago senza acqua per dissetarvi?” chiese con rispetto.

“O Damanaka, non hai sentito i forti e spaventosi suoni in lontananza? Voglio lasciare questa foresta. Lo strano animale che può avere prodotto tali suoni, deve essere potente come i suoni che emette”.

“Maestà, se è solo un suono ad essere il suo problema, vorrei suggerire che i suoni sono fuorvianti. Posso narrarle la storia di uno sciacallo, e di come ha superato la paura del suono.”

“Sentiamo!” disse il re.

LO SCIACALLO ED IL TAMBURO

Una volta, uno sciacallo affamato che girovagava in cerca di cibo, finì nei pressi di un campo di battaglia abbandonato, e qui cominciò ad udire fragorosi e misteriosi rumori. Spaventato, pensò: “Devo sparire da questo posto, prima che l’essere che sta producendo questi suoni mi veda”. Dopo un po’, però, ci ripensò e si disse “non devo scappare in questo modo. Voglio scoprire ciò che realmente sono questi rumori e chi li sta facendo, perché tanto che si tratti della paura, quanto che si tratti della felicità, bisogna conoscerne la causa. Una tale persona, così comportandosi, non avrà mai rimpianto per le sue azioni. Quindi, indagherò per prima cosa sull’origine di questi rumori”.

Con estrema circospezione, lo sciacallo si mosse in direzione dei suoni e trovò lì un vecchio tamburo che pendeva da un ramo basso di un albero. Era proprio quel tamburo che, ogni volta che i rami dell’albero, mossi dal vento, vi sbattevano contro, emetteva quei suoni. Sollevato, lo sciacallo, tirato giù il tamburo, iniziò a suonarlo percuotendolo, poi, al pensiero che ci potesse essere del cibo al suo interno, lo sciacallo lo fracassò forandone un lato ed entrandoci dentro. Era deluso per non averci trovato all’interno del cibo, eppure si consolò pensando a come si era liberato della paura del suono.

“Pertanto”, concluse Damanaka, rivolto al re Pingalaka, “Sua Maestà non deve aver paura dei suoni. Mi conceda il suo permesso di andare e vedere qual è l’origine di quei suoni”.

“Accordato!” disse il re. Congedatosi dal re, Damanaka si avviò nella direzione di quei suoni così inquietanti.

Il re, frattanto, aveva cominciato a preoccuparsi per se stesso, circa le intenzioni di Damanaka. Pensava: “Egli può avere del rancore contro di me per averne chiesto le dimissioni tempo fa. Tali persone cercano vendetta. Non avrei dovuto entrare con lui così in confidenza. Lo dovrò tenere d’occhio. Gli uomini saggi hanno sempre sostenuto che è difficile da uccidere un uomo, anche se debole, che non si fida facilmente degli altri; ma è estremamente facile uccidere un uomo, anche se è forte, che si fida facilmente del prossimo”.

Mentre il re decideva di tenerlo d’occhio, Damanaka si mosse lentamente verso Sanjeevaka, il bue, scoprendo che questi era, dopo tutto, un animale e pensò: “Questo è un buon auspicio. Questo mi aiuterà a tornare in buona grazia del re. I Re non seguono mai i consigli dei loro ministri, a meno che non siano in pericolo o in sofferenza. Proprio come un uomo sano non pensa mai ad un medico, anche un re forte e sicuro non ricorda mai di avere bisogno di un ministro.”

Assicuratosi che ciò che vedeva era solo un bue, Damanaka ritornò dal re e gli raccontò quello che aveva scoperto.

“È vero?” chiese il re.

“Il re è Dio. Colui che mente a un re perisce. Solo lui ha il potere di concedere favori”.

“Ti credo. I grandi non arrecano danno ai più deboli. Essi impiegano solo i loro eguali. Questo è ciò che rende unica la gente coraggiosa”.

“Ciò che la sua maestà dice è vero. Sanjeevaka è grande. Se la vostra signoria mi permette, io lo convinco a diventare uno dei suoi servitori”.

“Va bene, ti prendo di nuovo come ministro” disse il re, compiaciuto.

Damanaka si affrettò subito a tornare da Sanjeevaka e gli disse di smettere coi muggiti e di seguirlo per incontrare il suo re. Ma il bue volle sapere chi era questo Pingalaka. “Che cosa? Non conosci il nostro signore? Aspetta, presto saprai il costo di questa ignoranza. Eccolo, circondato dal suo seguito sotto l’albero di baniano”. Sanjeevaka pensò che i suoi giorni erano contati e supplicò Damanaka: “Signore, tu sembri possedere grande saggezza e arguzia. Tu solo puoi salvarmi. Posso venire solo se mi puoi assicurare che nessun danno mi verrà arrecato”. Damanaka chiese al bue di aspettare il momento giusto per incontrare il re.

Tornato dal re, Damanaka riferì: “Mio signore, egli non è un essere ordinario. Egli è il veicolo del Signore Shiva. Mi ha detto che il Signore Shiva gli aveva permesso di nutrirsi della tenera erba nei pressi dello Jamuna. Ma io gli ho spiegato che la foresta appartiene al nostro re leone, che è il veicolo della dea Chandika; che lui è nostro ospite. Può vedere il nostro re e cercare uno spazio appartato per pascolare. Ha accettato questo piano, sempre che disponga di una garanzia da Sua Maestà”.

“Sì, certo. Ma in cambio ho bisogno di essere assicurato da lui. Portamelo qui”.

Raggiunto il bue Damanaka gli consigliò: “Tu hai ogni assicurazione da parte del re. Ma questa nuova situazione potrebbe non andare a tuo vantaggio. Dobbiamo lavorare insieme. Solo così possiamo prosperare. In caso contrario, chi non rispetta tutti, che sia alto o basso, perderà il favore dei re, come Dantila”.

”Chi è Dantila?” chiese Sanjeevaka.

CADUTA E RIPRESA DI UN MERCANTE

Nella città di Vardhaman, viveva un ricco mercante di nome Dantila. Egli aveva organizzato un gran ricevimento per il proprio matrimonio alla presenza del re, della regina, dei loro ministri e di tutte le persone ricche e influenti della città. Presente al ricevimento c’era Gorambha, un umile inserviente presso la famiglia reale. Quando Dantila, lo vide occupare un posto riservato ai nobili, ordinò ai suoi servi di buttarlo fuori di casa sua.

Così insultato, Gorambha pensò: “Io sono un uomo povero e quindi non posso dare una risposta adeguata ad una persona così ricca come Dantila. Devo ottenere in qualche modo che il re non gli conceda più i suoi favori”. Poi si concentrò su un piano per vendicarsi di Dantila.

Una mattina presto, mentre il re stava ancora dormendo, Gorambha, facendo finta di spazzare la camera da letto del re, cominciò a mormorare ad alta voce: “Oh, quanto è arrogante quel Dantila! Lui ha avuto la faccia tosta di bloccare la regina nel suo abbraccio”. Sentendo questo, il re chiese di sapere se quello che stava mormorando Gorambh era vero. Dantila aveva abbracciato la regina?

“Oh, maestà, non mi ricordo né so quello che stavo dicendo, perché ero assonnato dopo aver trascorso l’intera notte impegnato nel gioco d’azzardo,” rispose l’inserviente al re.

Non soddisfatto della sua risposta, il re pensò che era possibile che l’inserviente avesse visto Dantila, che aveva la stessa opportunità di accesso alla casa reale di Gorambha, abbracciare la regina. Ricordava i saggi che affermano come gli uomini siano propensi a parlare nel sonno di quello che hanno fatto, visto e desiderato nel corso della giornata. Le donne erano caste, perché gli uomini non vicini o avevano paura dei servitori indiscreti. Rimuginando su queste cose, il re si convinse che Dantila aveva effettivamente importunato la regina; ordinò quindi che gli fosse impedito di entrare nella casa reale.

Da allora per il mercante iniziò un periodo difficile, sebbene non avesse fatto alcunché ai danni del re o dei suoi parenti, neanche nei suoi sogni. Un giorno, mentre Dantila stava cercando di entrare nel palazzo, gli uomini del re gli sbarrarono la strada. Vedendo questo, Gorambha disse loro: “Voi sciocchi, state fermando il grande Dantila, colui che ha ottenuto i favori del re. Egli è potente. Se lo fermate, incontrerete la stessa sorte che, un giorno, ho subito io per sua mano“.

Il mercante capì e pensò che avrebbe fatto bene a fare Gorambha felice ed a conquistare la sua fiducia. Una sera lo invitò per il tè e gli si presentò con vestiti costosi dicendogli: “Amico, non avevo mai avuto intenzione di insultarla. Lei aveva occupato un posto che avevo messo da parte per il saggio. Gentilmente la prego di perdonarmi”.

Soddisfatto, l’inserviente promise che avrebbe fatto nuovamente ottenere a Dantila i favori del re. Il giorno successivo, infatti, Gorambha ripeté la stessa scena di fingere di parlare a sproposito, delirante mentre il re stava mangiando dei cetrioli nella sala di riposo. “Che sciocchezze stai dicendo? Hai mai visto me fare queste cose?” Il re volle sapere. “No, maestà. Io non so, né mi ricordo quello che stavo dicendo, perché ero assonnato dopo aver trascorso l’intera notte giocando d’azzardo” rispose l’inserviente.

Il re allora si rese conto che, se ciò che l’inserviente aveva detto di lui non era vero, anche quello che aveva detto a proposito Dantila, poteva non essere vero. Una persona come Dantila non avrebbe potuto fare quello che Gorambha gli aveva detto. Il re aveva anche scoperto che senza Dantila gli affari dello Stato avevano sofferto e l’amministrazioni civica era giunta a uno stallo. Fu così che il re convocò immediatamente il mercante al suo palazzo e restaurò lui tutta l’autorità che egli aveva goduto, prima di cadere in disgrazia presso il re.

Damanaka riprese, “Ecco perché dobbiamo sapere che l’orgoglio precede la caduta”. Sanjeevaka concordò. Portatolo dal re leone, Damanaka presentò Sanjeevaka a Pingalaka. Dopo lo scambio di convenevoli, il re gli chiese di raccontare il suo passato e lo scopo di stare in quella giungla. Dopo che il bue espose la sua storia, il re disse: “Amico, non abbiate paura. Vi assicuro che vi proteggerò da animali selvatici, perché anche gli animali più forti qui si sentono insicuri. “

Da allora, il re chiese a Karataka e Damanaka di occuparsi degli affari di stato e cominciò a passare felicemente il suo tempo in compagnia di Sanjeevaka. Ma, dopo che Sanjeevaka era diventato un buon amico del re, gli sciacalli erano preoccupati che il re rinunciasse alle sue reali prerogative e passatempi e diventasse un santo.

I due sciacalli pensavano: “il re ha smesso di prenderci in confidenza dopo che Sanjeevaka è divenuto il suo migliore amico. Egli è anche indifferente ai suoi impegni regali. Che cosa dobbiamo fare adesso?”

