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PANCHATANTRA – tantra IV


PANCHATANTRA

Quarto Tantra

La Perdita delle Cose Acquisite

INDICE

LA SCIMMIA E IL COCCODRILLO

IL COBRA AVIDO ED IL RE DELLE RANE

IL LEONE E L’ASINO STOLTO

LA STORIA DEL VASAIO

TRE IN UNA STORIA

LA MOGLIE DEL CARPENTIERE

IL PREZZO DELL’IMPRUDENZA

LA STRATEGIA DELLO SCIACALLO

LA SCIMMIA E IL COCCODRILLO

Vishnu Sarma inizia il suo quarto Tantra con la seguente strofa:

“Supera tutti i problemi

Che non perde la calma

Anche di fronte alle avversità

Come la scimmia in acqua”.

Raktamukha era una scimmia che viveva su un albero di more vicino alla costa. Quell’albero era sempre pieno di frutti. Un giorno, un coccodrillo di nome Karalamukha, uscì fuori dall’acqua e vagabondando sulle sabbie, giunse presso l’albero.

Vedendo il coccodrillo, la scimmia disse: “O cocco, tu sei mio ospite. Ti offrirò da mangiare queste deliziose more. Goditi il vitto. I sapienti hanno detto:

“Benedetto è chi ospita

Un amante o un nemico o un pazzo.

Disertate angeli la casa

Che non sa accogliere un ospite”.

La scimmia diede quindi al coccodrillo una gran quantità di more. Dopo che essersi saziato, Karalamukha tornò a casa. Da allora, divenne un’abitudine per il cocco, visitare quotidianamente Raktamukha, gioire dei frutti che gli offriva, e trascorrere del tempo con lui discutendo sulle cose del mondo, per poi tornare a casa.

Un giorno, la moglie del cocco chiese al marito, “Da dove prendi questi frutti, sono così dolci. Non ho mai assaggiato frutti così succulenti”.

“Ho un caro amico, una scimmia, che mi dà la frutta ogni giorno”, spiegò il marito.

“Se i frutti sono così dolci, il cuore del tuo amico, che li mangia tutti i giorni, deve essere delizioso come la frutta. Ti prego, ottieni il suo cuore per me, se ti è rimasto ancora amore nei miei confronti. Sarò sempre giovane e immortale se mangio quel frutto”, disse la moglie.

“Mia cara, non è consono a te a parlare in tal modo. Io l’ho accettato come mio fratello. Non è possibile per me uccidere un tale ospite. Ti prego di essere ragionevole. Gli anziani hanno detto:

“Dalla madre otteniamo il nostro primo parente,

Una buona parola porta il secondo parente

Che è più prezioso di un fratello”.

Arrabbiata, la moglie disse: “Tu non hai mai messo in dubbio la mia parola. Deve essere una scimmia femmina questo tuo amico. È per questo che, ogni giorno, passi così tanto tempo in sua compagnia. Ora ho capito a fondo. Il tuo cuore è pieno di quella scimmia. Tu sei un imbroglione”.

Karalamukha, volendo tranquillizzare la moglie, disse”, Mia cara, perché sei arrabbiata? Io sono il tuo servo più obbediente e pronto a soddisfare ogni tuo ordine in qualsiasi momento”.

“No, lei ti è cara. Se mi ami davvero, perché non la uccidi e mi porti suo cuore? Se non lo fai, io ne morirò presto”, minacciò la moglie.

Preoccupato, il coccodrillo si recò dalla scimmia. Vedendo che il coccodrillo era in ritardo per il loro incontro quotidiano, Raktamukha si informò: “Sei in ritardo e non sembri essere allegro. Qual è il problema?”

“Oh amico mio, come posso spiegarti quello che è successo a casa. Mia moglie è molto arrabbiata. Lei mi ha detto che sono un amico ingrato e che ogni giorno vengo a mangiare la frutta che mi offri, ma non ho mai avuto la cortesia di invitarti a casa. Non hai scusanti, mi ha detto e mi ha avvertito che se non ti portavo a casa, l’avrei rivista solo nell’altro mondo. Questa discussione con lei mi ha fatto ritardare. Ti prego di venire con me. Mia moglie ha decorato la casa in modo da riceverti. Ha appeso bandierine di benvenuto all’ingresso. Lei è in trepidante attesa che ti porti a casa”.

La scimmia rispose: “Tua moglie ha detto una cosa appropriata. Si dovrebbe lasciare colui che ti ama per la tua ricchezza, che è come il ragno che attrae la sua preda. Avrebbe anche potuto citare gli anziani dicendo:

“Dove non c’è dare e avere

Dove non c’è scambio di segreti

E anche di ospitalità

Non c’è vera amicizia”.

“C’è un problema, però. Noi siamo tutti animali terrestri. Voi vivete in acqua. Potrebbe non essere possibile per me, accettare il gentile invito. Vi consiglio invece di portarla qui”, obiettò poi la scimmia.

“Non c’è davvero alcun problema”, disse cocco. “La nostra casa è su un banco di sabbia. E’ un posto bellissimo. Siediti sulla mia schiena. Ti trasporterò io”.

La scimmia si sistemò felicemente sulla schiena del coccodrillo e il viaggio iniziò. Come il coccodrillo stava per entrare in acque profonde, la scimmia si spaventò e chiese al coccodrillo di proseguire lentamente.

Pensando che la scimmia fosse ora in suo potere, Karalamukha disse a Raktamukha, “Posso ora rivelarti il nostro piano. Mia moglie voleva che conquistassi la tua fiducia, per convincerti ad accettare il nostro invito e poi ucciderti, in modo da poter ottenere la buona fortuna banchettando con il tuo cuore”.

Con grande presenza di spirito, la scimmia disse: “Amico mio, se questo è ciò che tu e tua moglie volevate, perché non me lo hai detto fin dal principio? Il mio cuore è custodito in modo sicuro in un buco dell’albero. A che scopo portarmi a casa senza il mio cuore? Torniamo indietro. Non c’è nulla che possa rendermi più felice che dare il mio cuore a tua moglie”. Felice, il coccodrillo si girò e portò indietro la scimmia a riva.

La scimmia salì subito a grandi balzi in cima all’albero di more e pensò: “Non dovremmo fidarci di una persona inaffidabile, e se lo abbiamo fatto, non deve essere in modo totale. Altrimenti, tale fiducia ci distruggerà completamente. Per me questa è come una rinascita”.

