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RAMA


RAMA o Ramachandra

Rāma, principe ereditario del regno dei Kosala viene privato ingiustamente del diritto al trono ed esiliato dalla capitale Ayodhya.

Rāma trascorrerà quattordici anni in esilio, insieme alla moglie Sita e al fratello Lakṣmaṇa, dapprima nei pressi della collina di Citrakūṭa, dove si trovava l’eremo di Vālmīki e di altri ṛṣi, in seguito nella foresta Daṇḍaka, popolata da molti demoni (rākṣasa).

Lì Sītā viene rapita dal crudele re dei demoni, Rāvaṇa, che la conduce nell’isola di Laṅkā.

Rāma e Lakṣmaṇa si alleano quindi con i vānara, potente popolo di scimmie divine, e insieme ai guerrieri scimmia, tra i quali c’è il valoroso e fedele Hanuman, costruiscono un ponte che collega l’estremità meridionale dell’India con Laṅkā.

L’esercito affronta l’armata dei demoni, e Rāvaṇa viene ucciso in duello da Rāma, che torna vittorioso nella capitale Ayodhyā, e viene incoronato re.

Dal Ramayana di Valmiki:

Sulle rive del Sarayu si ergeva la città di Ayodhya, capitale del regno di Koshala. Le opulenze di questo regno erano inenarrabili, in special modo quelle della sua capitale.

Il re si chiamava Dasaratha, un raja pio e dotato di ogni virtù, in tutte le qualità simile ai più grandi re della tradizione vedica, così valoroso in combattimento che mai conobbe sconfitta. Dasaratha era assistito da due famosi brahmana che si chiamavano Vasishtha e Vamadeva.

Tuttavia, nonostante avesse tutte le opulenze che un uomo e un re potessero desiderare, Dasaratha non era felice. La ragione: non riusciva ad avere figli. Lui aveva tre mogli, Kausalya, Sumitra e Kaikeyi, tre donne di nascita nobile e dal cuore virtuoso, ma che senza alcun motivo ap­parente non riuscivano a dargli figli. Un giorno il re convocò i suoi con­siglieri.

Ne discussero a lungo. Alla fine tutti furono concordi sulla necessità di celebrare l’Asvamedha-yajna.

Intanto nei pianeti celesti, quei mondi dove la vita è priva degli affanni di cui invece è piena la nostra, in quel periodo c’era molta preoccupazione. Gravi problemi assillavano la loro lunga e fortunata esistenza.

In coinci­denza con lo svolgimento del sacrificio di Dasaratha, Brahma ricevette la visita dei Deva principali. Sembravano preoccupati, quasi ansiosi. Era evidente che un grave problema li assillava e che venivano a chiedere aiuto al loro padre.

“Oramai non c’è più limite ai soprusi che il terribile Rakshasa Ravana sta infliggendo all’umanità intera. Noi non possiamo nulla contro la potenza di quell’essere malvagio, che tu hai reso invincibile. Ti preghiamo, intervieni e ristabilisci la pace e la sereni­tà.”

“Voi sapete come io,” rispose Brahma, “abbia benedetto Ravana a es­sere praticamente invulnerabile, realmente invincibile. Egli non può es­sere ucciso da nessuno. Questo è dunque un grave problema sul quale ho già meditato a lungo, ma non sono ancora riuscito a trovare una soluzio­ne. Solo un essere della specie umana potrebbe ucciderlo, ma non esiste un uomo tanto potente. E nessuno di noi Deva può fare niente contro di lui. Ma bisogna trovare una soluzione. L’emergenza è della massima gravità. Ho quindi preso la decisione di rivolgermi a Vishnu, il Signore Supremo. Sono certo che Egli ci aiuterà a porre fine a questo incubo.”

Brahma si chiuse in una profonda meditazione: aveva un aspetto così solenne e imperturbabile che sembrava che nulla potesse scuoterlo. Non molto tempo dopo Vishnu apparve.

“Io so quante angherie state subendo dal malvagio Rakshasa. Proprio per porre fine alle sue malefatte io, diviso in quattro personalità, apparirò come figli di Dasaratha. In questo modo porrò fine alla carriera scia­gurata di Ravana.”

Non appena Vishnu ebbe finito di parlare, una figura celestiale emer­se dal fuoco del sacrificio che ardeva ad Ayodhya e parlò, rivolgendosi al re.

“Dasaratha, sono stato mandato dai Deva per soddisfare il tuo grande desiderio e necessità. Brahma in persona mi ha incaricato di darti questo succo divino chiamato payasa. Ascoltami: fallo bere alle tue spose ed esse concepiranno delle incarnazioni di Vishnu.”

Dasaratha si alzò e prese il recipiente dalle mani dell’inviato dei De­va, che immediatamente scomparve. E lo porse alla sua prima moglie Kausalya e le disse di berne metà. Poi lo dette alla sua seconda moglie Sumitra e le chiese di bere metà del rimanente. Ciò che rimase lo porse alla terza moglie, chiedendole di fare lo stesso, e cioè di bere la metà di ciò che era rimasto. E l’ultima metà la fece bere ancora a Sumitra.

Questo fu il criterio con cui Dasaratha distribuì il succo divino consegnatogli dal messaggero celeste.

Chiari segni di gravidanza furono visibili istantaneamente nelle re­gine: Narayana, Vishnu, era già entrato nei loro corpi.

Quando il sacrificio Asvamedha fu terminato, tutti si apprestarono a tornare nei loro rispettivi paesi e città. Anche il puro Rishyasringa lasciò Ayodhya, ricoperto di onori e ricchezze.

I bambini nacquero. Kausalya fu la prima a partorire e suo figlio fu chiamato Rama. Poi Kaikeyi, e suo figlio fu chiamato Bharata. Infine Sumitra, che dette alla luce due gemelli, ai quali furono dati i nomi di Lakshmana e Satrughna.