Karataka disse: “Il re non può ascoltare il nostro consiglio. Ma è comunque nostro dovere consigliarlo su qualcosa se è buono per lui. Gli anziani hanno sempre sostenuto che, anche se il re non è disposto ad ascoltare un buon consiglio, è dovere dei suoi ministri offrirglieli. “Hai ragione”, convenne Damanaka “L’errore è mio. Quanto è successo al saggio e allo sciacallo, non deve accadere a noi”.

Karataka, allora, lo pregò di raccontare la storia del saggio e dello sciacallo. Così, Damanaka cominciò a raccontare.

IL SAGGIO STOLTO E LO SCIACALLO

In un monastero isolato, lontano da insediamenti umani, viveva un santo chiamato Deva Sarma. Questi aveva accumulato molte ricchezze con la vendita di capi d’abbigliamento donati a lui da sostenitori e discepoli. Presto per lui divenne un peso a custodire tali ricchezze. Dal momento che non si fidava di nessuno, teneva tutti i suoi soldi in un sacchetto che portava con sé ovunque andasse. Ashadhabhooti, un esperto imbroglione, notò questa abitudine di Deva Sarma di non separarsi mai dalla borsa, e supponendo che sicuramente vi tenesse qualcosa di prezioso, iniziò a pianificare il modo per impossessarsene

Un giorno, l’imbroglione incontrò il santo e subito cadde ai sui piedi e disse: “Oh, so-tutto, mi sono reso conto che questa vita è un’illusione; la giovinezza è fugace e tutti i legami familiari sono come un sogno. Ti prego di mostrarmi il percorso corretto che mi liberi da tutti i legami del mondo”.

Contento della sua umiltà, Deva Sarma rispose: “Figliolo, tu sei un essere benedetto per avere pensato alla rinuncia dei piaceri mondani. Senti, per quanto bassa sia la sua casta, la persona che canta “Om Namahsivayah’ e pone la cenere sacra sulla propria fronte, diventa Siva stesso e non conosce rinascita. Io ti accetterò come mio seguace, ma non puoi entrare nell’eremo di notte perché per i santi è vietata la compagnia. Dopo l’iniziazione, dovrai vivere nella capanna all’ingresso del monastero. “

Ashadhabhooti promise al saggio che avrebbe preso in considerazione tutti i segni provenienti da lui come un comando e li avrebbe eseguiti. Soddisfatto, il santo accettò il malfattore come suo discepolo. Ashadhabhooti cominciò così a fare felice Deva Sarma, partecipando ad ogni sua esigenza. Ben presto, però, vedendo che il santo non si separava mai dalla borsa col denaro, un giorno Ashadhabhooti pensò: “il vecchio è molto furbo e porta la borsa sempre con lui. Come posso strappargliela via? Dovrò ucciderlo?”

Proprio quando l’imbroglione stava ormai perdendo la speranza di raggiungere il suo obiettivo, il figlio di un discepolo giunse chiamando al saggio. Il visitatore desiderava invitare Deva Sarma a recarsi al suo villaggio, per eseguire la cerimonia del filo sacro di suo figlio. Il santo accettò l’invito e partì per il villaggio prendendo Ashadhabhooti con sé.

Lungo la strada, il guru e il suo discepolo dovevano attraversare un fiume. Dopo essersi bagnati nel fiume e volendo riposare per un po’, Deva Sarma prese la borsa e la sistemò in una coperta che aveva con sé; poi disse al discepolo: “Devo rispondere alla chiamata della natura. Lascio questa santa coperta di Siva qui. Tenetela d’occhio”. Non appena il guru scomparve dalla vista, Ashadhabhooti, raccolta la borsa, fuggì da quel luogo.

Riponendo grande fiducia nel suo discepolo, Deva Sarma si soffermò ad osservare una folla che guardava due capre, ben nutrite, mentre combattevano tra loro. Come una delle capre fu ferita, giunse sul luogo dello scontro, uno sciacallo che, evidentemente, sperava di poter banchettare con una delle due capre in lotta. Deva Sarma si accorse della belva che entrava in scena e pensò che lo sciacallo avrebbe sicuramente avuto la peggio, preso tra le due capre in guerra. La sua supposizione si avverò, infatti lo sciacallo venne incornato dalle due capre e, malconcio, dovette battere in ritirata.

Rimuginando sulla scomparsa dello sciacallo, Deva Sarma, tornato dove aveva lasciato la borsa con i soldi ed Ashadhabhooti, vedendo che quest’ultimo era sparito, fu preso dal panico. La santa coperta era lì, ma non la borsa. Iniziò a lamentarsi: “Oh, imbroglione, che cosa hai fatto? Ho perso tutto in questo mondo”. Dopo una vana ricerca del truffatore, il santo stolto tornò a casa sconsolato.

Damanaka chiese a Karataka: “Che cosa hai imparato da questo episodio?”

“Dimmelo tu”.

“Il saggio e lo sciacallo non hanno nessuno da incolpare, se non loro stessi.”

“In una situazione simile, che cosa dobbiamo fare?”

Damanaka disse: “Sì, lo so che cosa fare adesso. Con la mia astuzia creerò una spaccatura tra il re Pingalaka e Sanjeevaka. Non hai mai sentito dire che anche se non si può sottomettere il nemico con un nugolo di frecce, lo si può distruggere con la propria arguzia?”

“Aspetta un attimo” disse Karataka; “Supponiamo che il re leone ed il bue ramingo vengano a sapere dei tuoi piani per separarli … preparati ad incontrare la tua fine!”

“Amico mio, tu sei troppo pessimista. Quando il tempo e la marea sono contro di te, non ci si arrende. I saggi continuano a cercare, finché non riescono ad ottenere ciò che vogliono. Non hai mai sentito gli anziani affermare <La dea della ricchezza favorisce l’uomo che persiste.

Pregate Dio con tutti i mezzi, ma metteteci del vostro nello sforzo.

Anche se non ci riesci, sarai libero da colpa>?

Karataka era ancora poco convinto che Damanaka sarebbe stato capace di creare un dissidio tra il feroce re leone ed il saggio bue.

Damanaka insisté: “E’ come quando,tramite l’astuzia, due corvi, marito e moglie, sono riusciti a salvare i loro figli da un cobra. Ogni volta che la moglie covava le uova, un cobra voleva banchettare con la loro prole. La coppia chiese ad uno sciacallo, che era loro amico, di mostrare loro una via d’uscita. Lo sciacallo disse ai corvi di non disperarsi, perché non c’è nulla che non si possa realizzare con uno stratagemma. Fu così, infatti, che una gru si liberò di un granchio troppo avido, che si recava a predare i pesci nel lago. Il corvo femmina chiese allo sciacallo di spiegargli come aveva fatto la gru a sbarazzarsi del granchio”.

Karataka chiese allora a Damanaka di ascoltare la storia della gru e del granchio.

LA GRU FURBA ED IL GRANCHIO PIU’ FURBO

C’era una volta una vecchia gru, che abitava sulla riva di un grande lago, nel mezzo di una giungla. A causa dell’età, non era più in grado di catturare pesci o qualche insetto. Incapace di sopportare la fame, la gru si trovava sul bordo del lago e cominciò a piangere pietosamente. Commosso a quella vista, un granchio, passando per di là, chiese alla gru:

“Amico, qual è il problema? Perché non vai caccia di cibo, oggi?”

“Figliolo, hai proprio ragione. Mi sento in colpa perché ho ingoiato troppi pesci. Ho deciso di digiunare fino alla morte e di non danneggiare mai più i pesci che mi girano attorno” rispose la gru.

“Ma perchè parli in maniera così filosofica oggi?” chiese ancora il granchio.

«Che vuoi che ti dica! Ho sentito dire che non ci saranno piogge per i prossimi dodici anni. Gli astrologi hanno previsto una congiunzione malefica dei pianeti. Di conseguenza, non ci saranno piogge su questa terra per altri dodici anni. In tutti questi anni abbiamo tutti giocato e vissuto insieme. Ora sono preoccupata per la sorte che attende questi poveri pesci e le altre creature nel lago. Essi muoiono e io sarò da sola e senza di loro”.

“Non c’è modo per noi di poterci salvare?”

“Attualmente, i pesci e le altre creature acquatiche, in altri laghi, stanno migrando verso laghi più grandi con l’aiuto dei loro parenti. Qui, nessuno sembra preoccuparsi per l’oscuro futuro. Di questo passo, non rimarrà alcun tipo di pesce”.

Il granchio riferì queste informazioni a tutti i pesci e alle altre creature del lago. Allarmate, tutte loro raggiunsero la gru e la implorarono di mostrare loro il modo per superare questo pericolo.

“Perché no! C’è un grande lago non lontano da qui, che ha abbondanza di acqua durante tutto l’anno e fiori di loto sempre in fiore. Questo lago non si prosciuga anche se non ci saranno piogge per altri ventiquattro anni. Io posso traghettare tutti voi uno per uno fino a quel lago”.

I poveri pesci e le altre creature dell’acqua, posero subito tutta la loro fiducia nella gru e accettarono di essere traghettati. Così, la gru cominciò a prendere uno di loro alla volta ma, una volta arrivati fino ad un luogo solitario, li sbatteva contro una pietra e se li mangiava. Ogni giorno tornava al lago e ripeteva l’inganno.

Un giorno il granchio chiese alla gru, “Zio, stai trasportando tutti fino a quel lago lontano tranne me. Perché non mi porti lì oggi e salvi anche la mia vita?”

Stanca di mangiare pesce tutti i giorni, la gru era troppo felice di portare il granchio al lago che non esisteva. Da parte sua, anche il granchio era felice e montò sulla schiena della gru. Mentre la gru stava volando vicino al punto in cui aveva mangiato tutto il pesce, il granchio, vedendo in basso un mucchio di lische di pesce intuì l’accaduto e chiese alla gru: “Senti, abbiamo percorso una lunga distanza e non vedo un lago da nessuna parte. Dimmi, dove si trova il luogo verso cui siamo diretti?”

“Tu sei stato uno sciocco a fidarti di me. Non vi è alcun lago. Né vi è acqua. Recita le tue preghiere ora, sto per ucciderti”. Il granchio furbo, non si lasciò prendere alla sprovvista, ed in un attimo strinse il collo della gru tra le sue chele, ferendola e facendola così precipitare al suolo. Dopo una lenta marcia, il granchio fece ritorno al lago, dove lo circondarono tutti i suoi amici, preoccupati perché la gru non era ancora tornata. Essi gli chiesero quale era la ragione che lo aveva fatto tornare e perché la gru non fosse con lui.

Il granchio spiegò tutto: “voi stolti, la gru vi stava prendendo tutti, uno ad uno, e giunta in un luogo deserto, faceva precipitare le povere vittime contro una roccia ed aveva così il pranzo assicurato. Ho scoperto la sua malizia e mi salvai attanagliandole il collo. Da oggi, tutti noi, possiamo vivere felicemente senza paura”.

Finito il racconto, i corvi chiesero allo sciacallo come potevano sbarazzarsi del cobra che voleva banchettare con la loro prole. Lo sciacallo, suggerì loro di andare in una grande città e di strappare qualsiasi elemento prezioso da un palazzo e rilasciarlo nella cavità dell’albero dove abitava il cobra. Recandosi alla ricerca dei preziosi, gli uomini del re avrebbe raggiunto l’albero e ucciso il cobra.