Il coccodrillo aveva fretta e chiese alla scimmia, “Perchè tardi? Prendi il tuo cuore. Mia moglie sarà molto felice”.

La scimmia arrabbiata gli disse: “Sei uno sciocco, hai mai visto qualcuno con due cuori? Tu sei un ingrato. Sparisci dalla mia vista e non tornare più da queste parti. Le persone che hanno fame si abbassano a qualsiasi livello come Priyadarsana”.

Il coccodrillo gli chiese di raccontare la storia di Priyadarsana.

Raktamukha gli narrò la seguente storia.

IL COBRA AVIDO ED IL RE DELLE RANE

Un grande pozzo era stato la dimora di Gangadatta, re delle rane. Incapace di sopportare le molestie da parte di suoi parenti, un giorno il re aveva abbandonato il suo regno e uscito dal pozzo, aveva pensato:

“Colui che risolutamente ripaga

Chi lo ha danneggiato nel pericolo

E ridicolizzato nella miseria

È un uomo che non rinasce”.

Profondamente perso in questi pensieri, il re delle rane vide un grosso cobra entrare in una tana dentro un albero e pensò: “Occorre essere un nemico per combattere un nemico, ingaggiare una persona forte per schiacciare un’altra persona forte. La loro fine ci porterà felicità. “

Con questo obbiettivo, si recò presso la tana e chiamò il cobra, “Priyadarsana, ti prego di uscire”.

Il cobra, però, era molto cauto. Pensò: “Chi è costui? Lui non sembra essere uno di noi. Io non ho amici fuori dalla mia cerchia. Starò dentro e scoprirò chi è che mi chiama. Potrebbe essere un mago o qualcuno che cerca il mio aiuto per uccidere il suo nemico”.

Poi, il cobra gridò dall’interno: “Chi sei, signore?”

“Sono Gangadatta, re delle rane. Sono venuto a chiedere il tuo aiuto”, rispose il visitatore.

“Non ti credo. Ci può essere amicizia tra un filo d’erba secca e il fuoco? Non hanno i sapienti detto, che chi è preda naturale per il predatore mai, neanche in sogno, si avvicina a lui? Non posso fidarmi delle tue parole”, disse il cobra.

“O Priyadarsana, quello che dico è vero. Tu sei il mio nemico nato. Ma io sono venuto da te in cerca d’aiuto per vendicare la mia umiliazione. I sapienti hanno detto:

“Quando la tua vita è minacciata

Quando si guarda il pericolo in faccia

E’ meglio piegare prima un nemico

E salvare la vita e la proprietà”.

“Chi ti ha umiliato?”, chiese il cobra.

“Sono stati i miei parenti”.

“Dove abiti? Si tratta di un pozzo, o di uno stagno, o di una cisterna?”

“E’ un pozzo con le pareti in pietra”

“Ma io non ho le gambe. Come posso raggiungere il pozzo e uccidere i vostri nemici?”

“Signore, ti prego, non dire di no. Ti mostrerò come penetrare nel pozzo. C’è una fessura nel muro che si apre nel pozzo. E’ un ottimo nascondiglio per te. Vieni, te lo mostro”, disse Gangadatta, re delle rane.

Il cobra allora pensò: “Sto diventando vecchio. Raramente riesco a catturare una rana da mangiare. Questo tizio è venuto a darmi una nuova prospettiva di vita. Andrò con lui ed avrò un banchetto quotidiano di rane”.

Rivolto al re delle rane, il cobra rispose, “Andiamo”.

“C’è però una condizione”, disse Gangadatta, “Priyadarsana, io ti ci porterò e ti mostrerò il posto. Ma dovrai risparmiare le rane che mi sono amiche. Potrai mangiare solo quelli che io seleziono come cibo per te”.

Il cobra rispose: “Ora sei mio amico. Ti do la mia parola. Mangerò solo quelli contrassegnati da te come cibo”.

Il cobra emerse dalla sua tana e accompagnò il re delle rane al pozzo. Il re gli mostrò la fessura nel pozzo e quali dei suoi parenti meritavano di essere uccisi. Il cobra si accomodò beato nella crepa e nel corso di poco tempo, terminò tutte quelle rane che il loro re aveva designato per lo sterminio.

Allora, senza rane da mangiare, il cobra disse al re: “Ho distrutto tutti i tuoi nemici. Sei tu che mi hai portato qui e quindi, adesso, cercami delle prede perché possa cibarmene”.

Gangadatta rispose: “Hai fatto il tuo lavoro per aiutarmi. Ora, è il momento per te di lasciare questo posto”.

“Come posso andarmene?” Protestò il cobra. “Qualcun altro occuperà il mio posto. Quindi, non voglio andare, voglio restare qui. Ogni giorno mi offrirai un ranocchio scelto dalla tua cerchia di parenti”.

Pentendosi di avere fatto amicizia con un nemico naturale, Gangadatta pensò che fosse meglio offrire al cobra un amico al giorno, ricordando il detto: “chi fa amicizia con un nemico più forte invita la morte certa. Un uomo saggio non perde tutte le sue ricchezze per salvare una misera somma. “

Di conseguenza, il re delle rane iniziò ad offrire al cobra una rana al giorno. Il malvagio cobra continuò a cibarsi di tutte le rane. Un giorno, giunse la volta di Yamunadatta, il figlio del re delle rane. Il re pianse amaramente per la perdita di suo figlio e la moglie allora gli disse che non era il caso di piangere sul passato ma che avrebbe dovuto lasciare immediatamente il posto e cercare un modo per porre fine alla minaccia del cobra.

Con il passare dei giorni, il cobra finì l’intera tribù delle rane, con l’eccezione di re Gangadatta. Quindi, chiese a Gangadatta: “Guarda, amico mio, non è rimasta più nessuna rana da mangiare. Sono molto affamato. Mostrami dove e come posso saziare la mia fame”.

Il re rispose: “Priyadarsana, non devi preoccuparti per il cibo, fino a quando io sono tuo amico. Tu mi lasci andare fuori da questo pozzo ed io andrò a cercare altri pozzi pieni di rane. Tenterò di farle venire qui e tu potrai rimpinzarti”.

Il cobra disse: “Tu sei come un fratello per me, Gangadatta, non posso ucciderti. Se mi porti del cibo, sei buono come mio padre. Ti farò uscire da questo pozzo”. Così, il re uscì e scomparve. Il cobra era in trepidante attesa che il re gli portasse il cibo. Dopo un lungo periodo di tempo, Gangadatta non era ancora tornato ed allora il cobra cercò l’aiuto di un camaleonte.

