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PANCHATANTRA – tantra V


PANCHATANTRA

Tantra V

AZIONE SENZA COMPRENSIONE

IL BRAMINO E LA MANGUSTA

IL LEONE CHE PRESE VITA

LA STORIA DEI DUE PESCI E DELLA RANA

LA STORIA DEL TESSITORE

IL PADRE AVARO

LA STORIA DELL’UCCELLO CON DUE TESTE

La quinta strategia inizia con i seguenti versi:

“Chiunque senza giudizio

Fa quello che il parrucchiere stolto

In questo capitolo ha fatto

Viene al lutto eterno”.

Questa è la storia che dimostra come sia vero il versetto di cui sopra. Manibhadra era un commerciante che viveva nella città meridionale di Pataliputra. Era un uomo di principi che però aveva perso tutta la sua ricchezza. La sua povertà lo rendeva molto triste e una notte, riflettendo sulla sua condizione, pensò:

“Né carattere né pazienza

Né umiltà né stirpe

Dissipa la malinconia di un uomo povero”.

Anche se un uomo ha del merito, le pressioni per guadagnarsi da vivere lo mettono in ombra. La necessità di accudire alla famiglia ne consuma la brillantezza. La casa di un uomo povero è come un cielo senza stelle, un lago senza acqua.

“Un povero è evitato anche se

Ha carattere e lignaggio.

Un uomo ricco brilla nella società

Senza merito e classe.

Quello che fa non è mai una vergogna

Ma essere poveri è sempre un crimine”.

Dopo aver riflettuto molto sulla sua condizione, Manibhadra aveva deciso che solo la morte avrebbe potuto risolvere i suoi problemi. Con questi pensieri si addormentò e fece un sogno. Nel suo sogno, un monaco giainista gli apparve e disse: “O mercante, non cedere alla autocommiserazione. Sono Padmanidhi, il tesoro raccolto dai vostri antenati. Domani mattina quando vi visiterò in questa veste, colpisci la mia testa con un bastone e mi trasformerò in oro. Vivrai felice per sempre”.

Quando il mercante si svegliò la mattina dopo, si chiese se quello che aveva visto nel sogno era reale o irreale. “Questo non può essere vero. Potrebbe essere solo un’illusione, perché ho pensato ai soldi tutto il tempo”, pensò e si ricordò la seguente poesia:

“I loro sogni non si avverano mai

Chi è malato, colpito dal dolore,

Infelice e infatuato”.

Nel frattempo era giunto a casa del mercante un parrucchiere, che la moglie aveva chiamato per la cura dei piedi. Poco tempo dopo arrivò il monaco giainista che era apparso in sogno al commerciante. Manibhadra fu felice di vederlo e prese subito il bastone con cui lo colpì in testa. Il monaco si trasformò in una statua d’oro. Il commerciante diede poi dei vestiti e soldi al parrucchiere e gli disse di non parlare a nessuno di quanto era accaduto.

Il parrucchiere tornò a casa e cominciò a pensare:

“Se un monaco si trasforma in oro se lo colpisco, potrei invitare tutti i monaci e ucciderli; così farei un sacco di soldi”. Passò la notte con grande difficoltà. La mattina dopo si recò al monastero giainista, fece tre volte il giro del suo perimetro e si prostrò davanti alla statua di Jinendra cantando le lodi dei giainisti in questo modo:

“Vittoria per i monaci Giainisti

Chi mantenere a bada la lussuria e l’amore

Chi trasforma la mente in un deserto

Dove il desiderio non cresce.

Benedette le mani che adorano

L’illuminato Jinendra

E beata è la lingua

Che loda il grande Santo”.

Dopo questa preghiera, il parrucchiere incontrò il capo dei monaci e si inginocchiò davanti a lui cercando le sue benedizioni. Il monaco lo benedisse e gli chiese il motivo che lo aveva portato al monastero. Il parrucchiere supplicò umilmente che il capo dei monaci e gli altri accettassero la sua ospitalità.

Il monaco capo disse: “O figlio mio, non siamo bramini che sono invitati nelle case per essere onorati. Siamo mendicanti che visitano le case giainiste, accettando lo stretto necessario per mantenerci in vita. Ti prego di andare via e di non mettermi in imbarazzo”.

Deluso, il parrucchiere disse: “O grande veggente, ho fatto tutti i preparativi per accogliervi. Eppure non riesco convincerti. Fai quello che pensi sia meglio”.

Il parrucchiere andò a casa e afferrò un bastone già pronto, dopo aver controllato le uscite della casa. Si recò nuovamente al monastero e rimase lì in supplica, perchè i monaci accettassero le sue offerte. Provando pietà per il parrucchiere, i monaci decisero di visitare la sua casa. Gli anziani hanno giustamente detto:

“L’uomo diventa vecchio e infermo,

Perde i capelli e denti e

Non può nemmeno ascoltare e vedere correttamente.

Tutto nel suo corpo

Degenera ma non il desiderio”.

Quando i poveri monaci furono radunati in casa sua, il parrucchiere serrò tutte le uscite e cominciò ad aggredirli. Alcuni di loro furono uccisi, mentre altri piangevano di dolore. Lo sceriffo, passando e sentendo tutto quel trambusto, chiese ai suoi uomini di scoprire subito quello che stava accadendo. Gli uomini videro ciò che il parrucchiere aveva fatto e lo portarono davanti a un magistrato. Il parrucchiere ammise di aver ucciso alcuni di quei monaci ed il magistrato ne ordinò l’impiccagione.

I giudici affermarono poi che nessuno dovrebbe agire come il parrucchiere prima di avere bene compreso la situazione, perché i sapienti hanno detto, che chi fa le cose senza discrezione o prudenza, si rammarica per la sua azione come la moglie del bramino.