La coppia di corvi volò via, fino a raggiungere un lago dove, le donne che abitavano al palazzo del re, stavano nuotando. Prima di entrare in acqua, esse avevano lasciato i loro gioielli e abiti in riva al fiume. Il corvo femmina, con un abile tuffo, afferrò una delle collane d’oro e smeraldi, e cominciò lentamente a volare verso covo del serpente. Gli uomini del re, che avevano visto il corvo volare via con la collana, la seguirono, finché videro cadere la collana nella cavità dell’albero. Corsero allora verso l’albero per recuperare il gioiello ed uccisero il cobra.

“Ecco perché” concluse Damanaka rivolto a Karataka “gli anziani dicono, che chi è saggio è più forte del forte. Fu per questo che una piccola lepre vinse contro il potente leone”.

“Come mai?” Chiese Karataka.

“Questa è un’altra storia” rispose Damanaka.

LA LEPRE SCALTRA ED IL LEONE OTTUSO

Bhasuraka era un leone che spadroneggiava sopra la giungla, uccidendo cervi, cinghiali, conigli, bisonti, ecc. Tuttavia egli non era felice per le sue uccisioni. Per la verità, neanche le vittime erano molto contente e decisero quindi di incontrare il leone, per cercare di porre fine a quella giornaliera carneficina. Così, un giorno, gli si presentarono davanti in delegazione. “Oh, signore”, iniziarono titubanti, “Perché uccidere tanti animali ogni giorno, quando per cibarti te ne occorre uno solo? Veniamo ad un compromesso. Da oggi, non sarà più necessario per te spostarti dalla tua tana. Invieremo ogni giorno un animale per te. Ciò ti risparmierà la fatica della caccia ed a noi la nostra vita di continuo terrore”.

“I nostri antenati, “continuarono” hanno detto che il dovere del re è quello di governare e non di distruggere. Proprio come un seme germoglia, si muta in un albero e produce il frutto, un popolo, protetto dal proprio re, viene in suo soccorso nel momento del bisogno”.

“Quello che dite è vero” rispose il leone accettando, però aggiunse una condizione: “Se non riuscite ad inviare un animale ogni giorno, io ucciderò tutti voi”.

“D’accordo”. La vita nella foresta riprese, per tutti gli animali, senza più la paura per le violente razzie del leone. Iniziò, altresì, l’invio giornaliero di uno di loro presso il leone, per il suo pranzo. Un giorno, arrivò il turno di una lepre, che intraprese serenamente il suo ultimo viaggio. Durante il percorso, si trovò davanti un grosso pozzo e quando per la curiosità vi guardò dentro, vide il proprio riflesso.

All’improvviso un’idea colpì la lepre. “In qualche modo, devo portare il leone presso il pozzo e convincerlo a saltarci dentro” pensò. Era tarda sera quando finalmente la lepre raggiunse la tana del leone. Il leone aveva fame ed era molto arrabbiato e aveva deciso di uccidere tutti gli animali; in quel momento la lepre si avvicinò e si inginocchiò davanti a lui.

Il leone avvertì la lepre: “In primo luogo, tu sei troppo magro per il mio pranzo. In secondo luogo, sei arrivato in ritardo. Quindi io ucciderò te e anche tutti gli altri”.

“Mio signore, non è colpa mia o colpa degli altri animali”.

“Fammi sapere chi è che ti ha fatto ritardare e lo ucciderò con un colpo solo”.

“La nostra gente aveva deciso che oggi sarebbe stato il mio turno. Dal momento però che non basto per un pasto completo, per il vostro pranzo hanno inviato altre tre lepri, oltre me. Però, lungo la strada, è accaduto che un leone enorme è sbucato dalla sua tana e ha voluto sapere dove stavamo andando”.

<Stiamo tutte andando da Bhasuraka come suo pasto, secondo i nostri accordi> abbiamo risposto. Il grande leone, allora, ha detto che questa giungla apparteneva a lui e che tutti gli animali dovevano obbedire ai suoi ordini. Ci ha anche detto che sei un imbroglione e ci ha chiesto di portarti a lui per una prova di forza. Chi risulterà vincitore diventerà re. Infine mi ha ordinato di invitarti alla sua fortezza. Ecco perché sono in ritardo. Ora sta a voi decidere”, spiegò la lepre al leone.

“In questo caso” disse Bhasuraka alla lepre, “fammi vedere quel leone. Lo ucciderò e lo mangerò per pranzo. In accordo con gli anziani della terra, l’amicizia e l’oro sono i frutti della guerra. Gli uomini saggi non vanno in guerra, a meno che non ci siano guadagni”.

“Sì, mio signore», disse la lepre, “quello che dici è vero. Ma il grande leone vive in una fortezza. Egli sa che un re senza un forte è come un cobra senza denti e un elefante senza impeto”.

“Smettila con queste sciocchezze e portalo qui. Non lo sai che devi schiacciare il nemico e la malattia alla prima occasione? In caso contrario, crescerà in forza e schiaccerà te”.

“Ma il grande leone sembra essere molto forte. Non hai sentito gli anziani che dicono che non si dovrebbe andare in guerra senza valutare la propria forza e la forza del nemico? Colui che incontra il nemico in fretta, perirà come le cavallette in un incendio”.

Sempre più impaziente, il leone ruggì, “perché tutto questo parlare elevato. Mostramelo”. Obbedendo all’ordine del leone di accompagnarlo dall’avversario, la lepre lo portò fino al pozzo e disse a Bhasuraka che il grande leone era lì, in quel fortino, e gli mostrò il pozzo. Il leone, allora, fece capolino nel pozzo e scambiando il suo riflesso nell’acqua per il grande leone, saltò dentro il pozzo per ucciderlo. Così il leone sciocco perì e tutti gli animali della giungla vissero per sempre felici e contenti.

Damanaka riprese: “Questo è il modo in cui, con le mie capacità, creerò un dissidio tra Pingalaka e Sanjeevaka”.

“Va bene, buona fortuna a te” augurò Karataka.

Un giorno, mentre Pingalaka era solo, Damanaka lo andò a visitare e si inchinò a lui.

“Non vi abbiamo visto per lungo tempo”, disse Pingalaka.

“Di quale utilità sono per voi? Eppure, quando il vostro ruolo presentava delle difficoltà, ho pensato di informarvi. Anche senza chiedere il permesso, bisogna offrire un buon consiglio a colui che si desidera proteggere da indegnità, dicevano i nostri anziani “.

“Qualunque cosa tu voglia dire, dilla senza esitazione”.

Raccogliendo tutto il coraggio, Damanaka disse: “Mio signore, Sanjeevaka vuole farvi del male. Prendendomi in disparte, una volta mi disse che vi avrebbe ucciso, per diventare il re e nominare me ministro “.

“Ma Sanjeevaka è un mio amico fidato. Perché dovrebbe pensare di farmi del male?”

“Non c’è servo leale o sleale. Non vi è servo che non desideri il potere. Mio signore, che cosa vi ha fatto prendere Sanjeevaka in confidenza? Non credo che lui sia un animale forte, in grado di uccidere i vostri nemici. Questo non accadrà, perché è vegetariano e il mio Signore banchetta con la carne. E’ meglio sbarazzarsi di lui”.

“Ti ricordi che gli ho dato la mia parola su tuo consiglio. Come posso uccidere chi ha ottenuto tale garanzia da me.”

“Mio signore, secondo i saggi, non si dovrebbe fare amicizia con persone che non si conoscono. Voi certamente sapete come un insetto innocente morì per colpa di una pulce “.

Pingalaka volle sapere la storia e Damanaka cominciò a raccontare.

LA PULCE ED IL POVERO INSETTO

C’era una volta un insetto di nome Mandavisarpini. Egli aveva realizzato per sé una piccola casa tra le pieghe delle lenzuola di lino, color bianco latte, adagiate sul letto ornamentale del re. Un giorno, l’insetto vide una pulce sulla soglia della camera da letto del re e le disse che era arrivata in un posto sbagliato, invitandola a lasciare la stanza prima che qualcuno la notasse.

La pulce, il cui nome era Agnimukha, disse: “Oh venerabile signore, non è giusto per voi chiedere ad un ospite di andarsene, anche se lui è una persona malvagia. Lo si deve accogliere, gli si chiede della sua salute, gli si dicono parole che lo mettano a proprio agio e lo invita a prendere il resto. Ecco come buoni padroni di casa trattano i loro ospiti. Inoltre, ho assaggiato il sangue di una varietà di uomini e animali; ma non ho mai assaggiato sangue reale. Il sangue del re è un composto di cibi ricchi ed è destinato ad essere gustato dai ricchi. Mi permetta di gustare questa prelibatezza”.

La pulce continuò: “Tutto ciò che facciamo in questo mondo lo facciamo per placare la nostra fame. Sono venuto a voi in cerca di cibo. Non è giusto per voi succhiare il sangue del re tutto solo. Lo dovrebbe condividere anche con me”.

L’insetto rispose: “Oh, pulce, io succhio il sangue del re quando è profondamente addormentato. Tu sei impaziente. Devi aspettare che finisca io per primo. Dopo di me, potrai avere la tua parte”. La pulce ne convenne, promettendo che avrebbe aspettato il proprio turno.

Nel frattempo, il re entrò nella sua camera da letto per dormire. Ma la pulce, impaziente, gli balzò subito addosso ed iniziò a banchettare con il sangue del re, non appena questi si coricò per dormire. Colpito dal suo morso, il re si alzò dal letto e chiese ai suoi servi di cercare cosa c’era nel letto che gli aveva causato disagio. Gli uomini del re sollevarono la biancheria dal letto e la esaminarono attentamente. Prima che se ne accorgessero, la pulce si nascose in un incavo del letto. I servi trovarono invece il povero insetto e lo uccisero con un sol colpo.

Damanaka concluse: “Questo è il motivo per cui si dovrebbe uccidere Sanjeevaka prima che sia lui ad uccidere voi. Chi abbandona un confidente fidato e si fida un estraneo, morirà come il saggio Kakudruma”.

LO SCIACALLO BLU

Chandaraka era uno sciacallo che viveva in un bosco. Un giorno, spinto dalla fame, giunse in una città vicina in cerca di cibo. Vedendolo, un gruppo di cani randagi, cominciò a dargli la caccia e lo attaccarono. Lo sciacallo, fuggito in preda al panico, entrò nella casa di un uomo, che lavorava come lavandaio, e si nascose in una vasca piena di blu, utilizzato per lo sbiancamento delle stoffe. Quando uscì dalla casa, era diventato un animale blu. Pensando che non era lo sciacallo che avevano inseguito, i cani si dispersero.

Lo sciacallo tornò così nella foresta con il suo corpo tinto di blu. Quando i leoni, le tigri, le pantere, i lupi e gli altri animali della foresta lo videro, si spaventarono e corsero in tutte le direzioni. Pensavano tra sé: “Noi non conosciamo la sua potenza e forza. E’ meglio che ci teniamo a distanza da lui. Non hanno forse avvertito gli anziani, di non fidarsi di colui il cui comportamento, casta e coraggio non sono noti?”