“Amico mio, tu conosci Gangadatta molto bene. Ti prego di andare da lui e dirgli che non importa se non mi può portare le rana. Che venga ugualmente. Non posso vivere senza la compagnia di un tale amico fidato”.

Il camaleonte portò il messaggio del cobra al re delle rane e gli disse: “Il tuo amico Priyadarsana è in trepidante attesa del tuo ritorno”.

Gangadatta gli rispose: “Mi scusi signore, chi può fidarsi di un uomo affamato? Puoi andare”.

Conclusa la storia, Raktamukha, la scimmia, disse al coccodrillo: “Malvagia creatura, non visiterò mai la vostra casa”.

Karalamukha, il coccodrillo, lo implorò: “Amico mio, questo non è corretto. Ti prego di venire e di santificare la mia casa. In caso contrario, sarò colpevole di ingratitudine. Se tu non vieni, io ne morirò”.

La scimmia rispose: “Tu sei uno stolto a pensare che io, come Lambakarna, inviterei consapevolmente la morte”.

“O amico mio, fammi sentire questa storia di Lambakarana”, chiese il coccodrillo.

Allora la scimmia narrò al coccodrillo la storia di Lambakarna.

IL LEONE E L’ASINO STOLTO

Un leone di nome Karalakesara viveva in una foresta, lealmente servito da Dhoosaraka, uno sciacallo che era solito accompagnare il leone ovunque andasse. Un giorno, un elefante ferì gravemente il leone durante una lotta. Le ferite erano così gravi che il leone non poteva andare a caccia. Come risultato, anche lo sciacallo rimase senza cibo. Ben presto, sia il padrone che il servitore diventarono molto deboli. Incapace di sopportare la fame, lo sciacallo implorò il leone di dargli un po’ di cibo.

“Tu conosci la mia situazione. Non riesco a muovermi. Tuttavia, se tu riuscissi a convincere qualche animale a venire qui, lo ucciderei ed entrambi potremmo avere un buon pasto”, propose il leone.

Fu così, che lo sciacallo si mise alla ricerca di un animale e finalmente vide un asino nutrirsi di erbe infestanti. Lo sciacallo gli si avvicinò e disse: “O amico mio, ti prego di accettare i miei saluti. Non ti vedo da molto tempo. Sei dimagrito molto. Qual è la ragione?”

L’asino rispose tristemente, “Come posso esprimere la mia sofferenza? Il lavandaio mi sta tormentando mettendo troppo peso sulla mia schiena. Lui non mi da niente da mangiare. Sopravvivo solo con le erbacce. Ecco perché il mio corpo è debole”.

Lo sciacallo disse, “Se questo è il problema, perché non vieni con me? Io ti mostrerò un luogo dove potrai riempirti il cuore di erba, verde e fresca. Possiamo tranquillamente trascorrere lì il nostro tempo”.

Mi stai dando una buona notizia. Ma c’è un problema. Noi siamo animali domestici, mentre voi siete tutti animali selvatici. Uno di questi certamente mi ucciderà disse l’asino di nome Lambakarna.

Per placare le sue paure, lo sciacallo rispose: “O caro, non dire così. Questo posto è sotto il mio controllo. Nessuno può entrare in quell’area. Mentre soffri per mano del lavandaio, nel luogo di cui ti parlo ci sono tre asine, che sono in attesa di un marito adatto. Sono tutte giovani e mi hanno detto: “Se sei veramente nostro amico, vai a cercare un marito adatto per noi”. Assolvevo questa missione, quando sono giunto qui e ti ho visto”.

L’asino rispose: “In questo caso, andiamo subito”.

Ecco perché gli anziani hanno detto:

“Se il solo pensiero di una donna

Porta in estasi un giovane

Quanto entusiasta egli sarebbe

Se realmente fosse in sua presenza?”

Alla fine, lo sciacallo e l’asino, raggiunsero la foresta e arrivarono dal leone. Quando però Lambakarna vide Karalakesara, il leone malato, iniziò a correre lontano da lui. Il leone cercò con grande sforzo di raggiungerlo e colpirlo con una zampata, ma non ci riuscì.

Arrabbiato per il fallimento del leone, Dhoosaraka, lo sciacallo, protestò: “O mio Signore, tu sei inutile. Se non riesci ad affrontare uno sciocco asino, come puoi combattere contro un elefante? Ora ho capito quanto sei potente!”

Vergognandosi, con calma il leone spiegò allo sciacallo: «O amico mio, non ero pronto per l’attacco. In caso contrario, neanche un elefante sarebbe potuto sfuggire al mio colpo”.

Soddisfatto, lo sciacallo disse: “Va bene, cerchiamo di dimenticare il passato. Porterò di nuovo l’asino qui. Questa volta devi essere pronto e colpirlo”.

“Ma come può Lambakarna dimenticare la brutta esperienza appena passata e tornare di nuovo qui?”, chiese il leone.

“Lascia fare a me”, assicurò lo sciacallo e partì per cercare l’asino. Lambakarna era lì vicino, sulla riva di un lago a brucare dell’erba.

Egli si rivolse allo sciacallo e disse: “Amico, mi hai portato proprio in un bel posto. Sono scampato alla morte per un soffio. Chi è l’animale che per poco non mi ha ucciso? “

“Ti sbagli”, rispose Dhoosaraka, “, In realtà, si tratta dell’asina alla quale avevo promesso di portarti. Lei era saltata su per venire ad abbracciarti; tu, invece, sei scappato via per lo spavento. Lei non può vivere senza di te, e così sta cercando di ritrovarti. Mi ha detto, che se non la sposi, lei commetterà un suicidio. Quindi, ti prego, vieni e risparmiami il peccato di avere causato la morte di una femmina. Il Dio dell’Amore ti punirà se non ascolti le mie parole”.

Ingannato, l’asino seguì lo sciacallo. Il leone, questa volta, si era preparato per l’attacco e quando giunse l’asino, gli balzò addosso e lo uccise all’istante. Il leone chiese allo sciacallo di tenere d’occhio il corpo dell’asino e andò a fare un bagno nel fiume. Incapace di resistere alla tentazione della carne fresca, lo sciacallo, tagliate le orecchie dell’asino e raccolto il suo cuore ne fece un buon pasto. Quando il leone tornò, notò che mancavano le orecchie e il cuore dell’asino.