IL BRAMINO E LA MANGUSTA

In una città del nord, viveva un bramino di nome Deva Sarma. Sua moglie ebbe un bambino e, in contemporanea, anche una mangusta diede alla luce un figlio maschio. La bramina (moglie del bramino) adottò il figlio della mangusta e cominciò prendersene cura come faceva con il proprio figlio. La bramina, però, non lasciava mai il bambino da solo, perché non si fidava del cucciolo di mangusta, e temeva che un giorno avrebbe potuto fare del male a suo figlio. Gli anziani hanno detto, che il proprio figlio, anche se immorale, brutto, stupido e cattivo, è un tesoro per i suoi genitori. Si dice che:

“I legami con un figlio sono più forti

Dei legami con un amico, padre, o benefattore”.

Un giorno, prima di recarsi al lago per prendere dell’acqua, la moglie del bramino chiese al marito di badare a loro figlio. Ad un certo punto entrò in casa un cobra. Temendo un pericolo per il figlio del bramino, la mangusta attaccò il cobra e lo uccise. Sentendo i passi della sua madre adottiva, la mangusta, con la bocca ancora imbrattata di sangue, le corse incontro per salutarla. Quando la madre vide la mangusta con la bocca sporca di sangue, pensò che ciò che aveva temuto fosse accaduto. Senza pensarci due volte, gettò la pentola dell’acqua sulla mangusta che, di conseguenza, morì.

Col rimpianto per la morte della mangusta, la donna entrò in casa e scoprì che il suo bambino stava sonoramente dormendo nella culla e vide anche il cobra ridotto a brandelli. La donna venne quindi colpita da un immenso dolore, per aver ucciso la mangusta, che per lei era come un’altro figlio. Nel frattempo, il marito tornò e lei si mise a maledirlo, “Tu meschino, che non hai ascoltato quanto ti dicevo e sei uscito per l’elemosina. L’interesse personale è buono, ma se è troppo, fa guadagnare ad un uomo il destino di Chakradhara”.

“Chi è Chakradhara e quale è la sua storia?” Chiese il marito.

Segue la sua storia, come raccontata dalla moglie del bramino.

Quattro giovani bramini, che vivevano in una città, soffrivano della povertà più assoluta.

Incapaci di sopportare oltre, pensarono: “E’ meglio vivere in una foresta, dove vivono solo animali selvatici e non esseri umani, che patire per le ristrettezze. Dormire su un letto d’erba è meglio che condurre per sempre una vita di bisogno e sofferenza”.

Fu così che essi prepararono i bagagli e partirono alla ricerca di prosperità e felicità. I sapienti hanno sempre detto, che l’uomo addolorato abbandona sempre la verità, i parenti, la madre e anche la madrepatria. Non c’era da meravigliarsi che i quattro bramini lasciassero il loro paese. Dopo varie tappe raggiunsero la grande città di Ujjain. Fecero il bagno nel fiume Sipra e si recarono al tempio di Maha Kaleswar. Quando uscirono dal tempio, dopo l’adorazione di Kaleswar, Bhairavananda Swami, un sadhu, li salutò. Tutti loro si prostrarono davanti a lui in segno di reverenza e dopo lo accompagnarono al suo monastero.

Lo Swamiji chiese ai giovani: “Da dove venite e dove state andando? Che cosa vi ha portato qui?”

“Siamo in cerca di prosperità. Per noi, che sia la morte o la ricchezza. Voi sapete che le persone avventurose raggiungono i loro obiettivi, anche a costo di sacrificare le loro vite. Il destino è onnipotente. Eppure, niente può essere raggiunto senza lo sforzo umano. Pozzi, vasche e stagni, si riempiono quando piove. Ma anche l’uomo estrae l’acqua dalla terra scavando pozzi profondi. Quindi, ti prego mostraci un modo per raggiungere il nostro obiettivo”, implorarono i giovani bramini.

Commosso dalla loro condizione e determinazione, lo Swamiji diede loro quattro tavolette santificate e disse loro: “Ciascuno di voi prenda una tavoletta e viaggiate verso l’Himalaya. Fermatevi dove la tavoletta vi scivola di mano e cercate in quel punto il tesoro. Dissotterratelo, portatelo a casa e siate felici.

Essi iniziarono il loro viaggio e, dopo alcuni giorni di cammino, la tavoletta scivolò via dalla mano di uno dei quattro bramini. Si fermarono lì e dopo aver scavato, trovarono del rame. Il primo bramino disse agli altri che avrebbero potuto estrarre tutti insieme più rame che potevano e portarlo a casa. Gli altri dissero: “Che cosa serve il rame. Andiamo avanti”. Il primo bramino rispose che potevano andare, se volevano, ma che lui tornava a casa portando con sé tutto il rame che sarebbe riuscito trasportare.

Gli altri tre continuarono il loro viaggio, fino a che un’altra tavoletta cadde a terra dalla mano del secondo di loro. Scavarono lì e trovarono dell’argento. Il secondo bramino suggerì che potevano essere felici con l’argento trovato e di tornare a casa. Gli altri due risposero che poteva prendersi anche tutto l’argento, se voleva. Essi, tuttavia, avrebbero continuato la loro ricerca di oro. Il secondo bramino, contento di quello che aveva trovato, prese l’argento e si avviò verso casa.

I restanti due bramini camminarono un po’ più a lungo prima che cadesse la terza tavoletta. Essi scavarono lì e trovato l’oro. Il terzo bramino disse che l’oro era meglio del rame e dell’argento e che ora potevano tornare indietro perché non c’era niente di più prezioso dell’oro. Il quarto bramino non fu d’accordo e disse che avrebbe continuato la sua ricerca. L’altro prese l’oro e andò a casa.