Nel vederli spaventati, lo sciacallo tinto si disse: “Perché scappate in quel modo? Non vi è alcun bisogno di temermi. Io sono una creazione speciale di Dio. Mi ha detto che gli animali in questa giungla non avevano un sovrano e che avreste nominato me come vostro re. Mi ha chiamato come Kakudruma e mi ha detto di governare su tutti voi. Quindi tutti voi potete vivere in modo sicuro, sotto l’ombrello della mia protezione”.

Tutti gli animali della giungla lo accettarono come re. Lui, a sua volta, nominò il leone come suo ministro, la tigre come suo ciambellano e il lupo come guardiano. Dopo la distribuzione degli incarichi agli animali, il nuovo re Kakudruma, bandì dal suo regno tutti gli sciacalli della foresta. I leoni, le tigri ed i lupi eseguivano correttamente i propri doveri, anche esattoriali, per il re. Presa la sua parte, Kakudruma redistribuiva il resto tra i suoi sudditi.

Un giorno, mentre lo sciacallo blu teneva una riunione corte, udì, in lontananza, una banda di sciacalli ululanti. Entusiasta nel sentire il suono della sua stessa gente, Kakudruma cominciò ululare ad alta voce, rispondendo con la sua voce naturale. I leoni e gli altri animali, subito riconobbero che il loro re, dopo tutto, era uno sciacallo e non un dono del cielo. Allora, subito, si avventarono sullo sciacallo blu e lo uccisero.

“La morale è che”, sentenziò Damanaka, “colui che abbandona la propria gente perirà”.

“Ma come faccio a credere che Sanjeevaka ha cattive intenzioni” chiese Pingalaka.

“Oggi mi ha detto che vi avrebbe ucciso domani. Se lo osserverete con attenzione domani, lo troverete con gli occhi rossi e ad occupare un posto che non merita. Ti guarderà con rabbia. Se ciò che dico è vero, saprete voi cosa fare con Sanjeevaka”, concluse Damanaka.

Dopo questo incontro con il re leone, Damanaka andò da Sanjeevaka. Il bue lo accolse con cortesia e disse: “Ci incontriamo dopo un lungo periodo di tempo. Cosa posso fare per te? Sono i beati, coloro che ricevono visite da amici”.

“Siete nel giusto, signore. Ma non c’è il riposo per i servitori. Hanno perso la loro libertà per amore del denaro. Sanno vegliare, nessun interesse per il cibo, né possono parlare senza paura. Eppure essi vivono. Qualcuno ha giustamente comparato il servizio rispetto alla vita di un cane”, disse Damanaka.

“Vieni al punto, amico mio”. Il bue era ormai impaziente.

Damanaka disse: “Signore, un ministro non dovrebbe dare cattive notizie. Non può inoltre rivelare i segreti di Stato. Se lo fa, andrà all’inferno dopo la sua morte. Ma a causa della vostra amicizia, devo rivelarvi un segreto. E’ per mio suggerimento che avete preso servizio presso la famiglia reale. Pingalaka ha disegni malvagi contro di voi. Quando eravamo soli, mi ha detto che vi avrebbe ucciso e portato nel palazzo la felicità per tutti.

“Ho detto al re, che questo sarebbe stato come pugnalare un amico alle spalle,” continuò Damanaka,. ” ma il re si adirò e disse che eri un vegetariano e lui ha vissuto sempre con una dieta di carne e quindi che c’e una discordia naturale tra te e lui. Egli ha aggiunto che questa era per lui una ragione sufficiente ad uccidervi. Questo è un segreto che ho tenuto per me per molto tempo. E’ ora di fare ciò che è necessario”.

Sanjeevaka svenne nel sentire queste parole. Ripresosi dopo qualche tempo, disse: “E’ stato giustamente detto che, una persona che serve il re, è come un toro senza corna. E’ difficile conoscere la mente di un re che ha idee diverse. Non è facile servire un re. Anche i saggi non riuscivano a leggere le menti dei re. Penso che alcuni servi, che gelosi della mia amicizia con il re, devono aver avvelenato la sua mente “.

“Non vi preoccupate”, lo consolò Damanaka. “Dimenticate quello che i servi possono avere riportato al re. È ancora possibile vincere il suo favore con le vostre dolci parole”.

“Questo non è vero. E’ impossibile vivere con persone malvagie, per quanto piccole esse siano. Possono sempre escogitare un centinaio di modi, per ridurvi nello stesso modo in cui lo sciacallo ed il corvo intrappolarono il cammello”.

“Sembra interessante. Fatemi sapere, cosa è successo al cammello?” domandò Damanaka.

Sanjeevaka cominciò a raccontargli la storia.

IL CAMMELLO, LO SCIACALLO ED IL CORVO

In un bosco molto lontano, viveva un leone di nome Madotkata servito da un leopardo, uno sciacallo e un corvo. Un giorno avvistarono Kradanaka, un cammello che aveva perso la strada. Il cammello che vedevano era per loro un animale insolito, così il leone chiese ai suoi assistenti di scoprire se era un animale selvatico oppure un animale domestico.

Il corvo affermò che il cammello era un animale domestico allevato per essere ucciso e mangiato. Rifiutandosi di mangiare Kradanaka, il leone disse: “Io non uccido qualcuno che è venuto in cerca di ospitalità. Secondo i nostri anziani, non si può uccidere neanche un nemico che è venuto fidandosi. Chi uccide così, commette il peccato di aver ucciso centinaia di bramini. Assicuratelo sulla sua sicurezza e portatelo a me”.

I tre assistenti scortarono il cammello alla presenza del leone. Quando il leone chiese al cammello di raccontare la sua storia, Kradanaka gli rispose che egli era parte di una carovana di mercanti e spiegò come aveva smarrito la sua strada. Il leone disse al cammello: “Kradanaka, perché vuoi tornare al tuo paese e diventare ancora una volta una bestia da soma? Rimani con noi senza alcuna esitazione e festeggia su questa tenera erba”. Da allora, il cammello rimase a vivere felicemente con il leone ed i suoi tre assistenti.

Un giorno, il leone era impegnato in una battaglia contro un elefante. Una sua zanna incornò Madotkata, che rimase gravemente ferito. Egli divenne troppo debole per cacciare. Senza cibo non era in grado di fare nulla. Allora, il leone chiese agli assistenti di andare a cercare qualche animale per il suo pasto. “Portare l’animale qui. Lo ucciderò in qualche modo e fornirò cibo per tutti voi”. disse il leone.

Il leopardo, lo sciacallo, e il cammello guardarono dappertutto alla ricerca di un animale, ma non riuscivano a trovare nessuno. Lo sciacallo prese il corvo da parte: “Amico, che cosa è lo scopo di perdere tempo in questo modo? Abbiamo Kradanaka, l’amico fedele del nostro signore. Uccidiamolo e sopravviviamo”.”A me andrebbe bene. Eppure non possiamo ucciderlo, perché il nostro Signore gli ha assicurato la sua protezione”, rispose il corvo”.

“Lascia fare a me. Convincerò Madotkata ad uccidere il cammello. Aspetta qui. Incontrerò il Signore e otterremo il suo permesso”, e lo sciacallo si avviò per incontrare il leone.

Giunto da lui, lo sciacallo disse al suo padrone: “Oh, Signore, siamo andati in ogni angolo della foresta. Non siamo riusciti a trovare un solo animale. Siamo stanchi, deboli e affamati. Dal momento che il mio signore è anche nella stessa condizione, io umilmente propongo di fare un pasto di quel cammello”.

Molto infastidito, il leone disse: “Tu peccatore, se ripeti queste parole, io prima uccido te. Gli ho dato la mia parola, come posso ucciderlo? Non hanno i nostri anziani detto che nessun dono della terra o della mucca o di cibo è maggiore del dono di una garanzia?”

“Hai ragione, mio signore. E’ un peccato uccidere chi ha la tua parola. Ma se il cammello offre volontariamente se stesso come cibo, non è peccato accettare l’offerta. Se lui non lo fa volontariamente, potrai uccidere chiunque di noi. Hai fame e sei vicino alla fine. Se non siamo utili a te in questo momento, quale valore ha la nostra vita? Semmai qualcosa di indesiderabile accadesse al nostro Signore, ci vorremmo immolare noi stessi”.

Lo sciacallo, raggiunti gli altri due assistenti, disse: “Amici, il nostro signore è in una condizione pietosa. Ora non c’è nessuno a proteggerci dagli altri. Invece di cercare senza meta nella foresta per del cibo, offriamo i nostri corpi a lui. Ciò ci libererà dal peso del debito. Il servo, che è testimone inerme della morte del suo padrone, andrà all’inferno”.

Dopo l’appello della sciacallo, tutti loro si precipitarono dal leone con le lacrime agli occhi. “Qual è il problema? Hai trovato un animale? “Chiese il leone.

“No, mio signore. Abbiamo cercato in ogni luogo, ogni centimetro della foresta. Noi non siamo fortunati. Non abbiamo trovato nulla. Ma io chiedo al Signore di avermi come suo pasto. Ciò significherà prendere due piccioni con un solo colpo. Il signore sopravviverà e io andrò in paradiso. Colui che dà la sua vita per salvare il suo signore non avrà rinascita “, così disse il corvo.

Adesso era la volta dello sciacallo di mostrare la sua lealtà. Egli disse: ” Corvo, amico mio. Il tuo corpo è troppo piccolo per placare la fame del mio signore. No è sufficiente a saziarlo, ed è un peccato. Lasciami passare, devo presentare un appello al mio signore”.

Affrontando il leone, lo sciacallo disse: “Signore, io chiedo che prendiate me per il vostro pasto e mi assicuriate un posto in paradiso. Il Signore ha diritto di vita e di morte sui suoi servi. Pertanto, non è un peccato essendo nell’esercizio dei suoi diritti”.

Il leopardo intervenne e disse: “Tu sciacallo, non hai grande personalità. Lasciatemi supplicare il Signore” e rivolto al leone disse: “Oh Signore, fammi dar via la mia vita per salvare la tua di vita. Permettimi di guadagnare un posto fisso in cielo. Il mio sacrificio mi porterà alla fama sulla terra”.

Sentendo tutto questo Kradanaka pensava: ‘Tutti questi servi del Signore, hanno detto quello che volevano dire. Ancora il leone non ha ucciso nessuno di loro. Vorrei anch’io proporre di essere oggi il cibo del Signore. Sono sicuro che i miei amici mi sosterranno. Poi si girò verso il leopardo e disse: “Ciò che hai detto è giusto e corretto. Ma tu sei un animale carnivoro e appartenete alla stessa specie, come il padrone. Come può ucciderti? Permettetemi di offrire me stesso”.

Il cammello poi si fece avanti e chiese al leone di averlo per il pasto di quel giorno. In una sola volta, lo sciacallo e il leopardo si avventarono su di lui e ne fecero un sontuoso banchetto.

Come la storia finì Sanjeevaka disse a Damanaka: “I malvagi circondano il re. Gli onesti non dovrebbero servire questi padroni. Ho bisogno dei tuoi consigli per uscire da questo problema”.

“La cosa migliore è quella di lasciare il paese”, suggerì Damanaka.