Arrabbiato, il leone chiese allo sciacallo di dirgli cosa era successo alle orecchie e al cuore del somaro. Dhoosaraka gli rispose che l’asino non aveva le orecchie e il cuore. Se le avesse avute, certamente non sarebbe tornato indietro. Il leone, sciocco, credette ad ogni parola dello sciacallo e condivise l’asino con lui.

“Allo stesso modo, come l’asino della storia, anche tu sei un pazzo”, concluse Raktamukha, la scimmia, rivolgendosi al coccodrillo.

“Mi hai ingannato, ma come Yudhisthira nella storia che sto per raccontarti, hai anche detto la verità quando non avresti dovuto, perdendo tutto”.

“Ti prego, dimmi ogni cosa di questo Yudhisthira”, implorò il coccodrillo.

LA STORIA DEL VASAIO

C’era una volta un vasaio, di nome Yudhisthira, che viveva in un villaggio. Un giorno, bevve troppi liquori e ne rimase intossicato; in questo stato cominciò a correre, finché perse l’equilibrio e cadde su alcuni pezzi di una brocca rotta. I frammenti della brocca erano molto taglienti e gli procurarono una grande e sanguinante ferita sulla fronte. In qualche modo, si alzò e riuscì a tornare a casa. La ferita aveva impiegato molto tempo per guarire, perché aveva trascurato di seguire le istruzioni del medico.

Improvvisamente, una carestia colpì l’intero paese. Il vasaio allora lasciò il paese con alcuni altri compaesani. Nel nuovo paese, trovò un posto di lavoro presso il re del luogo. Questo re vide il segno della grande ferita sul suo viso e pensò che Yudhisthira doveva essere stato un grande guerriero, che aveva riportato la ferita in qualche battaglia. Il re cominciò a riversare particolare attenzione e affetto sul vasaio, suscitando l’invidia dei suoi figli. Essi non potevano però nuocergli, perché era il favorito di loro padre, il re.

Quando per il vasaio tutto stava andando nel migliore dei modi, scoppiò una guerra ed il re convocò tutti i guerrieri conosciuti, per rendere onore a loro e prepararli alla guerra. Gli uomini del re stavano preparando elefanti e cavalli per il combattimento, mentre i soldati erano impegnati in grandi manovre. Era giunto il momento per il re di sapere tutto su Yudhisthira.

Mandò a chiamare il vasaio e quando non ci fu nessuno in giro, gli chiese, “Qual è il tuo nome, o guerriero? In che battaglia sei stato ferito?”

Il vasaio disse al re: “Mio signore, questa non è una ferita inflitta a me in una battaglia. Io sono un vasaio e mi chiamo Yudhisthira. Un giorno, mentre ero ubriaco, sono inciampato e caduto su pezzi taglienti di un vaso rotto. Questa cicatrice sulla mia faccia è il risultato di quella caduta”.

Vergognarsi per essersi ingannato per l’aspetto del vasaio, il re chiese ai suoi servitori di buttarlo fuori.

Ma Yudhisthira fece appello al re: “Mio signore, ti prego di non scacciarmi. Vedrete come mi batterò bene”.

Il re disse: “Ammetto che sei un guerriero. Ma sei nato in una comunità di vasai e quindi non puoi uccidere un elefante”.

“Cosa vorrebbe dire?” chiese il vasaio.

Il re allora gli raccontò la seguente storia.

Una coppia di leoni viveva in una foresta. Nel corso del tempo, la leonessa aveva partorito due cuccioli di leone. Ogni giorno, il leone andava a caccia e portava del cibo per la leonessa. Un giorno, il leone aveva vagato per tutta la foresta in cerca di cibo, ma non era riuscito a trovare alcuna preda. Al tramonto, il leone aveva rinunciato alla sua ricerca e stava tornando a casa, quando trovò un cucciolo di sciacallo. Al leone piacque molto e lo portò a casa consegnandolo a sua moglie.

La leonessa chiese al marito: “Non ci hai portato da mangiare oggi?”

“Ho trovato questo cucciolo. Questo è tutto”. Rispose il leone.

“Non l’ho ucciso perché è un bambino. Ma se siete molto affamati, potete avere questo piccolo per il vostro pasto”.

La leonessa si arrabbiò e disse al marito, “Come posso ucciderlo, quando tu gli hai risparmiato la vita?”

Gli anziani hanno detto:

“Non compiere un atto indegno

Anche di fronte alla morte;

Non rinunciare a un atto degno

Anche se questo significa suicidarsi”.

“Io lo tratterò come mio terzo figlio”, concluse la leonessa.

Col passar del tempo, il cucciolo di sciacallo divenne uno di famiglia ed i tre mangiavano, bevevano, giocavano e dormivano insieme. Un giorno, mentre stavano giocando, passò di là un elefante. Subito, i due cuccioli di leone si prepararono ad attaccarlo. Il cucciolo di sciacallo li fermò e disse loro che l’elefante era un nemico dei leoni e che era meglio per loro andare via. I leoncini rimasero delusi dalle parole del loro fratello sciacallo.

Rientrati casa essi raccontarono al padre i dettagli di come il fratello sciacallo fosse fuggito dalla scena. Il padre non manifestò soddisfazione con i suoi figli e li ammonì. Il leone, prese poi il cucciolo di sciacallo da parte e gli disse di non scoraggiare i cuccioli di leone che, disse, erano i suoi fratelli più giovani.

Il piccolo sciacallo ci rimase male e andò a chiedere alla madre leonessa, “In che modo sono diverso da loro, in bellezza o educazione o coraggio? Perché quei due mi devono ridicolizzare? Li ucciderò tutti e due”.

Divertita dalle parole del cucciolo di sciacallo e augurandogli lunga vita, la leonessa disse: “Tu sei ancora un bambino. Ti ho cresciuto provando tenerezza per te. Anche i tuoi fratelli sono giovani. Prima che diventino adulti, e capiscano che tu sei diverso da loro, lascia questo posto e unisciti al tuo popolo”.

Rendendosi conto del futuro pericolo, il cucciolo di sciacallo abbandonò la famiglia dei leoni, alla ricerca della propria gente.

“Ecco perché, prima di altri guerrieri scoprano che non appartieni alla casta guerriera, lascia questo posto”, consigliò il re a Yudhisthira. Il vasaio, convinto, lasciò immediatamente il palazzo.