Ora, era la volta del quarto bramino. Egli era ormai stanco e assetato, e per di più, aveva perso la strada e quindi aveva iniziato vagare senza meta. Mentre camminava, vide un uomo completamente coperto di sangue e con una ruota che gli ronzava sopra la testa, come un’aureola. Il Bramino gli andò vicino e gli chiese: “Signore, chi sei e che cosa è questa ruota sopra la tua testa? Mi puoi mostrare un luogo dove ci sia dell’acqua da bere?” Mentre finiva le sue domande, la ruota si spostò dalla testa dello sconosciuto e si posizionò sopra la testa del bramino.

Poi, tra i due, seguì un dialogo:

“Che cosa è questa ruota che è venuta sopra la mia testa?” chiese il bramino.

“Non ne ho idea. E mi tormentava come sta facendo a te ora” rispose lo sconosciuto.

“Almeno dimmi come posso sbarazzarmene. E’ dolorosa”.

“Se una persona come te, con una tavoletta, viene qui e ti parla, la ruota si sposterà sopra la sua testa.”

“Da quanto tempo stai sopportando questo dolore?” chiese il bramino.

“Non ne ho idea. Ma credo che si fosse nel regno del Signore Rama “, disse lo sconosciuto.

“Chi ti ha dato cibo e acqua?”

“Questo posto è dove Kubera ha conservato tutta la sua ricchezza. Coloro che sconfinano in questa zona non patiscono sete o fame, ma molto dolore inflitto da questa ruota. Solo quelle persone che hanno una tavoletta magica come te, possono arrivare qui “, disse lo sconosciuto e prese congedo dal bramino.

Poiché l’ultimo bramino, il cui nome era Chakradhara, non tornava a casa, il suo amico Suvarnasiddhi andò a cercarlo. Seguendo le tracce lasciate dal suo amico, lo trovò sanguinante e in preda a grandi tormenti, con una ruota sopra la sua testa. Gli chiese come aveva fatto a trovarsi in quella situazione e Chakradhara gli raccontò quello che era successo fino a quel momento.

Suvarnasiddhi allora gli disse: “Ti ho avvisato in molti modi di non essere avido. Non hai ascoltato le mie parole. Sei dotto, ma non saggio. La saggezza è sempre superiore all’apprendimento. Gli stolti periscono come i giovani bramini che hanno portato il leone in vita”.

“Come è successo?” Chiese Chakradhara.

IL LEONE CHE PRESE VITA

Quattro amici vivevano in una città. Tre di loro erano molto dotti in tutte le scienze, ma non avevano buon senso. Il quarto ragazzo, di nome Subuddh, non era ben versato nelle Scritture o scienze, ma possedeva una certa dose di buon senso. Un giorno, pensarono che non aveva scopo il loro apprendimento, a meno che non gli avesse portato ricchezze per vivere felici. Pertanto, decisero di andare in giro e cercare il patrocinio dei re. Si prefiggevano di incontrare mecenati della cultura.

Lungo la strada, il più anziano di loro, riferendosi al quarto amico disse agli altri: “Amici, questo tizio è un insulso illetterato. Ha del buon senso e niente altro. Non ho intenzione di condividere i miei guadagni con costui. Lasciamolo andare a casa”.

Il secondo amico supportò la proposta del primo.

Il terzo ragazzo invece disse: “Amici, non è appropriato mandarlo indietro. Abbiamo giocato insieme e lui è uno di noi. Cerchiamo di condividere i guadagni con lui, perché gli anziani hanno detto:

“Chi ha una mente ristretta

Pensa questo è mio, questo è suo.

Per una persona di gran cuore

Tutto il mondo è la sua famiglia”.

Alla fine, gli altri due si convinsero di quanto sostenuto dal terzo ragazzo e acconsentirono che l’amico di buon senso li accompagnasse. Proseguendo il loro viaggio, raggiunsero un bosco dove notarono un mucchio di ossa. Uno di loro disse agli altri: “Guardate, questa è l’occasione per testare le nostre conoscenze. Qualche animale è morto. Cerchiamo di farlo tornare in vita, utilizzando le conoscenze che abbiamo acquisito”.

Il primo amico disse: “Va bene, userò il mio sapere per assemblare le ossa dello scheletro”. Con la potenza del sapere ordinò a tutte le ossa di riunirsi e diventare uno scheletro.

Quando lo scheletro fu pronto, il secondo amico comandò carne e sangue per riempire lo scheletro e pelle per coprirlo.

Quando il terzo amico stava per dare la vita al corpo, Subuddhi, che aveva solo il buon senso, lo avvertì, “Attento, questo sembra il corpo di un leone. Se ritorna in vita, ci ucciderà tutti”.

L’amico, che stava per inserire la vita nel corpo dell’animale, schernì Subuddhi: “Tu sei un pazzo. Pensi che io perderò l’occasione per testare il mio apprendimento?”

Allora Subuddhi gli disse di aspettare, in modo da dargli il tempo, per sicurezza, di arrampicarsi su un albero e così andò a rifugiarsi sui rami di un albero. Non appena l’amico gli diede la vita, il leone ritornò in vita e uccise tutti e tre gli uomini dotti.

Suvarnabuddhi concluse affermando,” è per questo che ho sempre detto:

“Anche se uno è molto istruito

Se non possiede il buon senso

Diventa bersaglio di scherno

Come nel seguito di questa storia”.

“Quale storia? Ti prego raccontami”, chiese Chakradhara. Suvarnasiddhi iniziò a raccontare la storia.

Quattro giovani bramini, vivevano in una città. Erano buoni amici e desiderosi di viaggiare e di acquisire conoscenze. Si recarono in un posto chiamato Kanyakubj. Furono accolti in un monastero dove iniziarono a studiare scienze e Scritture. Dopo dodici anni di apprendimento, pensarono che era ora di tornare a casa e chiesero al loro guru il permesso di lasciare il monastero. Dopo aver ottenuto il suo permesso, iniziarono il loro viaggio di ritorno.