“Non è saggio andarsene quando il re è ancora arrabbiato. Lui mi può raggiungere ovunque io vada. L’unica alternativa che ho è di andare in guerra contro il re”.

Damanaka aveva paura che, se Sanjeevaka avesse scelto di combattere contro Pingalaka, il leone avrebbe potuto morire e ciò sarebbe stato un disastro. Pensò quindi di convincere il bue a lasciare la foresta.

“Andare in guerra è perfetto. Ma come può esserci una guerra tra un servo e un re? Se si sottovaluta la forza del proprio nemico, si incontra la stessa sorte del Mare che si mise nelle mani di una coppia di uccelli”.

Curioso, Sanjeeva chiese: “Che cosa è successo agli uccelli?”

LA COPPIA DI FAGIANI E IL MARE

C’era una volta, una coppia di fagiani che viveva vicino al Mare. Essi trascorrevano il loro tempo cantando felicemente e ballando sui rami degli alberi presso la riva. Un giorno, il fagiano femmina, disse al marito che aspettava il loro bambino e doveva cercare un posto sicuro per deporre le uova. Il marito rispose: “Mia cara, questo Mare è incantevole ed è meglio che deponi le uova proprio qui”.

La moglie disse: “Quando c’è la luna piena, la marea può lavare via anche gli elefanti selvatici. Andiamo altrove”.

Divertito, il marito disse: “Ciò che dici è vero. Ma il Mare non ha il potere di farci del male. Non hai sentito che non c’è pazzo, che potrebbe fermare il volo di un uccello o un pazzo, che vorrebbe entrare nel fuoco incautamente? Qualcuno sarebbe abbastanza sfacciato da sfidare Yama (il Signore della Morte) a prendere la sua vita, se può? Puoi mettere le tue uova solo qui”.

Ascoltando questo dialogo, il Mare pensò: “Com’è vano questo uccello, che è piccolo come un verme! Permettetemi di prendere queste uova e vediamo cosa può fare”.

Dopo la deposizione delle uova, l’uccello femmina era andato in cerca di cibo. In sua assenza, il Mare inviò un’onda che risucchiò le uova nelle sue acque. La fagiana tornò al nido e, non trovando lì le uova, rimproverò il marito: “Tu sei un pazzo. Te l’ho detto che le onde avrebbero portato via le uova. Quelli che non tengono conto delle buone parole di un amico, periranno come la tartaruga che è caduta fuori dal bastone”.

“Cosa c’entra questa tartaruga, e cos’è questo bastone?” chiese il marito.

C’era una volta una tartaruga, chiamata Kambugriva, che viveva in uno stagno. Aveva due cigni, Sankat e Vikat, come buoni amici. Ogni giorno si incontravano sulle rive dello stagno e discutevano sulle leggende di un tempo. Avrebbero potuto continuare fino al tramonto. Quell’anno però non c’erano state le piogge e l’acqua nello stagno aveva cominciato lentamente a scomparire.

Preoccupati, i cigni dissero alla tartaruga: “Amico, che cosa ne sarà di te? Siamo preoccupati”.

“Apprezzo il vostro interesse per me; ci sono guai in vista. ed occorre trovare un modo per uscire da questa crisi. E’ però importante non cedere alla disperazione. Secondo Manu, tutti gli esseri viventi buoni, devono venire in soccorso di amici e parenti, nel momento del bisogno. Cercate un bastone o una corda. Io mi ci aggrappo col becco, mentre voi due tenete, ognuno, un lato del bastone o della corda e così mi traghettate verso la salvezza”.

“Faremo come dici tu”, acconsentirono i cigni. “Ma bisogna che tu tenga ben chiusa la bocca. In caso contrario, precipiteresti in terra e non potremmo fare nulla per salvarti”.

Concordato il piano con Kambugriva, i cigni portarono un bastone e dissero alla tartaruga di afferralo saldamente col becco. Quando tutto fu pronto, e dopo avere ricordato alla tartaruga di non aprire mai bocca durante il viaggio, i cigni volarono via con la tartaruga appesa al bastone. Lungo la strada la gente vide questo spettacolo ed esclamò: “guarda, come sono intelligenti quegli uccelli”. La tartaruga non resisté alla tentazione di rispondere e, nel tentativo di dire qualcosa, aprì la bocca e precipitò al suolo.

“La morale è che chi non ascolta i consigli dei loro benefattori, incontrano la stessa fine della tartaruga. Ogni giorno, i sopravvissuti sono quelli che prevedono un pericolo in tempo e chi se ne occupa quando gli si presenta. Coloro che lasciano le cose al destino e credono nella fortuna, si distruggeranno come Yadbhavishya”, concluse la fagiana.

“Cosa è successo a Yadbhavishya?” chiese il fagiano.

I TRE PESCI

In uno stagno vivevano tre pesci. I loro nomi erano Anagatavidhata, Pratyutpannamati e Yadbhavishya. Alcuni pescatori che passavano vicino al laghetto, si chiedevano: “Ehi, non abbiamo mai visto questo stagno. Sembra essere pieno di pesci ma è già sera. Veniamo all’alba di domani e peschiamo quanti più pesci possibile”.

Sentendo i pescatori, Anagatavidhata (quello capace di prevedere un pericolo in tempo) convocò una riunione di tutti i pesci e disse loro: “Non avete sentito quello che stavano dicendo i pescatori? Dobbiamo fuggire da questo stagno stasera stessa. Come hanno detto i saggi, i deboli dovrebbero fuggire quando uno più forte li invade o cercare rifugio in un luogo sicuro. Non ci sono alternative. Il pescatore arriverà domani. Penso che non dovremmo restare qui anche solo per un attimo di più “.

“Questo è vero. Condivido la tua proposta”, asserì Pratyutpannamati. “Andiamo altrove. Coloro che hanno paura delle terre straniere e coloro che sono legati al proprio suolo, moriranno nel loro paese. Colui che può prosperare ovunque, non muore nella sua terra aggrappato al sentimentalismo “.

Ridendo della grossa, Yadbhavishya disse, “i tuoi piani non sono buoni. Perché dovremmo lasciare questo stagno, antica dimora dei nostri antenati, solo perché dei pescatori hanno cattive intenzioni. Se è destino, non possiamo sfuggire alla morte, anche se andiamo altrove. Tutto è nelle mani di Dio. Non si può disporre di ciò che propone. Senza le sue benedizioni si morirà, anche avendo una protezione. Con le sue benedizioni nessuno può essere ucciso, anche se non si ha alcuna protezione”.

Incapaci di convincerlo, gli altri due pesci lasciarono il laghetto. Venuto il giorno successivo, i pescatori catturarono un gran numero nel laghetto. Yadbhavishya era uno di loro.

Il fagiano femmina riprese, “Ecco perché ho detto che quelli che prevedono il problema e chi si occupa del problema quando si pone, sono sempre vincitori, mentre coloro che confidano nella propria fortuna sono perdenti”.

Il marito le chiese: “Allora pensi che io stupido come quello Yadbhavishya? Aspetta e vedrai cosa sono capace di fare. Io dirottero tutta l’acqua nel Mare fino a lasciarlo prosciugato”.

“Non cercare di regolare i conti con il mare. Non ne verrà nulla di buono per te. La rabbia di chi è debole, alla fine lo rovinerà”.

“Non mi scoraggiare. Coloro che hanno fiducia possono confrontarsi con chi è più forte. Non è forse vero che il leone, che è di piccole dimensioni, spazza via la corona del possente elefante? Un piccolo stoppino non respingere forse le tenebre? Chi ha il coraggio è la persona più forte. Guarda come elimino via tutta l’acqua nel Mare e lo rendo secco “, replicò il fagiano alla moglie”.

“Ma centinaia di fiumi sfociano nel Mare. Il tuo becco è grande appena come una goccia del Mare. Come si può consumarne tutta l’acqua? Fermare questo discorso elevato”, consigliò la faraona.

“Non disperare è vincere la Dea della ricchezza. Ho un becco di ferro. Io faticherò giorno e notte a trasferire tutta l’acqua”.

La moglie disse: “Va bene, se vuoi prendertela col Mare, chiama almeno tutti i tuoi amici e cercate di fare questo lavoro insieme. Quando sono uniti, è difficile da sconfiggere anche un gruppo di esseri deboli. Anche i sottili fili d’erba possono legare un elefante, se si intrecciano in una corda. Non hai sentito la storia di come un passero, un picchio, una mosca e una rana sconfissero un elefante?”

“Raccontami come hanno fatto”, chiese il fagiano.

La fagiana cominciò a raccontare la storia.

L’ELEFANTE E IL PASSERO

Due passeri, marito e moglie, avevano costruito un nido su un albero di baniano dove la femmina aveva deposto le uova. Un pomeriggio, un elefante selvaggio giunse sotto l’albero in cerca di riparo dal sole. Incapace di sopportare il calore, agitandosi e dimenandosi contro il tronco, come fosse improvvisamente impazzito, l’elefante spezzò un grosso ramo dell’albero, schiacciando le uova di passero nel nido. La coppia di uccelli era in qualche modo sfuggita alla furia dell’elefante, ma la moglie cominciò a piangere per le sue uova.

Un picchio, un amico intimo del passero, udì il suo pianto e mosso dal suo dolore le chiese: “Perché piangi, amica mia? I saggi non soffrono per ciò che è perso, o che è morto, o per ciò che è passato. Questa è la differenza tra una persona istruita e un illetterato”.

La femmina di passero disse: “L’elefante malvagio ha distrutto la mia prole. Se sei un vero amico, suggerisci un modo perché paghi per il suo misfatto. A mio avviso, chi danneggia una persona in difficoltà o chi ridicolizza una persona nel dolore, merita di essere punito e chi punisce una tale persona non è soggetto a rinascita “.

“Quello che dici è giusto,” disse il picchio. “E’ un amico chi viene in aiuto quando si è nel bisogno. Ognuno cerca di essere gentile quando si sta prosperando. Vedrete come sono pieno di risorse. Ho un amico, una mosca e con il suo aiuto possiamo punire l’elefante”.

Prendendo il passero con lui, il picchio, chiamata la mosca, le disse: “Questo è il mio più caro amico. Un elefante selvaggio ha schiacciato le sue uova. In qualche modo, è necessario trovare un modo per punire quell’elefante. Abbiamo bisogno del tuo aiuto”.

La mosca rispose: “Ho un amico, una rana. Andiamo da lei a chiedere anche il suo aiuto”. Il passero, il picchio e la mosca si recarono dalla rana e raccontarono l’intera storia di dolore del passero.

La rana disse: “Che cosa è un elefante davanti a un gruppo unito come noi? Fate come vi dico. O mosca, vai dall’elefante, quando il sole è alto nel cielo, e canticchia una dolce melodia nelle sue orecchie. Quando chiude gli occhi in estasi, il picchio andrà a pungergli gli occhi, che si gonfieranno impedendogli di vedere. Egli, così, diventa cieco ed avrà sicuramente sete, andrà allora a cercare dell’acqua. Io andrò alle sabbie mobili e da lì inizierò a gracidare. Pensando che ci sia acqua, l’elefante arriverà di corsa e affonderà nelle sabbie mobili”.