Raktamukha, la scimmia, disse a Karalamukha, il coccodrillo: “Hai tentato di uccidermi dando ascolto all’appello di tua moglie. Ma non bisogna mai fidarsi delle donne. Ho abbandonato la mia famiglia a causa di una donna e le ho dato metà della mia vita. Ma alla fine lei mi ha lasciato preferendo un amante zoppo. Ecco perché, mai credere ad una donna “.

“Interessante”, disse il coccodrillo e chiese alla scimmia di raccontargli la storia.

TRE IN UNA STORIA

C’era una volta un famoso re chiamato Nanda. Il suo popolo lo rispettava per il suo sapere e valore. Egli aveva un primo ministro chiamato Vararuchi che era esperto in diplomazia e arte di governo. Un giorno la moglie di Vararuchi era infastidita dal marito e si teneva a distanza da lui. Estremamente affezionato alla moglie, il primo ministro cercò di compiacerla. Ma era tutto inutile. Non sapeva cosa fare per riconquistare il suo affetto.

La supplicò: “Dimmi cosa posso fare per renderti felice”.

La moglie finalmente aprì la bocca e disse: “Raditi la testa completamente e prostrati davanti a me, se vuoi riconquistare il mio amore”.

Il primo ministro ottemperò al suo desiderio della moglie e riuscì a riconquistare il suo favore.

Anche la moglie del re

Anche la moglie del re adottò lo stesso atteggiamento di evitare la compagnia del marito. Nanda provò ogni trucco che sapeva per riconquistare il suo affetto, ma senza successo.

Fallito ogni tentativo, il re cadde sui suoi piedi e la pregò: “Mia cara, non posso vivere senza di te nemmeno per un istante. Dimmi, cosa devo fare per riconquistare il tuo amore?”.

La regina disse: “Sarò felice se fai finta di essere un cavallo, accetti di essere imbrigliato e di lasciarti guidare da me. Durante la cavalcata devi nitrire come un cavallo. Questo è accettabile per te?”

“Sì”, disse il re e fece come sua moglie aveva chiesto.

Il giorno dopo, il re incontrò il suo primo ministro, con la testa rasata e gli chiese: “Vararuchi, perché hai la testa rasata in un giorno in cui è vietato tonsura?”

Vararuchi rispose: “O re, c’è qualcosa che una donna non domandi e l’uomo facilmente non conceda? Farebbe qualsiasi cosa, radersi la testa o nitrire come un cavallo”.

Raktamukha, la scimmia, disse quindi a Karalamukha, il coccodrillo: “Malvagio coccodrillo, sei schiavo di tua moglie come Nanda e Vararuchi. Hai tentato di uccidermi, ma le tue chiacchiere hanno vanificato i vostri piani”.

Ecco perchè i sapienti hanno detto:

“I pappagalli cantano e svelano

La loro presenza al cacciatore.

La gru elude il cacciatore

Mantenendo il suo becco ben chiuso”.

“Guarda come un asino, nonostante il suo travestimento con una pelle di tigre, ha tradito la sua origine ragliando ed è stato ucciso. Ecco la storia, se la vuoi conoscere”, disse Raktamukha e cominciò a raccontare la storia dell’asino.

In un piccolo villaggio viveva un lavandaio di nome Suddhapata. Lui aveva un asino che era molto debole, perché non nutriva l’animale regolarmente. Un giorno, il lavandaio, mentre stava raccogliendo legna dal bosco, trovò il cadavere di una tigre. Suddhapata era molto felice e pensò: “Sono fortunato. Posso prendere la pelle dell’animale, coprire con essa il mio asino e guidarlo nei campi di grano dove avrà molto da pascolare. Pensando che lui sia una tigre, la gente non mancherà di tenersi lontana da lui. In questo modo, il mio asino avrà un sacco di cibo”.

Egli mise in atto il suo piano e ogni sera, l’asino andava nei campi di grano, mangiava in abbondanza durante la giornata ed al mattino tornava a casa del suo padrone. La cosa andò avanti per qualche tempo. L’asino era diventato così forte e robusto che per il lavandaio era diventato difficile tirarlo e legarlo al palo.

Un giorno, mentre era felicemente al pascolo presso il campo di grano, l’asino udì la voce di un asino femmina e cominciò a risponderle in estasi. Allora il guardiano del campo e gli altri lavoratori della fattoria, subito si resero conto che era asino in una pelle di tigre e lo uccisero.

Raktamukha, rivolto al coccodrillo gli disse: “Come hai visto, l’asino ha incontrato la sua fine, perché ha aperto la bocca quando non doveva. Ora, vuoi lasciarmi o vuoi incontrare la stessa sorte Syamalaka?”

“No, per favore. Voglio sapere la storia di Syamalaka”, disse il coccodrillo.

Raktamukha gli raccontò la seguente storia.

Un commerciante molto ricco, di nome Eswara, viveva in una città chiamata Vikantakapuram. Un giorno, i suoi quattro generi arrivarono da Ujjain, con le loro famiglie, per godersi l’ospitalità del suocero. Eswara fece di tutto per renderli felici e contenti. Passarono sei mesi, ma i generi non mostravano alcun segno di voler partire per Ujjain. Eswara cominciò ad arrabbiarsi, ma non poteva dire direttamente ai suoi generi che erano rimasti troppo.

Un giorno, il suocero disse alla moglie: “Questi ragazzi si stanno godendo il loro soggiorno qui e sono riluttanti a lasciarci. Sono sicuro che non se ne andranno, a meno che non li offendiamo in qualche modo. Domani, quando vengono a cena, non offrire loro l’acqua per lavare i piedi. Essi considereranno questo come un insulto, e certamente partiranno”.

La moglie di Eswara fece come voleva il marito.

Il primo genero si offese perché l’acqua per lavare i suoi piedi non era pronta e partì stizzito.

Il secondo genero non fu soddisfatto per il posto assegnatogli al tavolo e andò via sbraitando.

Il terzo si lamentò per qualità del cibo e fece le valigie.

A Syamalaka, il quarto genero, invece, non fece caso a questi insulti rimase. Il suocero, pertanto, dovette buttarlo fuori di casa con la forza.

“Ho visto quanto sei malvagio ed io non sono un pazzo a fidarmi ancora di te, come il carpentiere”, concluse Raktamukha. Subito Karalamukha volle con insistenza sentire quella storia.