Dopo alcuni giorni di viaggio, raggiunsero un punto in cui la strada si biforcava. Non erano sicuri di quale strada li avrebbe portati a casa. Mentre pensavano al da farsi, videro un corteo funebre. Uno dei ragazzi aprì il suo libro di studio e vi lesse: “Seguite il percorso preso dai grandi uomini.”

Il ragazzo disse agli altri amici: “Uniamoci e seguiamo questi grandi uomini che partecipano al corteo funebre”.

Essi quindi seguirono la processione fino al punto della cremazione dove incontrarono un asino.

Il secondo giovane bramino, aprì il suo libro degli Shastra ed in esso trovò questo versetto:

“Colui che viene in vostro aiuto

In tempi di pericolo, fame,
Cremazione e invasione

È veramente un amico nei fatti”.

Allora disse ai suoi amici che l’asino, quindi, era il loro migliore amico. Subito uno di loro si appese al collo dell’asino. Un altro lavò i suoi zoccoli. Dopo questa cerimonia, si guardarono intorno e videro un cammello. Il quarto dei ragazzi cercò di capire che animale fosse. Il terzo consultò il suo libro di conoscenza e di lettura: “Ciò che si muove veloce è la giustizia” e decise che il cammello doveva essere l’incarnazione della giustizia.

Il quarto amico sfogliò il suo libro e scoprì che la giustizia e l’amicizia devono stare sempre insieme. Per tale motivo, legarono assieme l’asino e il cammello. Il proprietario dell’asino, venuto a conoscenza di ciò, si precipitò lì per bastonare i quattro bramini. Essi, però, riuscirono a fuggire prima che arrivasse. Continuarono a viaggiare, finché non raggiunsero un fiume e si avvidero di una grande foglia che galleggiava sull’acqua.

Uno di loro, vedendola, si ricordò di una parte di un versetto, dove era descritto come una foglia, aveva aiutato un uomo ad attraversare un fiume; saltò quindi su di essa e venne portato giù dalla corrente. Il secondo bramino, vedendo il suo amico in difficoltà, ricordò un versetto:

“Quando si è di fronte alla perdita totale

Un uomo saggio sacrifica la metà e

Gestisce quello che resta”.

Quindi, al fine di risparmiare la metà del suo amico, il secondo bramino tagliò la testa al ragazzo che stava annegando.

I tre amici superstiti ripresero il loro viaggio, fino a quando furono fermati da tre abitanti di un villaggio, che li invitarono ad una festa. Quando fu servito un piatto simile agli spaghetti, il primo bramino pensò: “Ciò che è lungo dovrebbe essere scartato” e lasciò il posto senza mangiare.

Al secondo furono serviti dei pancakes. Egli pensò: “Il cibo che si spalma non fa bene alla salute” e si rifiutò di mangiare.

Alcune ciambelle furono servite al terzo bramino. Egli si ricordò che “vi è pericolo dove c’è un buco” e andò via. Dopo i tre bramini rientornarono a casa.

Suvarnasiddhi finì la storia e si rivolse a Chakradhara per dirgli:

“Anche se uno è molto istruito

Se non possiede il buon senso

Diventa bersaglio di scherno

Come i dotti in questa storia”.

Chakradhara protestò: “Non è vero”, e citò questo versetto:

“Quello che Dio sceglie di salvare

Sopravvive senza sforzo umano e

Nessuno sforzo umano può salvare

Che Dio ordina che perisca.”

Come disse la rana, “quella con mille trucchi sta seduta sulla testa del pescatore, quella con centinaia di trucchi è appesa al braccio del pescatore e io con un solo trucco nuoto felicemente in acqua”.

“Come mai?” Chiese Suvarnasiddhi. Chakradhara inizò la storia.

LA STORIA DEI DUE PESCI E DELLA RANA

Due pesci di nome Sahasrabuddhi e Satabuddhi avevano fatto di un lago la propria dimora. Essi avevano una rana, di nome Ekabuddhi, come amica. Ogni giorno, si ritrovavano presso la riva del lago e discutevano di tutto sotto il sole e si lasciavano al tramonto. Un giorno, videro alcuni pescatori attrezzati con reti e ciascuno portava un cesto pieno di pesci; essi passarono da quelle parti, videro il lago e notarono che era pieno di buon pesce. Allora decisero che, presto la mattina successiva, sarebbero tornati a pescare. I pesci, avendo ascoltato la loro conversazione, erano molto preoccupati. Poi la rana chiese un consiglio a Satabuddhi.

“O Satabuddhi, hai sentito quello che stavano progettando i pescatori. Ora dicci cosa dobbiamo fare. Dovremmo restare nel lago o andare da qualche altra parte?”

Sahsrabuddhi rispe alla domanda, “Non ti preoccupare. Non si deve aver paura delle sole parole. I saggi hanno detto: -Il mondo è ancora salvo perché i sogni dei serpenti e degli uomini malvagi non si avverano mai-. I pescatori possono non venire domani. Se arrivano, io sono qui per salvarti”.

Satabuddhi disse: “Tu sei un genio. Quello che dici è corretto. Non c’è nulla che le persone abili non possano conquistare. Ricordate come Chanakya uccise tutti i Nanda in armi.

“Dove non si può bucare sole e vento

L’ingegno di chi è pieno di risorse giunge.

Non si deve lasciare la patria, perché,

Nulla è più felice che la propria terra”.

Ekabuddhi, la rana, disse: “Amici, sparire è l’unica cosa che so. Così, io e mia moglie abbandoneremo questo posto stasera stessa”.

Ciò detto, la rana lasciò immediatamente il lago. Il giorno seguente, i pescatori arrivarono e catturarono molte prede tra cui pesci, rane, granchi, tartarughe, e così via, compresi Satabuddhi e Sahasrabuddhi e li uccisero tutti. Uno di loro portava Satabuddhi in testa perché era più pesante e Sahsrabuddhi a tracolla sul braccio, perché era più lungo.