Tutti e tre eseguirono i loro ruoli secondo il piano della rana, ed ottennero la vittoria contro L’elefante”.

Alla fine della storia, il fagiano femmina disse al marito: “E’ così che, insieme, i quattro amici hanno punito l’elefante per la sua cattiveria.”

Impressionato dalla saggezza di sua moglie, il marito disse: “Bene, chiameremo i nostri amici e con il loro aiuto schiacceremo il mare”. Come i loro amici, le gru, i pavoni, i cuculi e altri uccelli, si furono riuniti, il fagiano maschio raccontò loro la storia di come il mare aveva preso i loro figli e spiegò quanto era necessario per drenare fuori. Alla fine, però, concluse, “Non possiamo fare questo lavoro da soli. Andiamo da Garuda, il veicolo di Vishnu, a dirgli tutto quello che è successo. Sarà arrabbiato per quello che il mare ha fatto alla sua specie. Egli sicuramente vorrà vendicarsi del mare”.

Lamentandosi e piangendo, tutti gli uccelli si recarono ad incontrare Garuda e gli dissero: “O Signore, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Il mare ha distrutto le uova della coppia di fagiani. Questo è un duro colpo per tutta la comunità degli uccelli. Se non intervieni, egli distruggerà tutta la nostra tribù. I saggi hanno sempre detto che una persona malvagia, sarà fonte di ispirazione per tutti gli altri con cattive intenzioni”.

Mosso dalla loro storia di dolore, Garuda pensò tra sé e sé: “Questi uccelli hanno una lamentela legittima. Andrò a punire il mare”. Nel frattempo, un inviato dal Signore Vishnu, giunse e comunicò a Garuda che il Signore lo aveva mandato da lui perché voleva recarsi ad Amaravathi per una missione divina. L’inviato chiese a Garuda di accompagnarlo subito.

Garuda rispose: “No, non posso venire. Io non posso essere un utile servitore. Prenda qualcun altro. Vi prego di trasmettere i miei saluti al Signore”.

Sorpreso dalla risposta di Garuda, l’inviato disse: “O Garuda, non hai mai pronunciato simili parole verso il Signore. Il Signore ti ha offeso in qualche modo? Dimmi”.

“Vedi, questo mare, habitat del Signore, ha inghiottito le uova della coppia di fagiani. Se il Signore non punisce il mare per questo, io non Lo servo. Questa è la mia decisione e puoi trasmettere questo al Signore “, concluse Garuda.

Informato della presa di posizione di Garuda, Vishnu si disse, “Garuda ha ragione ad essere arrabbiato con me. Andrò io stesso e lo accoglierò con rispetto. Se il re è soddisfatto, può dare solo soldi. Ma quando il capo onora il suo sottoposto, il servitore è pronto a sacrificare la propria vita per il bene del padrone. Pertanto, è bene che vada da lui a placarlo”.

Quando Vishnu si recò per incontrarlo, Garuda si sentiva colpevole di aver pronunciato parole così dure riguardo al Signore e gli disse: “O Signore, il mare che gode di protezione ha rubato le uova dei miei servitori, e quindi mi ha insultato. A causa del rispetto per voi, ho aspettato ad agire contro di lui “.

“Vero, gli uomini dotti dicono che un padrone è responsabile per i misfatti dei suoi servi. Tali misfatti sono peggiori per il padrone che per il servo. Vieni con me. Mi farò restituire quelle uova dal Mare, e renderò di nuovo felice la coppia di fagiani. Andremo ad Amaravathi più tardi “, disse il Signore Vishnu e si diresse verso il Mare.

Poi, tirò fuori il suo fulmine e puntandolo verso il mare lo minacciò: “Tu sei un essere malvagio, riporta le uova alla coppia di uccelli. Altrimenti, tramuterò il mare in un deserto”.

Spaventato, il Mare restituì immediatamente le uova ai fagiani. Il fagiano le consegnò alla moglie.

“Da questa storia”, spiegò Damanaka a Sanjeevaka, “risulta evidente che, chi sfida un nemico senza conoscere la sua forza, alla fine perisce”.

“Vero, ma come faccio a sapere che Pingalaka ha disegni malvagi contro di me? Siamo stati molto in amicizia. Questo rende difficile per me pensare di ucciderlo”, ribattè Sanjeevaka.

Allora Damanaka rispose, “Se egli guarda con rabbia, allora, nella sua mente, ha cattivi pensieri. In caso contrario, si potrebbe pensare, in modo sicuro, che lui è lo stesso vecchio amico affettuoso di prima. Ma se decidi di lasciare questo posto, fallo dopo il tramonto. I nostri anziani hanno detto che un individuo si deve sacrificare per il bene della comunità, rinunciare alla posizione sociale per il bene del paese e abbandonare un villaggio per il bene del paese. È auspicabile risparmiare i soldi, in modo da poter superare un periodo di crisi, così come spendere i soldi per salvare la propria moglie e abbandonare sia la sua ricchezza che la moglie, per salvare se stessi”.

Dopo aver dato questo consiglio a Sanjeevaka, Damanaka andò a trovare Karataka. Vedendolo, Karataka disse: “A che punto sei con la tua missione?”

“Ho appena finito di seminare i semi della discordia tra i due amici. Il resto è nelle mani di Dio”, rispose Damanaka.

“Raccontami come hai fatto”.

Ho raccontato storie all’uno e all’altro e sono riuscito a dividere i due amici. Non li si vedrà di nuovo insieme”.

“Oh, non hai fatto niente di buono. Hai separato due buoni amici. Hai fatto in modo che si odino l’un con l’altro. Una persona malvagia conosce solo come danneggiare, ma non riparare”.

“Tu non conosci la scienza della politica. Sebbene tu sia forte, a meno che non uccidi il nemico o la malattia, alle prime avvisaglie, il tuo nemico o la malattia alla fine uccideranno te. Sanjeevaka ha usurpato la carica di ministro che ci spettava, e quindi egli è nostro nemico. Ho ottenuto piene garanzie dal re a suo favore e lo portai alla corte del re. Oggi, ci ha estromesso dal nostro ufficio. Questo è il motivo per cui ho intenzione di disfarmene. Se vuole salvarsi, deve lasciare questo posto. I saggi, come Chaturaka, non esitano a tormentare gli altri per raggiungere il proprio obiettivo. Sciocchi, come il leone, non riescono a godere neanche di quello che hanno vinto”.

Su richiesta di Karataka, Damanaka cominciò a raccontare quella storia.

IL LEONE E LO SCIACALLO

C’era una volta Vajradanstra, un leone che viveva in una foresta e che aveva due amici, uno sciacallo di nome Chaturaka e un lupo di nome Kravyamukha. A causa della loro amicizia con il leone, lo sciacallo e il lupo giravano liberamente per la foresta. Un giorno il leone trovò un piccolo di cammello abbandonato e, intenerito dalla creatura appena nata, lo adottò e lo portò a casa.

Il leone promise al piccolo cammello: “Ora sei mio figlio. Nessuno può farti del male. Puoi liberamente vagare per la foresta e passare il tempo in letizia. Hai le orecchie che sembrano un paio di conchiglie e così ti chiamerò Sankhukarna”.

Col passare dei giorni, Sankhukarna divenne un animale giovane ed energico. Era sempre in compagnia di Vajradanstra.

Un giorno però iniziò un periodo di carestia ed il leone con i suoi compagni erano molto affamati. In particolare lo sciacallo, che essendo il cacciatore meno capace, riceveva gli avanzi del poco cibo che si trovava e solo dopo che si erano saziati gli altri. Fu così che iniziò a pensare a come poteva fare per mangiarsi il cammello senza incorrere in ritorsioni da parte del leone.

Finché una mattina Vajradanstra, il leone, disse allo sciacallo: “Vado al fiume per fare un bagno e venerare le divinità”. Non appena il leone ebbe lasciato la scena, lo sciacallo pensò a un piano per avere il cammello tutto per sé. Si rivolse a Kravyamukha, il lupo e disse: “Sembri essere molto affamato. Vai avanti e banchettare con la carne del cammello. Quando arriva il leone sarò io a convincerlo della tua innocenza”.

Come il lupo balzò sul cammello uccidendolo, lo sciacallo lo avvisò che stava arrivando il leone e, per fugare ogni sospetto, sarebbe stato meglio per lui allontanarsi subito. Quando il leone arrivò sul luogo del misfatto, vide il povero cammello. Con rabbia, il ruggì e disse: “Chi è il colpevole, lo ucciderò”.

Il lupo allora guardò lo sciacallo aspettando che convincesse il leone della sua innocenza. Ma lo sciacallo furbo disse: “Tu non mi hai ascoltato,. perché ora aspetti che ti aiuti?” Rendendosi conto del pericolo, il lupo si diede alla fuga per salvarsi la vita.

Proprio in quel momento passava lì vicino una carovana di cammelli. Il cammello di testa aveva una grande campana legata al collo. Spaventati e sorpresi dal suono della campana, il leone chiese allo sciacallo di scoprire cosa fosse quel suono. Non aveva mai sentito simili suoni nella sua vita. Fingendo di avere scoperto tutto, lo sciacallo, giunto fuori dalla vista del leone, gridò da lì, “O Signore, scappate per salvare la vostra vita”.

“Qual è il problema?” Gli chiese il leone. “Perché mi stai spaventando ancora di più? Spiegami chiaramente cosa sta succedendo”.

Lo sciacallo rispose: “Mio signore, il Signore della Morte è arrabbiato perchè hai ucciso il cammello prima che fosse giunto il momento della sua morte. Lui è sconvolto e ha promesso che avrebbe ottenuto da voi mille volte di più del valore del cammello che abbiamo ucciso. E’ il Signore della Morte che ha appeso una campana al collo del cammello che guida la carovana; ha portato con sé anche tutti gli antenati del cammello”.

Lo sciacallo, spinse così il leone a fuggire in tutta fretta da quel posto, lasciando il corpo del povero cammello tutto per sé, per banchettare.

Damanaka concluse dicendo: “Per questo ti ho detto che un uomo saggio, protegge il suo interesse anche se è di tormento agli altri e non condivide i suoi segreti col prossimo, come Chaturaka, lo sciacallo, ha fatto nella storia di cui sopra”.

Sanjeevaka, intanto, aveva iniziato a meditare tra sé: “Perché ho fatto così. Un vegetariano che serve un mangiatore di carne! Che cosa devo fare e dove devo andare? Forse, Pingalaka può risparmiarmi, perché lui me ne aveva dato assicurazione. I guai a volte, possono giungere anche alle persone, che camminano sulla via di una condotta etica. Ogni essere vivente fa buone e talvolta cattive azioni. Si raccoglieranno le conseguenze nella prossima nascita. Quindi, non possiamo sfuggire a ciò che il destino ha in serbo per noi”.

Con questi pensieri per la testa, Sanjeevaka era andato ad incontrare Pingalaka, il leone e, sovra pensiero, si sedette senza salutarlo. Il leone rimase sorpreso dell’arroganza del bue e, credendo a ciò che Damanaka gli aveva raccontato di Sanjeevaka, si avventò su di lui affrontandolo con i suoi artigli. Anche Sanjeevaka si preparò ad affrontare il leone con le sue corna.