LA MOGLIE DEL CARPENTIERE

C’era una volta un carpentiere, che viveva in un villaggio con la moglie. Avendo sentito brutte storie su di lei e volendo conoscere la verità su quelle voci, un giorno, facendo finta di dovere partire per un villaggio vicino, egli disse alla moglie:

“Domani mattina presto, devo recarmi in un villaggio non lontano da qui. Potrei dover rimanere lì per qualche giorno. Ti prego di preparare tutto per il mio viaggio”.

La gioia della moglie, alla notizia, non conobbe limiti. Cucinò i suoi piatti preferiti e ne predispose alcuni perché potesse consumarli durante il viaggio.

La mattina successiva il carpentiere uscì. La moglie indossò il suo abito migliore, si cosparse di profumo tutto il corpo e si ornò i capelli con dei fiori, dopo di che trascorse il resto della giornata con grande impazienza.

Finalmente, quando fu sera, andò a casa del suo amante e gli disse: “Il mio cattivo marito è partito per qualche posto, e non tornerà prima di qualche giorno. Quindi, dopo che saranno tutti andati a dormire, puoi venire a casa mia, così trascorreremo un po’ di tempo felici”.

Dopo aver formulato questo invito, tornò a casa.

Nel frattempo, il carpentiere, che aveva trascorso la giornata in una vicina foresta, rientrò a casa prima che la moglie fosse tornata dalla visita al suo amante. Egli si nascose sotto il letto. Ben presto, l’amante della moglie arrivò e si incontrò con lei. Mentre, seduta sul letto e con le gambe penzoloni, stava parlando con il suo amante, la moglie colpì con un piede qualcosa di duro. Subito pensò, che nascosto sotto il letto, potesse esserci il marito che aveva voluto testare la sua fedeltà.

“Dimostrerò a mio marito come sono ingegnosa”, si disse.

Quando il suo amante le si avvicinò, lei gli fece capire, attraverso i segni, che il marito era sotto il letto e disse: “Signore, tu non dovresti toccarmi. Sono una moglie molto fedele. Se mi tocchi ti trasformerò in cenere.

“In tal caso, perché mi hai invitato?” Chiese lui seccato.

“Per favore, ascolta. Questa mattina, sono andata al tempio della dea, dove ho sentito una voce divina che diceva: “O donna, so che sei mia devota. Ma diverrai vedova entro sei mesi”.

Allora l’ho pregata di dirmi un modo per riuscire a salvare mio marito e farlo vivere per centinaia di anni.

“C’è una via che è nelle tue mani”, mi ha detto.

“Se è così, io darò anche la mia vita per salvare quella di mio marito”, ho risposto alla dea.

“Se vai a letto con uno sconosciuto, il pericolo per la vita di tuo marito si trasferirà allo straniero, che morirà presto”.

Il falegname sciocco, non ebbe alcun dubbio sulla veridicità di ogni sua parola e felice di avere una moglie fedele, egli uscì dal suo nascondiglio e le disse: “O sacra donna, ho dato retta a voci su di te e dubitavo del tuo carattere. Ho voluto metterti alla prova e ti ho mentito, facendoti credere di aver lasciato il villaggio. Ora ho visto quello che sei. Venite, festeggiamo”, e ciò detto, l’abbracciò. Con tale felicità, portò la moglie sulle spalle sfilando per le vie del paese.

A questo punto Raktamukha, la scimmia, disse a Karalamukha, “O malvagio coccodrillo, ora conosco i tuoi pensieri malvagi. Come potrei venire a casa tua? E’ la tua natura essere malvagio. L’amicizia con persone buone non cambierà la tua natura. Sei troppo attaccato alla tua donna. Tu sei il suo schiavo. Tali persone non esitano mai a perdere la loro ricchezza e gli amici per il suo capriccio”.

Mentre la scimmia stava raccontando la storia del carpentiere, dal mare arrivò qualcuno per riferire al coccodrillo che sua moglie, rimasta senza cibo, era morta. Il coccodrillo si rese conto che vivere in una casa senza moglie era come vivere in una giungla.

Egli disse alla scimmia: “Amico, scusami. Ho danneggiato te e così ho perso mia moglie. Mi merito di morire”.

La scimmia gli rispose: “Io so che eri un marito sottomesso alla moglie. Ma questo non è il momento per il dolore, perché ti sei liberato di una moglie avida. Dovresti festeggiare.

Gli anziani hanno detto:

Considera quella donna funesta

Che non ha un carattere e

Che litiga sempre con voi

Come una sventura, sotto forma di una moglie.

Quest’uomo che vuole essere felice

Non dovrebbe nemmeno pronunciare il suo nome.

Chi ama una donna malvagia

Perisce come una falena che bacia il fuoco”.

Il coccodrillo, addolorato, rispose, “Amico mio, ho perso la tua amicizia e anche mia moglie. Tutto questo è il risultato per avere tradito un amico come te. Penso di essere saggio. Ma è come la saggezza di quella donna sciocca, che ha perso sia il suo amante che il proprio marito”.

“Come è successo?”, chiese la scimmia.

Il coccodrillo iniziò a raccontargli la storia.

C’era un vecchio contadino che aveva una moglie giovane, che aveva sempre in mente altri uomini e non si occupava mai delle faccende domestiche. Lei era sempre in cerca di uomini più giovani per passarci il tempo. Un giorno, un imbroglione la vide e constatando che era sola, andò da lei e la pregò: “O affascinante creatura, sono vedovo. Nel momento stesso in cui ti ho vista, ho perso il mio cuore per te. Per favore concedimi il piacere della tua compagnia”.

Deliziata, la donna gli rispose: “O signore di bell’aspetto, mio marito è molto ricco. Lui è vecchio e non mi soddisfa. Porterò via tutti i soldi e gioielli e potremo correre via in un luogo lontano, dove vivremo per sempre felici e contenti”.

Il bellimbusto ne fu molto felice e le chiese di portare tutti quei soldi e i gioielli, in un posto dove lui l’avrebbe attesa impaziente. “Ci sarà poi modo di lasciare quel posto con tutta tranquillità”, le disse.