Ekabuddhi, osservando questa scena da lontano con sua moglie, disse: “Non ti ho riferito quello che i pescatori avrebbero fatto? Ora, puoi vedere la condizione critica di Satabuddhi e Sahasrabuddhi”.

Alla fine, Chakradhara affermò: “O Suvarnasiddhi, tu hai detto che la saggezza è superiore alla conoscenza. Ma io dico che la saggezza da sola, senza l’educazione, non serve a nulla”.

“È vero”, ribattè Suvarnasiddhi. “Ma non è saggio non prendere in considerazione il consiglio di un amico. L’avidità ti ha fatto ignorare il mio consiglio. Non hai sentito di come l’asino ha ignorato il consiglio dello sciacallo, ottenendo una macina da mulino al collo? “

C’era un asino, di nome Uddhata, che viveva in un villaggio trasportando vestiti e altri carichi per il suo padrone. Di notte, quando non c’era lavoro, era solito sconfinare nelle fattorie al di fuori dal villaggio, e tornava a casa all’alba, per paura di essere aggredito dai proprietari di di queste fattorie. Un giorno a Uddhata, durante uno di questi sconfinamenti, capitò di incontrare uno sciacallo e divennero ben presto amici.

Ogni sera si recavano insieme presso le fattorie e si nutrivano con cene sontuose a base di cetrioli. All’alba, tornavano a casa, dopo essersi riempiti per bene le pance. Una sera, in uno stato d’animo felice, l’asino disse allo sciacallo, “Figlio mio, guarda com’è piacevolmente serena la notte. Essa mi ispira a cantare. Dimmi con quale raaga (ndt: melodia indiana) vuoi che cominci?”

Lo sciacallo rispose: “Caro mio, perché inviti inutilmente un pericolo? Siamo venuti qui di nascosto, per le colture di cetrioli. I ruffiani e i ladri, devono sempre osservare il silenzio. Non hanno forse detto i saggi:

“Colui che non può controllare la tosse

O non riesce a tenere a bada il sonno

O non può resistere al buon cibo

Non dovrebbe svaligiare una casa”.

“La tua musica non ha melodia. Si può sentire come una tromba da un miglio. Le guardie sono addormentate. Se con la tua musica svegli qualcuna di loro, ci prenderanno entrambi o ci uccideranno. Rinuncia quindi alla tua brillante idea e mangiamoci questi gustosi cetrioli”.

“Sciocco infantile, vivi in un paese selvaggio. Ecco perché non sai apprezzare la musica. Solo le persone molto fortunate, sono destinate ad ascoltare la musica, cantata al chiaro di luna “, ribattè Uddhata.

Lo sciacallo rispose: “Vero. Ma tu non sai che cosa sia la musica. Sai solo ragliare sonoramente. Quindi, ti prego nuovamente di rinunciare a questa sciocca idea”.

L’asino si offese e replicò: “Tu sei un idiota a dire che io non conosco la musica. Il saggio Bharata fu un compositore di musica, che è considerata come il quinto Veda, con cento e ottantacinque modelli di notazione. Per gli Dei, non c’è nulla di più caro della musica. E’ attraverso la musica che Ravana vinse i favori del Dio Shiva”.

Lo sciacallo disse: “Va bene amico mio, fammi prima allontanare da questa fattoria e rimanere a vigilare da lontano, per avvisarti se arriva qualcuno. Potrai quindi tranquillamente cantare dal profondo del tuo cuore”. Detto ciò, lo sciacallo si allontanò in silenzio.

Quando l’asino cominciò a cantare, una delle sentinelle si svegliò e raggiuntolo lo colpì con un bastone, finché cadde a terra. Il guardiano prese quindi un vecchio palmento e lo appese al collo dell’asino. L’asino, ripresosi dai colpi del guardiano, riuscì a correre via con la macina al collo.

Lo sciacallo, vedendolo in quella condizione, disse: “Tu non hai dato retta al mio consiglio. Guarda come ci hai guadagnato una macina da mulino al collo”.

Dopo aver finito questa storia, Suvarnasiddhi disse: “Amico, non ti sei curato di ascoltarmi”.

Chakradhara ne convenne con lui e rispose: “Quello che dici è vero. I saggi hanno detto:

“Colui che non ha ingegno di suo

O non tiene conto del consiglio degli amici

Perisce come il tessitore Mandhara”.

Vedendo Suvarnasiddhi mostrare interesse, Chakradhara iniziò la storia di Mandharaka.

LA STORIA DEL TESSITORE

C’era una volta un tessitore chiamato Mandharaka, che viveva in una città del sud. Un giorno, mentre stava tessendo, si accorse che le cornici in legno, necessarie per la tessitura, si erano completamente danneggiate. Allora, andò nella foresta per trovare della legna e costruire delle nuove cornici. Dalla foresta si diresse verso la riva del mare, dove vide un gigantesco albero. Egli pensò, che se fosse riuscito a tagliare il legno da quell’albero, ne avrebbe avuto abbastanza per tutta la vita.

Come iniziò a tagliare l’albero, un Yaksha che viveva su quell’albero gli disse: “O tessitore, questo albero è la mia casa. Quindi devo proteggerlo. Sto molto bene qui, potendo godere della fresca brezza proveniente dal mare”.

Mandharaka rispose: “Signore, se io non taglio l’albero e porto a casa il suo legno, la mia famiglia morirà di fame e morirà. Quindi, ti prego di andare da qualche altra parte. Devo tagliare questo albero”.

“Va bene, se non tagli l’albero, io ti darò un dono a tu scelta”, promise il Yaksha.

Il tessitore disse: “Signore, in questo caso, devo andare a casa e consultare mia moglie e gli amici. Nel caso, potrete darmi il dono più tardi”.