Vedendo che il bue e il leone erano determinati a combattere sino alla fine, Karataka ammonì Damanaka: “Sciocco! È stata creata una spaccatura tra i due amici. Se il signore muore, come vi può essere un ministro? Come si aspira ad essere un ministro, quando non si conoscono i principi della diplomazia? Guerrafondai come te, non possono mai raggiungere i loro obiettivi. Non si deve usare la forza quando vi è ancora spazio per la pace. Uno dei due è destinato a morire. Salva la situazione, se possibile. No, è una follia dirti cosa è bene e cosa è male. Gli anziani hanno detto che non si deve predicare a chi non è un discepolo. Hai l’esempio dell’uccello Suchimukha”.

“Sono veramente ansioso di conoscerlo”, disse Damanaka.

SUCHIMUKHA E LA SCIMMIA

Tanto tempo fa, una banda di scimmie, aveva apprestato la propria dimora su un pendio di montagna. Quando venne l’inverno, portò, non solo un freddo gelido, ma anche forti piogge. Incapaci di sopportare il freddo, le scimmie raccolsero alcune bacche rosse, che crescono selvatiche lungo il pendio della montagna e si riunirono attorno ai frutti di bosco cominciando a soffiarci sopra, pensando che fossero braci.

Guardando il loro vano tentativo con quel passatempo, Suchimukha, un uccello, le apostrofò dicendo loro: “Voi, sciocche, non sono braci ma bacche rosse. Perché sprecare la vostra energia su di loro? Questo non vi salverà dal freddo. Andate a cercare un riparo in una grotta o in un luogo privo di vento. Le nubi sono spesse e non ci sarà un sollievo immediato dalla pioggia”.

Un vecchio membro della tribù di scimmie, con rabbia, disse all’uccello, “Perché ficcare il naso nei nostri affari? Vai via. Non hanno gli anziani detto, che colui che nutre il suo benessere non dovrebbe parlare con un giocatore d’azzardo o un operaio inefficiente? Quindi è solo un pazzo colui che parla a un idiota, o un nullafacente”.

Trascurando la rabbia della vecchia scimmia e senza prestare ascolto a qualsiasi altra scimmia, Suchimukha continuò a ripetere loro il suo consiglio e cioè di cercare rifugio altrove. Stanca dei consigli non richiesti dell’uccello, una delle scimmie si gettò contro di lui colpendolo.

Alla fine della storia, Karataka disse, “se dai consigli a un pazzo servirà solo a provocarlo, non a placarlo. Se alimenti col latte un serpente, farai aumentare le sue scorte di veleno. Ecco perché, non si dovrebbe offrire consulenza a tutti. Guarda, come due buoni passeri hanno perso la loro casa, tutto a causa di una scimmia folle”.

Su richiesta di Damanaka, Karataka cominciò a raccontare la storia della scimmia malvagia.

IL DISPIACERE DI UN PASSERO

Una coppia di passeri, aveva costruito il proprio nido su un ramo di un grande albero e lì vivevano felici e contenti. Presto giunse l’inverno e cominciò a piovere ininterrottamente. Frequenti raffiche di vento, rendevano il freddo insopportabile. In quel frangente, una scimmia, completamente fradicia di pioggia e tremante per i brividi di freddo, giunse correndo a cercare riparo presso l’albero.

Vedendo la condizione della scimmia, la femmina di passero disse: “Signore, con quei piedi e mani, sembri un essere umano. Perché non ti costruisci una casa per te?” Adirato per questa consulenza fuori luogo, la scimmia rispose sgarbata: “Stupida, perché non ti stai zitta e pensi agli affari tuoi?” E pensò tra sé, “Quale impudenza! Questa mezza creatura ha la faccia tosta di offrirmi consigli. Si prende gioco di me; chiacchiere inutili. Devo darle una lezione”.

Tornando a rivolgersi all’uccello, la scimmia disse: “A cosa ti serve preoccuparti per la mia situazione? Non hai sentito quel detto degli anziani secondo cui non si dovrebbe offrire consulenza a coloro che non la cercano e non l’apprezzano? Dare consigli a chi è indifferente, è come un grido nel deserto. Non provate a farlo”.

Ma, poiché l’uccello insisteva, la scimmia si arrampicò sull’albero e ruppe il nido della coppia di passeri.

“Ecco perché”, disse Karataka a Damanaka, “dovresti fare attenzione nel dare consigli. Sei uno sciocco che non capisce l’essenza del mio parere; ma questo non è un tuo errore. Infatti gli sciocchi ignorano i pareri altrui, mentre i saggi li seguono e ne traggono beneficio. E’ chiaro che non hai mai sentito la storia di Dharmabuddhi e del suo amico Papabuddhi, la storia di come il padre è stato ridotto in fin di vita dal fumo, a causa della spensieratezza del figlio”.

“Perché non mi racconti questa storia?”, chiese Damanaka.

In una città del nord, vivevano due amici di nome Dharmabuddhi e Papabuddhi. Un giorno, Papa pensò, “Io sono un uomo senza sapienza mondana e inoltre sono anche povero. Devo convincere Dharma a portarmi in terre lontane e guadagnare un sacco di soldi attraverso le sue capacità imprenditoriali. Più tardi, farò in modo di privarlo di tutta la sua ricchezza e così vivrò felice e contento”.

Con questi piani per la testa, Papa disse a Dharma, “Amico mio, stai diventando vecchio e non puoi continuare a gestire i tuoi affari. Senza andare in giro per il mondo, come potrai raccontare ai tuoi figli le sue meraviglie? Gli anziani hanno detto, che è nato invano chi non vede i diversi paesi della terra, impara differenti lingue e conosce lo stile di vita degli altri popoli. Non si può guadagnare ricchezza e conoscenza senza un lungo viaggio”.

A Dharma piacque questo consiglio. Così, ricevute le benedizioni dei suoi maestri, partì per un lungo viaggio attraverso i mari, prendendo Papa con lui.

Entrambi, grazie al talento di Dharma nelle attività commerciali, guadagnarono all’estero moltissimo denaro. Era quindi giunto, per loro, il momento di tornare a casa, perché è naturale, per le persone che si recano all’estero in cerca di ricchezza e di conoscenza, pensare alla propria casa quando hanno raggiunto entrambe.

Mentre stavano giungendo al suolo natio, nei pressi di una foresta, Papa disse a Dharma, “Non è sicuro portare direttamente a casa tutta questa ricchezza, perché i parenti e gli amici in difficoltà, potrebbero voler chiedere aiuto se ne venissero a conoscenza. Seppelliamo la maggior parte dei nostri soldi in un luogo segreto, in questa foresta. Ogni volta che abbiamo bisogno di soldi, possiamo venire qui e prendere tutto ciò che ci serve. Tutti sanno che il denaro tenta persino santi”.

Dharma accettò il piano di Papa e tornò a casa, dopo che entrambi avevano scavato una fossa e seppellito la maggior parte dei loro guadagni in essa. Verso mezzanotte, di nascosto, Papa si recò nel luogo segreto nella foresta e rubò tutti i soldi portandoseli a casa. La mattina dopo, si recò da Dharma e gli chiese se lo accompagnava nella foresta, perché aveva bisogno di soldi.

Quando entrambi arrivarono al nascondiglio nella foresta e scavarono, trovarono la fossa vuota. Subito Papa cominciò a gridare ad alta voce, “Dharma, tu hai rubato i miei soldi e nessun altro. Il fosso è stato accuratamente ricoperto. Devi darmi la metà di quello che abbiamo sepolto qui”. Sebbene Dharma negasse, Papa insisteva per portare la controversia innanzi ad un tribunale.

Quando il caso giunse davanti al tribunale, il giudice chiese loro di prestare giuramento in nome di Dio. Papa avanzò una contestazione, adducendo vari precedenti, ritenendo come in primo luogo debbano essere prodotti, come prova, i documenti pertinenti; quindi escussi i testi che saranno chiamati a testimoniare ed infine è preso in considerazione il giuramento in nome di Dio, quando né documenti, né testimonianze sono disponibili.

“Io sono in grado di indicare come testimoni gli dei della foresta. Essi determineranno chi è colpevole e chi è innocente”, concluse Papa. Impressionati da questo argomentare, i giudici chiesero ad entrambe le parti di essere presenti al mattino dopo, nella foresta, per l’audizione dei testi così come indicati. Felice per l’ordinanza dei giudici, Papa andò a casa e disse al padre: “Padre, ho rubato tutti i soldi di Dharma. Ora, in tribunale, c’è una causa che io posso vincere solo con il vostro aiuto. Altrimenti, la mia vita sarà in pericolo”.

“Figliolo, che cosa posso fare per aiutarti ad ottenere quei soldi?” chiese il padre.

“C’è lì un grande albero che all’interno è cavo. Devi andarci subito e nasconderti all’interno di quell’albero. Domani mattina, quando i giudici e gli altri si riuniranno lì, io ti chiederò di dire la verità. Allora sarà il tuo turno di dichiarare che il Dharma è il ladro “, spiegò il figlio.

Il padre, si diresse subito alla volta della foresta, per nascondersi nella cavità dell’albero.

La mattina del giorno seguente, Papa, dopo aver fatto un bagno, si recò presso il luogo in cui sorgeva l’albero, e dove lo attendevano Dharma ed i giudici. Papa si avvicinò all’albero e gridò: “O sole, luna, aria, fuoco, terra, acqua, Dio della Morte, giorno e notte, siete tutti testimoni della storia dell’umanità. O Dea della Foresta, dichiara chi di noi è colpevole!”

Il padre gridò da dentro la cavità dell’albero, “Ascoltate tutti voi, è Dharma che ha rubato i soldi.” I giudici e gli uomini del re, ascoltato il verdetto, si sedettero per decidere a quale pena condannare Dharma. Nel frattempo, Dharma aveva riempito la cavità dell’albero con stracci e fieno; vi versò sopra dell’olio e vi diede fuoco. Il gran fumo provocato dall’incendio costrinse il padre di Papa, mezzo bruciato ed affumicato, di venir fuori dall’albero.

“Tutto questo è opera della mente malvagia di Papa”, confessò il padre e subito crollò a terra svenuto. Gli uomini del re legarono subito mani e piedi a Papa e lo appesero ad un albero. Essi dissero: “I nostri anziani hanno sempre affermato che gli uomini saggi non dovrebbero avere solo grandi risorse, ma anche conoscere le conseguenze dell’essere pieni di risorse. Davanti ai tuoi occhi, hai la storia di come una mangusta, uccise tutti i discendenti della gru”.

Quando Dharma chiese loro di raccontare la storia, gli uomini del re cominciarono a raccontare.

LA GRU E LA MANGUSTA

In un bosco, un grande albero baniano, ospitava i nidi di un gruppo di gru. Nel cavo di quell’albero viveva un cobra, che soleva nutrirsi delle giovani gru che non avevano ancora imparato a volare. Quando mamma gru vide il cobra uccidere la sua prole, cominciò a piangere. Vedendo la gru addolorata, un granchio le chiese cosa la faceva piangere.