La moglie del contadino aspettò che fosse buio e quando il marito si addormentò, rubò tutti i soldi e i gioielli, li pose in un sacchetto e uscì di casa per recarsi nel luogo stabilito. Una volta che si furono incontrati, il truffatore, con il pretesto di sollevarla dal peso, si offrì di portare lui la borsa piena di soldi e gioielli e iniziarono il loro cammino. Dopo poco più di due chilometri, si fermarono perché c’era un fiume da attraversare.

L’imbroglione pensò: “Che cosa devo fare con questa donna? Se qualcun altro dovesse posare gli occhi su di lei, dovrei proteggerla. E’ meglio che la lasci qui, ma porti via i soldi con me”.

Con questi pensieri in mente, disse alla donna, “Guarda, mia cara, è molto difficile attraversare il fiume. E’ preferibile che io prima porti la borsa dei soldi dall’altro lato del fiume e posatala lì, torni per trasportarti sulla mia schiena”.

Lei assentì, e diede la borsa all’uomo. Lui le chiese di dargli anche i suoi vestiti perché, le spiegò, i vestiti avrebbero ostacolato il nuoto. Allora lei gli diede anche i suoi vestiti. Il truffatore andò via con la borsa ei suoi vestiti.

Coprendosi il corpo nudo con le mani, la donna iniziò l’attesa senza fine del ritorno del suo compagno. Proprio in quel momento, capitò che passasse di lì uno sciacallo, con un pezzo di carne in bocca. Lo sciacallo vide un pesce che era uscito dall’acqua e nel tentativo di afferrarlo, lasciò cadere il pezzo di carne e corse verso il pesce. Ma quello, vedendo lo sciacallo correre verso di lui, saltò di nuovo in acqua. Deluso, lo sciacallo tornò a prendere il pezzo di carne, ma un nibbio si tuffò giù veloce e lo portò via prima che lo sciacallo potesse raggiungerlo.

La donna rise vedendo lo sciacallo che aveva perso il pesce e anche il pezzo di carne. Offeso dal comportamento della donna, lo sciacallo le disse: “Tu potrai anche essere due volte più intelligente di quanto lo sono io. Ma a che serve? Hai perso tuo marito, il tuo amante ed anche le tue ricchezze”.

Nel mezzo della storia, qualcuno giunse dal mare per riferire a Karalamukha che un altro grande coccodrillo aveva occupato la sua dimora. Karalamukha non sapeva cosa fare. Aveva perso un amico (Raktamukha), sua moglie e ora anche la casa. Cominciò a chiedersi come avrebbe potuto buttare fuori il grosso coccodrillo da casa sua. Andò dalla scimmia che nel frattempo era già risalita sulla cima dell’albero e le .chiese consiglio.

Raktamukha disse al coccodrillo, “Sciocco, perché mi dai ancora fastidio? Hai tentato di uccidermi per rendere felice tua moglie. Ora arrivi per un consiglio. Non posso darne a quegli stolti come te, che chiedono un consiglio, ma poi non lo seguono. Chi non ascolta i consigli dei saggi, perirà come il cammello per mano del leone”.

Senza alcuna vergogna, il coccodrillo chiese alla scimmia di raccontargli quella storia. La scimmia gli narrò la seguente storia.

IL PREZZO DELL’IMPRUDENZA

Nella città di Nagara, c’era un falegname di nome Ujjwalaka e che era estremamente povero. Un giorno, rendendosi conto che tutti gli altri suoi colleghi erano ricchi e felici e che solo lui era molto povero, divenne molto triste. Cominciò a pensare che Nagara non era il posto giusto per lui per prosperare e che doveva andare via e cercare fortuna altrove. Quindi lasciò quella città e iniziò il suo viaggio verso un nuovo paese. Quando il sole stava svanendo, raggiunse una grotta in una foresta.

Qui vide una cammella, separata dalla sua carovana, che aveva appena avuto un piccolo. Il falegname rinunciò al suo piano di recarsi in un altro paese e rientrò a casa portando con sé la cammella e il suo cucciolo. Ogni giorno si recava nel bosco e ritornava con fasci di foglie tenere per la cammella e il suo bambino. Mamma cammella riacquistò presto la sua forza, mentre il figlioletto era ormai diventato adulto. Il falegname iniziò a vendere il latte di cammella e fece un bel po’ di soldi.

Ujjwalaka amava il cammello così tanto, che gli aveva comprato una campana che appese al suo collo. Un giorno pensò tra sé: “Se una cammella mi fa guadagnare così tanti soldi, quanti ne poteri guadagnare in più comprando altre cammelle e vendendone il latte?” Comunicò alla moglie, che avrebbe preso in prestito dei soldi per andare a Gujarat e comprare un’altra femmina di cammello, mentre lei avrebbe dovuto prendersi cura dei due cammelli, fino al suo ritorno.

Andò a Gujarat e tornò a casa con una cammella. Lentamente il numero di cammelli che possedeva aumentò sempre di più. Assunse anche un custode, che si prendeva cura della mandria di cammelli in cambio di un cammello all’anno come compenso. Il custode era anche libero di bere il latte di cammello due volte al giorno. Ora, tutto andava finalmente bene per il falegname e lui e sua moglie vissero da allora in poi felici e contenti.

I cammelli, andavano ogni giorno in una foresta vicina, per nutrirsi di verdi foglie fresche, disponibili in abbondanza nella foresta. Dopo aver trascorso molto tempo nella foresta, mangiando e giocando, i cammelli si incamminavano verso casa. La cammella più anziana, però, era solita rimanere nella foresta più a lungo e riunirsi al branco più tardi. Gli altri cammelli pensavano che era folle a separarsi ed a cosa avrebbe fatto, se un animale selvatico l’avesse attaccata.

Un giorno un leone vide tutti i cammelli lasciare in gruppo il bosco e l’anziana cammella rimanere indietro a gironzolare. Nel frattempo che lei aveva finito il suo tranquillamente pascolo, gli altri se ne erano andati ed erano arrivati a casa. La cammella aveva perso la strada ed era nel panico, quando il leone, che la seguiva, si avventò su di lei e in un attimo la ridusse in brandelli.

“Per questo ti ho detto che chi non segue il consiglio degli uomini saggi, perisce come il cammello”, terminò la scimmia.

Il coccodrillo rispose: “Hai ragione, se seguite i consigli dati per il vostro bene, non si dovrà affrontare alcun pericolo qui o nel cielo sopra di noi. Eppure, cosa c’è di grande nel fare del bene a una persona che è buona? Colui che aiuta una persona che gli ha fatto del male, è considerato grande dalle persone di conoscenza. Ecco perché, abbi pietà di me e dammi i tuoi consigli”.