Avendo lo Yaksha accettato, Mandharaka andò verso casa e lungo la strada incontrò un suo amico, che faceva il barbiere e gli chiese: “Amico, un Yaksha mi ha promesso un regalo a mia scelta e mi ha concesso del tempo per consultare gli amici e mia moglie. Che vantaggio vorresti che gli chiedessi?”

“Chiedigli di darti un regno. Tu sarai il re e io sarò il tuo ministro. Entrambi potremo goderci la vita qui e nell’aldilà”, rispose il barbiere.

“Vero. Ma permettimi di chiedere anche a mia moglie” disse Mandharaka. Il barbiere mise in guardia il tessitore sul consultare sua moglie e citando persone sagge, disse:

“Un uomo saggio può dare alla sua donna

Bei vestiti, perle e diamanti;

Ma non la consulta mai sui suoi affari

Perché le donne non sono di grande ingegno”.

E come ha detto Shankaracharya, quella casa che è gestita da donne, o bambini, o imbroglioni, alla fine incontrerà la rovina”.

Il tessitore ignorò gentilmente il consiglio del barbiere, dicendo che avrebbe comunque consultato la moglie e andò a casa. Raccontò a sua moglie tutta la storia del Yaksha e del regalo che aveva offerto.

Mandharaka disse anche a sua moglie che il suo amico, il barbiere, gli aveva consigliato di chiedere un regno. Sua moglie disse: “O mio signore, quanto intelligente è un barbiere? Non ascoltare mai la sua parola. Nessun uomo saggio consulterebbe i bambini, o i barbieri, o i servi, o i mendicanti. Inoltre:

“Il potere del sovrano comporta troppi problemi;

Le cospirazioni tolgono la pace.

Con la corona non vengono solo spine

Ma anche le trame sinistre e il tradimento.

E’ stato per il bene del regno che

Il Signore Rama ha vissuto nei boschi,

I fratelli Pandava fuggirono in esilio,

La dinastia Yadava scomparve,

Re Nala abbracciò l’anonimato”.

“Pertanto, nessun uomo saggio cercherà un regno, che porta ad uccidere i fratelli, amici e parenti”, concluse la moglie del tessitore.

Il tessitore rispose: “Mia cara, quello che dici è vero. Ma tu non mi hai ancora detto quale beneficio potrei scegliere”.

La moglie rispose: “Ogni giorno riesci a tessere un singolo pezzo di stoffa, che è appena sufficiente per soddisfare le nostre esigenze quotidiane. Quindi chiedi allo Yaksha di darti un’altra testa e altre due mani. Ciò ti aiuterebbe a tessere due pezzi di stoffa ogni giorno invece di uno. Il primo pezzo ci aiuterà a soddisfare i nostri bisogni quotidiani. Il secondo ci aiuterà a soddisfare esigenze particolari. Potremo navigare attraverso la vita, comodamente e felicemente. “

Il tessitore fu felice dei consigli che sua moglie gli aveva dato e andò dello Yaksha pregandolo: “Signore, mi avete gentilmente offerto una scelta. Chiedo di avere altre due mani e una testa in più”.

Immediatamente, ebbe quattro mani e due teste. Felice, iniziò il suo viaggio di ritorno. Lungo la strada la gente lo vide e scambiandolo per un mostro, lo percossero con bastoni e pietre Il povero tessitore morì sul posto.

Chakradhara concluse: “Ecco perché, come ho detto in precedenza:

“Colui che non ha ingegno di suo

O non tiene conto del consiglio degli amici

Perisce come il tessitore, Mandhara”.

“Quando il diavolo dell’avidità danza sulla loro testa, la gente diventa oggetto di scherno come me” Gli anziani hanno detto:

“Colui che brama l’impossibile

O costruisce castelli in aria

Si avvia inevitabilmente all’afflizione come

Il povero padre di Soma Sarma”

Suvarnasiddhi gli chiese come e Chakradhara gli raccontò la seguente storia del padre di Soma Sarma.

IL PADRE AVARO

Swabhavakripan era un bramino che viveva in una città del sud. Era conosciuto per la sua avarizia. Ogni giorno, andava a chiedere l’elemosina e conservava un po’ della farina che gli davano le persone. Conservava questa farina in un vaso di terracotta e quando era pieno, lo appendeva ad un piolo sopra il suo letto, in modo da poterlo tenere d’occhio.

Un giorno tornò a casa molto stanco e quando si addormentò, cominciò a sognare: “Questo vaso è pieno di farina e se vi fosse una carestia mi farebbe spuntare un prezzo molto alto. Con quei soldi, mi comprerei due capre, che nel corso del tempo diventerebbero una grande mandria. Io li venderei per un profitto enorme e con quei soldi comprerei delle vacche. Poi potrei comprare bufali e successivamente cavalli. Quando le stalle saranno piene di cavalli, io li vendo e compro un tanto oro”.

“Con questo oro, io costruirò una casa enorme di quattro piani. Vedendo la mia ricchezza un bramino mi offrirà la mano della sua bella figlia. Lei presto mi darà un figlio che chiamerò Soma Sarma. Quando avrà un anno di età, andrò a nascondermi nella stalla e lo chiamerò perché venga a cercarmi. Mio figlio corre pericolosamente verso i cavalli. Chiamo mia moglie perché venga a portarlo via. Impegnata con le faccende domestiche lei ignora la mia chiamata. Allora le darò un calcio”.

Il sogno si infranse, quando egli diede un calcio al piatto di farina appeso al piolo e tutto il suo contenuto si versò sul suo corpo. Ora sembrava un fantasma bianco.

Chakradhara riprese, “Per questo ho detto:

“Colui che brama l’impossibile

O costruisce castelli in aria

Si avvia inevitabilmente all’afflizione come

Il povero padre di Soma Sarma”.

“Io non vedo nulla in questo per biasimarti, disse Suvarnasiddhi. “Ognuno diventa schiavo dell’avidità. Come hanno detto i saggi:

“Colui che è sopraffatto dalla cupidigia

E non ne soppesa le conseguenze,

Diventerà una vittima di inganni

Come il re Chandra in questa storia”.