La gru rispose al granchio, “Ogni giorno, il cobra che vive in questo albero, uccide uno dei miei figli. Io non sono in grado di contenere il mio dolore. Ti prego, mostrami qualche modo per sbarazzarmi di questo cobra”.

Il granchio allora pensò: “Queste gru sono i nostri nemici naturali. Darò un consiglio che è fuorviante e suicida e si vedrà la fine di tutte queste gru. Gli anziani hanno sempre detto, che se si vuole spazzare via il nemico, le tue parole devono essere morbide come il burro e il tuo cuore come una pietra.

Poi il granchio disse alla gru, “Cara, dissemina pezzi di carne dalla tana della mangusta a quella del cobra. La mangusta seguirà la scia di carne fino alla tana del cobra e lo ucciderà”.

La gru fece come il granchio le aveva consigliato. La mangusta arrivò seguendo la traccia di carne, però uccise non solo il cobra, ma anche tutte le gru sulla pianta.

“Ecco perché”, dissero gli uomini del re, “Se si dispone di una strategia, si deve anche sapere a che cosa la strategia potrebbe portare. Papabuddhi ha considerato solo una parte del piano, e non quello che ne sarebbe seguito. Ha raccolto le conseguenze”.

Karataka disse a Damanaka, “Come Papabuddhi, non hai previsto che cosa sarebbe accaduto andando avanti con i tuoi piani. Hai una mente malvagia. Lo sapevo sin dai tuoi primi progetti per mettere in pericolo la vita del nostro Signore. Il tuo posto non è con noi. Se un topo può mangiare una bilancia da mille monete per pranzo, c’è da meravigliarsi che un aquilone porti via un bambino?”

“Cosa significa?” Chiese Damanaka. Karataka gli raccontò la seguente storia.

Jeernadhana era il figlio di un ricco mercante, ma aveva perso tutta la sua ricchezza. Pensò che avrebbe dovuto andare all’estero, perché, si disse, colui che un tempo ha prosperato, non dovrebbe vivere nello stesso luogo, come un uomo povero. Le persone che una volta lo stimavano, ora lo avrebbero guardato dall’alto in basso ed evitato. Avendo deciso di partire per cercare fortuna, impegnò per mille monete, presso un commerciante locale, una bilancia che i suoi antenati si erano lasciati alle spalle.

Fu così che egli potè partire per paesi lontani, con i soldi che gli aveva dato il mercante. Dopo diversi anni tornò a casa e chiese al mercante la restituzione della bilancia.

Il mercante gli disse: “Oh povero me, dove è la bilancia? I topi affamati l’hanno”.

Jeernadhana rispose senza emozione, “Non posso biasimare te per quello che hanno fatto i topi. Il mondo è così. Niente è veramente permanente. Ad ogni modo, sto andando al fiume per fare il bagno di purificazione. Per piacere, manda con me tuo figlio Dhanadeva, per aiutarmi”.

Temendo che Jeernadeva potesse accusarlo di furto, il mercante chiamò il figlio e gli disse: “Figlio, Jeernadeva sta andando al fiume per un bagno. Accompagnalo portando con te tutte le cose che possano occorrergli. Gli uomini offrono un aiuto non solo per gentilezza, ma anche per paura, avidità, e così via. Se uno offre aiuto per motivi diversi da questi, si deve diffidare di quella persona”.

Il figlio del mercante seguì Jeernadeva al fiume. Dopo aver fatto il bagno, condusse il ragazzo in una grotta nelle vicinanze e, spintolo all’interno, ne chiuse l’ingresso con un enorme masso. Quando Jeernadeva tornò dal fiume, il mercante gli chiese: “O onorato ospite, non hai portato indietro mio figlio? Dove si trova? Dimmelo, ti prego”.

Jeernadeva gli disse: “Un aquilone ha portato via il tuo ragazzo. Non c’era niente che potessi fare”.

“Menti, come è possibile? Come può un aquilone portare via un ragazzo? Porta indietro mio figlio. Altrimenti, andrò dal re e me ne lamenterò”.

“Sì, proprio come un aquilone non può portare via un ragazzo, neanche i topi possono non erodere una pesante bilancio di ferro. Se vuoi il tuo ragazzo, ridammi la mia bilancia “, rispose Jeernadeva.

Entrambi portarono la controversia davanti la corte del re. Il mercante si lamentò con i giudici che Jeernadeva aveva rapito il suo bambino. I giudici allora ordinarono di restituire il ragazzo al commerciante. Jeernadeva raccontò ai giudici l’intera storia. Allora, i giudici ordinarono a Jeernadeva di restituire il ragazzo e al commerciante di restituire la bilancia a Jeernadeva.

Karataka poi, disse a Damanaka, “Hai messo insieme questo fattaccio, perché eri geloso dell’amicizia del re con Sanjeevaka. Non è senza ragione che i nostri anziani hanno detto:

“Gli sciocchi odiano i dotti

I poveri biasimano i ricchi

L’avaro irrita il generoso

Il malvagio aborre il virtuoso”

“Hai cercato di aiutarci. Ma ci hai fatto del male. E ‘come la scimmia ben intenzionato che ha ucciso il re”, concluse Karataka.

“Che cosa ha fatto la scimmia?” chiese Damanaka.

IL RE E LA SCIMMIA

C’era una volta un re, che teneva una scimmia come animale domestico. La scimmia serviva il re in qualsiasi modo le fosse possibile. Aveva piena libertà nella famiglia reale, perché era la scimmia del re. Un giorno, che faceva molto caldo, la scimmia si sedette a fare vento al re che stava dormendo. Notò una mosca sul petto del re e tentò di mandarla via. La mosca volò via per un momento, ma poi tornò a poggiarsi sul petto del re.

La scimmia non la sopportava più e decise di impartire alla mosca una bella lezione. Si guardò attorno alla ricerca di un pugnale per ucciderla e quando lo ebbe trovato, lo abbatté con tutta la forza sulla mosca. La mosca volò via, ma il re era morto a seguito del colpo di pugnale inflittogli dalla scimmia.

Karataka disse, “Dunque, la lezione è che un re, che si preoccupa per la sua vita, non dovrebbe avere uno sciocco come suo servo”.

Continuò quindi col raccontare una seconda storia, per mostrare come le persone accorte, salvano la vita degli altri .

C’era una volta un bramino che viveva in una grande città ma, come risultato delle malefatte nelle sue vite precedenti, era diventato un ladro. Un giorno, vide altri quattro bramini, provenienti da un’altra città, intenti a vendere alcuni prodotti nella sua città e pensò che avrebbe dovuto, in qualche modo, privarli del loro denaro. Con parole e modi garbati, divenne un loro buon amico. Si dimostrò utile per loro, in qualsiasi modo possibile. È vero, viene naturale per donne viziose agire da timide e per ciarlatani per far finta di sapere tutto.

I quattro visitatori, dopo avere venduto tutte le loro mercanzie, con i soldi delle vendite comprarono perle e gioielli preziosi. Il bramino ladro non li perdeva d’occhio, anche mentre fingeva di servire fedelmente. Un giorno, alla presenza del bramino, essi tagliarono i propri abiti e cucirono all’interno i gioielli e le perle.

Il bramino era deluso che non gli avessero dato anche solo una piccola parte della loro ricchezza. Egli immediatamente decise di seguirli e ucciderli durante il loro viaggio di ritorno a casa, per prendere tutte le ricchezze che portavano indosso.

Egli disse ai commercianti con le lacrime agli occhi: “Amici, sembrate pronti a lasciarmi. Il mio cuore è rotto, perché è difficile per me spezzare i legami di amicizia con voi. Se sarete così gentili da portarmi con voi, ve ne sarò molto grato”.

Accogliendo la sua richiesta, i commercianti iniziarono il loro viaggio verso casa, accompagnati dal bramino ladro. Passarono attraverso diversi villaggi, paesi e città prima di raggiungere un villaggio abitato da briganti. Improvvisamente, si udì un gruppo di corvi che ad alta voce gridava: “Voi briganti, persone molto ricche sono in arrivo. Venite, uccideteli e diventate ricchi”.

I briganti fermarono subito i bramini commercianti minacciandoli con bastoni e cominciarono ad esaminare le loro borse. Ma non trovarono nulla e ne rimasero sorpresi, perché questa era la prima volta che le parole dei corvi si erano rivelate false. dissero ai commercianti, “I corvi dicono sempre la verità. Avete il denaro con voi da qualche parte. Tiratelo fuori o vi taglieremo a pezzetti e lo troveremo comunque “.

Il bramino ladro rifletté, “Questi teppisti certamente trafiggeranno il corpo dei commercianti per rubare i gioielli. Arriverà anche il mio turno. E’ meglio se mi offro a questi delinquenti e salvo la vita dei bramini. Non vi è alcun motivo di temere la morte, perché arriverà oggi o tra cento anni. Non le si può sfuggire”.

Con questi pensieri per la testa, il bramino ladro chiese ai briganti di ucciderlo per primo e vedere se c’era qualcosa di valore sul suo corpo. I briganti accettarono l’offerta e dopo averne trafitto il corpo, su di lui non trovarono niente. Allora lasciarono andare via gli altri quattro bramini, pensando che anche loro non portavano nulla di prezioso sui loro corpi.

Mentre Karataka e Damanaka, stavano discutendo su come va il mondo, Sanjeevaka e Pingalaka erano impegnati in una breve battaglia in cui, alla fine, Pingalaka ebbe la meglio sull’altro. Ma il leone fu immediatamente colpito dal rimorso e, ricordando i bei giorni che aveva trascorso con il bue, cominciò pentirsi: “Oh, ho commesso un grande peccato uccidendo il mio amico. Non ci può essere peccato più grave che uccidere un amico fidato. Coloro che dimenticano un favore o violano di un accordo o non soccorrono un amico, andranno tutti all’inferno, finché il sole e la luna brilleranno nel cielo. Un re perirà se quello che perde è il suo regno o un servo fedele. Un servo e un regno non sono però la stessa cosa, perché si può sempre riconquistare il regno, ma non un servo fidato. Nella corte, ho sempre lodato Sanjeevaka. Come posso spiegare la sua morte alla mia corte?”

Damanaka si avvicinò al re addolorato e gli disse: “O Signore, rammaricarsi per la morte di un mangiatore d’erba è codardia. Non è bene per un re come te. I dotti hanno sempre detto, che non è un peccato uccidere una persona per tradimento, anche se quella persona è un padre, fratello, figlio, moglie o amico. Allo stesso modo bisogna abbandonare un re dal cuore tenero, un bramino che mangia ogni tipo di cibo, una donna impudica, un assistente malvagio, un servo disobbediente e una persona ingrata”.

Damanaka continuò, “Sei in lutto per la morte di qualcuno che non merita compassione. Anche se stai parlando come un uomo istruito, dimentichi che i saggi non pensano al passato o alla morte”.

Queste parole di Damanaka ebbero l’effetto di un tonico, fornendo sollievo alla mente turbata di Pingalaka. Soddisfatto di questo ammonimento, il re leone riconfermò Damanaka come suo ministro e continuò a governare la foresta.