La scimmia rispose: “In questo caso, vai e combatti contro quel grande coccodrillo, che ha occupato la tua casa. Se muori in battaglia, andrai in paradiso. Se vinci la battaglia, otterrai la tua casa. Sappi questo da me:

“Conquista un uomo buono con l’umiltà,

Sopraffai un eroe con la strategia,

Vinci i poveri con piccoli doni

E schiaccia gli eguali con la potenza”.

“Come è possibile?” Chiese Karalamukha a Raktamukha.

Inizia un’altra storia.

LA STRATEGIA DELLO SCIACALLO

Mahachataraka era uno sciacallo che viveva in una foresta. Un giorno, trovò il corpo di un elefante morto e ne fu felice, perché avrebbe avuto cibo per molti giorni. Tuttavia, egli non era in grado di mordere la spessa pelle dell’elefante; stava girando intorno al corpo dell’animale, quando passò di lì un leone. Lo sciacallo umilmente si prostrò davanti al leone e disse: “Mio Signore, io sono un tuo servo obbediente. Nel tuo interesse, sto vigilando sul corpo dell’elefante. Ti prego, serviti”.

Il leone rispose: “Lo sai amico, io non mangio qualcosa che altri hanno ucciso. Prendilo tu, come mio regalo”.

“Sono commosso dalla vostra magnanimità, mio signore”, disse lo sciacallo.

Dopo che il leone fu andato via, entrò in scena una tigre. Lo sciacallo pensò, “mi sono liberato da una minaccia attraverso l’umiltà. Come posso scamparla con questo tizio? Egli non cederà a nessuna delle strategie che conosco. L’unico modo di tenerla a bada è la furbizia. Ci provo”.

Lo sciacallo allora andò incontro alla tigre e disse: “O signore, perché stai entrando in questa zona di morte? Il leone ha ucciso quell’elefante e mi ha chiesto di vigilare su di esso. È andato a fare il bagno. Prima di andare, mi ha detto di informarlo del passaggio di qualsiasi tigre. Ha promesso di uccidere tutte le tigri, perché molto tempo fa, una tigre aveva rosicchiato un elefante che aveva ucciso. Mi ha detto che da quel giorno ha giurato di uccidere tutte le tigri”.

Queste parole spaventarono la tigre che disse allo sciacallo, ” Per favore, figliolo, salva la mia vita. Quando il leone torna, non dirgli sono passata da qui”.

Dopo aver ricevuto l’assicurazione dello sciacallo, la tigre frettolosamente lasciò quel luogo. Arrivò infine un leopardo.

Lo sciacallo pensò: “Questo tizio ha i denti forti e taglienti. Devo convincerlo a perforare la pelle dell’elefante”.

Rivoltosi al leopardo, lo sciacallo disse: “Figlio mio, sei giunto in questo posto dopo un lungo periodo di tempo. Mi sembra che tu abbia fame. Perché non resti come mio ospite? Guarda questo corpo di un elefante ucciso dal leone. Lui mi ha chiesto di tenerlo d’occhio. Quindi, possiamo banchettare prima del suo ritorno”.

Il leopardo rispose: “Amico, come posso accettare il tuo invito? Se voglio vivere a lungo, non devo toccare questo elefante. Vado via subito”.

Lo sciacallo lo rassicurò: “Non ti preoccupare, comincia. Ti avviso io quando sta per arrivare il leone”.

Il leopardo allora cominciò ad attaccare l’elefante e quando strappò via la pelle, lo sciacallo gridò: “Fuggi. Il leone sta arrivando”.

In questo modo, lo sciacallo riuscì a sbarazzarsi anche del leopardo.

Quando lo sciacallo cominciò a banchettare con la carne dell’elefante, arrivò da quelle parti un altro sciacallo. Aveva un aspetto feroce e sembrava molto forte. Il primo sciacallo ricordò l’ultima riga della strofa “schiaccia gli eguali con la potenza” e attaccò il trasgressore con grande ferocia, uccidendolo.

Raktamukha disse a Karalamukha: “Allo stesso modo dello sciacallo nella storia, uccidi anche tu il coccodrillo invasore. In caso contrario, sarà la tua fine. Ma devi essere cauto come Chitranga, il cane, con i proprio amici e parenti”.

“Chi è questo Chitranga? Posso imparare qualcosa dalla sua storia?”, chiese il coccodrillo.

“Perché no?”, rispose la scimmia e cominciò a raccontargli la storia di Chitranga.

Chitranga era un cane, che viveva in una città del sud dove, da molti anni, vi era la carestia. I cani cominciarono a morire a centinaia, perché non c’era cibo. C’era il pericolo che potesse estinguersi la loro specie. Fu così che Chitranga decise di lasciare quella città, per raggiungere una città lontana, in cerca di cibo. Lì trovò la casa di un uomo ricco, la cui moglie era una donna pigra e distratta, che non chiudeva mai le porte della casa.

Ogni giorno, Chitranga avrebbe potuto intrufolarsi nella casa aperta e riempirsi di cibo. Ma in realtà non era mai riuscito a goderselo perché, non appena usciva fuori dalla casa, alcuni bastardi di strada lo aggredivano, ferendolo gravemente.

Chitranga pensò: “Oh, ho fatto un errore a venire qui. A casa era meglio, anche se non avevo da mangiare. Non c’era una lotta come questa per il cibo. Voglio tornare a casa”.

Alla fine, Chitranga lasciò quella città e tornò a casa.

Vedendolo tornare, i suoi amici gli chiesero: “Dicci tutto del paese che hai visitato. Come sono le persone lì? Qual è la loro cultura?”

Il cane rispose: “Meno si dice meglio è su quel paese. Tutto è liberamente disponibile perché le donne sono disattente. Eppure, i propri amici e parenti vi privano di questa gioia”.

Il coccodrillo rimase colpito dal buon consiglio della scimmia e decise di combattere contro il coccodrillo invadente. Combatté il suo nemico con grande valore e lo uccise, riconquistando la casa da lui occupata.

Gli anziani hanno detto:

“Non c’è vera felicità in

Quello che si ottiene senza sforzo.

Anche un vecchio bue sopravvive

Col cibo che gli capita”.

Così terminò il dialogo tra Raktamukha e Karalamukha.

Con questo si conclude il quarto Tantra di Vishnu Sarma.