Suvarnasiddhi ranccontò quindi la storia di re Chandra a Chakradhara.

C’era una volta un re, di nome Chandra, che governava un piccolo stato. I suoi figli amavano giocare con le scimmie ed allora il re ordinò che un po’ di scimmie fossero portate a palazzo e chiese ai suoi servitori di nutrirle bene e di prendersi cura dei loro bisogni. Il capo delle scimmie era un vecchio studioso esperto nell’arte di governare, con particolare riguardo alle opere di Sukracharya, Brihaspati e Chanakya. La vecchia scimmia addestrava i più giovani anche nell’arte di governare.

Il re aveva una stalla di capre che i suoi giovani figli utilizzavo come cavalcature. Una delle capre era golosa di cibo e quotidianamente sgattaiolava in cucina, in qualsiasi momento della giornata e faceva piazza pulita di tutto ciò che era disponibile in cucina. Se al cuoco capitava di vederla rubare il cibo, le tirava tutto ciò che era a portata di mano, un bastone o una pentola di ottone.

Il capo delle scimmie vide questo scontro tra il cuoco e la capra scaltra e pensò: “Sono sicuro che questo braccio di ferro tra il cuoco e la capra porterà alla rovina della mia tribù. Questa capra è diventata schiava del cibo. Il cuoco le tira tutto ciò che è nelle vicinanze. Può essere un bastone o se non è facilmente disponibile, può utilizzare un tizzone dal focolare da scagliare contro la capra. Questo darebbe alle fiamme il pelo della capra, facendola correre nella stalla che subito prenderebbe fuoco bruciando i cavalli. Il grande veterinario Salihotra ha detto che il grasso di scimmia è la migliore medicina per le ustioni. Quella sarà la fine delle scimmie”.

Il capo delle scimmie, quindi, convocò tutti i più giovani e disse loro che la faida tra il cuoco e la capra li avrebbe certamente danneggiati. Nel proprio interesse, dovevano lasciare il palazzo il più presto possibile. Citò gli studiosi che dicono:

“Chi vuole vivere in pace

Deve lasciare una casa di lotte quotidiane.

Il conflitto sgretola i regni

Come gli improperi separano gli amici”

Le scimmie, però, rifiutarono di ascoltare i consigli del vecchio capo e gli dissero: “Signore, sei diventato vecchio e non ragioni bene. Non abbiamo intenzione di lasciare questo palazzo in cui abbiamo il miglior cibo a disposizione. Cosa troviamo da mangiare nella giungla? Non possiamo mangiare un cibo qualsiasi nella foresta”.

Estremamente infelice per la loro risposta, la vecchia scimmia disse: “Non avete idea del prezzo che pagherete per le comodità del palazzo. Non durerà a lungo. Non mi sento di assistere alla fine della nostra tribù. Parto. Chi si risparmia lo spettacolo di un amico in difficoltà, della sua casa occupata da un nemico o della divisione del suo paese, è il più felice”.

La vecchia scimmia, con il cuore pesante, lasciò tutti.

Alcuni giorni dopo, la capra scaltra entrò nella cucina reale e il cuoco, non riuscendo a vedere nulla a portata di mano per punirla, prese un pezzo di legno ardente dal focolare e lo scagliò contro la capra. La sua pelliccia andò in fiamme e corse in preda al panico nella stalla dove il suo pelo ardente incendiò il fieno che vi era accatastato. Diversi cavalli rimasero ustionati nell’incendio. Il re consultò esperti veterinari che gli consigliarono di usare il grasso di scimmia come unguento per i cavalli sofferenti per le ustioni.

Il re ordinò che tutte le scimmie fossero uccise e il loro grasso usato per curare le bruciature dei cavalli. La vecchia scimmia fu afflitta per la morte della sua progenie e iniziò a pianificare come avrebbe potuto vendicarsi del re che aveva fatto sterminare tutte le scimmie. Vagando senza sosta nella foresta, la vecchia scimmia vide un lago pieno di fiori di loto. Ispezionando con attenzione il lago, l’anziana scimmia rilevò impronte di animali e di esseri umani che entravano nel lago, ma non impronte che se ne allontanavano.

La scimmia si rese subito conto che il lago doveva essere popolato da qualche coccodrillo malvagio e che, avendo sete, era meglio bere l’acqua usando lo stelo di un loto come cannuccia. Quando cominciò a bere, emerse dal lago un mostro, che indossava una collana di perle,. Il mostro rivolgendosi alla scimmia disse: “Sembri un tipo un intelligente. Hai bevuto l’acqua senza entrare nel lago. Sono impressionato dalla presenza della tua mente. Chiedi tutto quello che vuoi”.

La scimmia domando, “Signore, quante vite puoi prendere in un colpo solo?”

Il mostro rispose, “posso ingoiarne decine, centinaia e migliaia in una sola volta. Tutto questo lo posso fare solo quando entrano nel lago. Fuori dall’acqua, anche uno sciacallo mi può sfidare”.

La scimmia disse: “Devo fare i conti con un re. Se mi puoi prestare la collana di perle che indossi, io in qualche modo convincerò il re e tutti i suoi uomini ad entrare nel lago per cercare una ricchezza nascosta. Allora, potrai uccidere tutti loro”.

Confidando nella scimmia, il mostro le consegnò la collana di perle ed essa raggiunse il regno di Chandra. La gente vide la collana abbagliante e gli chiese come l’aveva ottenuta. La scimmia narrò loro del lago. Quando la storia raggiunse il re, questi mandò a chiamare la scimmia e le chiese come fosse entrata in possesso della collana.

La scimmia delucidò il re su tutto ciò che sapeva e dopo, seguito dalla sua famiglia, dai ministri e dai sudditi, lo guidò fino alle rive del lago. La scimmia suggerì al re che era meglio che tutto il suo seguito, simultaneamente, entrasse nel lago all’alba. Dopo di che gli disse:

“Mio signore, noi due non andremo con loro. Ti porterò separatamente in un posto, dove potrai trovare un enorme deposito di collane di perle”.

Secondo il piano, tutti gli uomini del re entrarono nel lago simultaneamente e furono uccisi dal mostro. Quando nessuno, dopo un lungo periodo di tempo, uscì fuori dall’acqua, il re si insospettì chiese spiegazioni alla scimmia sul ritardo dei suoi uomini nell’uscire dal lago. La scimmia balzò in cima a un albero e disse al re:

“O re, il mostro dentro il lago ha ucciso tutti. Tu hai ucciso la mia gente. Questa è la mia risposta a tale tradimento”.

Suvarnasiddhi concluse la storia ripetendo il versetto precedente:

“Colui che è sopraffatto dalla cupidigia

E non ne soppesa le conseguenze,

Diventerà una vittima di inganni

Come il re Chandra in questa storia”.

Suvarnasiddhi chiese poi a Chakradhara il permesso di andare via. Chakradhara rispose che non era bene abbandonare un amico in difficoltà.

Suvarnasiddhi rispose: “Ciò che dici è vero. Eppure è sempre meglio agire in accordo a ciò che i saggi consigliano. In caso contrario, dovrò in seguito pentirmi come te. Come ha detto il saggio: “Coloro che non sono uniti, periranno come il grande uccello che aveva due teste su un unico tronco, ma ha mangiato frutti diversi.”

Su richiesta di Chakradhara, Suvarnasiddhi cominciò a raccontare questa storia.

LA STORIA DELL’UCCELLO CON DUE TESTE

Un grande uccello di nome Bharunda, viveva sulle rive di un lago. Egli possedeva due teste ma un solo corpo. Un giorno, mentre l’uccello vagava sulla riva del lago, trovò un frutto che era delizioso come ambrosia. Una delle sue teste mormorò: “Oh, che buon frutto. Sono sicuro che i cieli lo hanno mandato per me. Sono proprio fortunato”.

Sentendo questo, la seconda testa disse: “O fratello, fai assaggiare anche a me il frutto che stai lodando così tanto”.

La prima testa si mise a ridere e replicò: “Abbiamo entrambe lo stesso stomaco. Non fa differenza se lo mangio io o lo mangi tu. Lo donerò alla nostra amata. Lei ne sarà molto felice”. Bharunda diede quindi il frutto a sua moglie. La seconda testa fu molto delusa di questa azione dell’altra testa.

Un giorno, la seconda testa trovò un frutto velenoso e disse alla prima testa, “Tu, compagno traditore. Per quello che mi hai fatto, io ora mangerò questo frutto velenoso e vendicherò il tuo insulto”.

La seconda testa rispose: “Sciocco, se lo mangi, moriremo entrambi, perché abbiamo lo stesso corpo”.

Ignorando il suo avvertimento, la seconda testa mangiò il frutto velenoso e morirono tutti e due.

Dopo aver ascoltato la storia, Chakradhara disse: “Amico, quello che dici è vero. Puoi andare a casa, ma non tornare da solo. I nostri anziani hanno dichiarato:

“Da solo, non mangiare cibo delizioso,

Non dormire quando gli altri sono svegli,

Né dovresti viaggiare da solo

Né riflettere da solo sui problemi”.

“Guarda come il bramino è sopravvissuto, perché aveva ascoltato il consiglio di sua madre e preso un granchio come suo compagno di viaggio”.

“Come è stato?” Chiese Suvarnasiddhi.

Brahmadatta era un giovane bramino che viveva in una città con la sua anziana madre. Un giorno, avendo intenzione di recarsi in un altro villaggio, sua madre gli disse di non viaggiare da solo, ma di prendere qualcuno con lui. Il ragazzo rispose che la strada per il villaggio era sicura e che se ne stava andando per un affare urgente. Le chiese quindi di non avere paura.

Vedendo che egli era determinato ad andare, la madre si recò al pozzo, situato nel cortile di casa, tirò fuori un granchio e chiese al figlio di portare il granchio con lui durante il viaggio. Il ragazzo allora sistemò il granchio in una scatola di canfora, mise la scatola in un vaso e partì per il suo viaggio. Essendo estate, la giornata era stata molto calda e il bramino si fermò per riposarsi sotto un grande albero.

Dalla cavità dell’albero, emerse un serpente che, attratto dal profumo di canfora, ingoiò la scatola contenente il granchio. Il granchio uscì fuori dalla scatola e tagliata la testa del serpente, lo uccise. Il ragazzo si svegliò e trovò il serpente morto e la scatola di canfora. Quando vide il granchio che usciva dalla scatola vivo, subito si rese conto di quello che era successo.

Egli ricordò le parole di sua madre e si rese conto di avere fatto bene a dare ascolto al suo consiglio, che lo aveva salvato dalla morte. Egli ricordò anche le parole degli anziani:

“Coloro che alimentano i ricchi

Non li aiutano nelle difficoltà.

Quando la loro ricchezza è intatta

Tutti gli girano intorno”.

Chakradhara concluse il suo racconto, confermando a Suvarnasiddhi l’importanza di avere sempre un compagno. Poi accettò che Suvarnasiddhi si congedasse da lui.

Così si conclude la quinta strategia che Vishnu Sharman narrò ai figli di Amarashakti.

Dopo Che Vishnu Sharma ha istruito i figli del re, questi ha cercato di dargli terra e altri doni, ma lui ha rifiutato e ha continuato la vita di un semplice insegnante. La sua raccolta di saggi di apprendimento in forma di Panchatantra divenne parte della Niti Shastra (il libro per il codice di condotta saggia ed etica) e ancora oggi offre grandi lezioni per tutti.