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LA SORGENTE DELLA CONOSCENZA


LA SORGENTE DELLA CONOSCENZA

Discorso di apertura della conferenza spirituale

Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, dicembre 1930

(Articolo tratto dalla rivista ‘Raggi di Armonia’)


Pubblicato originariamente su The Harmonist nel Dicembre 1930.


La Verità non può mai essere servita dalla facoltà separata da essa. Il servizio alla Verità è la funzione dell’anima. Esso è incapace di separarsi dalla Verità; è senza causa e ininterrotto. La Verità è identica all’Insegnante della Verità. Non ci può essere conoscenza delle conclusioni dei Veda senza il servizio non deviato ai piedi di loto di Sri Gurudeva. Nessun altro può essere insegnante della Verità se non il devoto di Dio. Questo non è un dogma di ortodossia irrazionale, è la pura Verità. Non si può essere guru anche se si discende da un lignaggio elevato, seppur iniziato in tutti i sacrifici, aver studiato i mille e un ramo dei Veda, o se non si è un Vaisnava.

Nei tempi antichi c’era una città di nome Kanchi nel Sud India. In quella città viveva un professore molto famoso di nome Yadavaprakasha. E’ risaputo che a quel tempo non c’era altro professore in tutto il paese che lo eguagliasse in conoscenza. Laksmandesika andò da lui allo scopo di studiare e risiedere con il suo insegnante. Si dedicò agli studi con tutto il suo cuore ed era completamente sincero nel suo atteggiamento verso l’insegnante. Queste eccellenti qualità attrassero molto presto l’attenzione ed il cuore del suo insegnante. Un giorno Yadavaprakasha, seguendo l’interpretazione di Sankaracarya, stava spiegando il famoso testo della Chandyogya in cui si afferma che i due occhi di Dio sono rossi come il posteriore di una scimmia. Questa affermazione scosse il cuore di Ramanuja, il servitore e attendente personale di Yadavaprakash, che provò molto dolore nell’ascoltare questo insulto alla Santa forma di Dio. Calde lacrime caddero dai suoi occhi sulla schiena di Yadavaprakasha che chiese a Ramanuja quale fosse la causa del suo dolore. Ramanuja allora disse che non c’era bisogno di spiegare la parola ‘kapyasam’ in un modo tanto ripugnante e blasfemo, in quanto quella parola possedeva un eccellente significato. Non era forse l’atto più offensivo paragonare gli occhi di Dio stesso, che è il Signore e Maestro di tutti noi, con la parte più infima del corpo di una scimmia?


Yadavaprakasha si arrabbiò moltissimo dopo aver ascoltato le parole di Ramanuja. Egli lo rimproverò con termini severissimi: “Quanta impertinenza da parte di un semplice giovinetto! Trovare errori nell’interpretazione di Acarya Sankara! Pensi possibile trovare altra spiegazione al testo se non quella dell’Acarya?” Ramanuja rispose con parole che esprimevano modestia: “Sì”, disse Ramanuja. “C’è un altro significato del testo che accresce la felicità di coloro che sono spiritualmente illuminati. La spiegazione dell’Acarya è intesa a deludere quelle persone che sono cariche di attitudine non spirituale. Degnati di ascoltare le mie parole”.


Subito Ramanuja offrì questa famosa spiegazione della parola ‘kapyasam’. ‘Kang’ significa acqua. Colui che si nutre di acqua è definito ‘kapi’. ‘Kapi’ quindi non è altro che lo stelo del fiore di loto. Ciò che è posto sullo stelo è ‘kapyasam’. In altre parole i due occhi della Persona Suprema sono tinti di rosso come il vivo splendore del fiore di loto rosso non ancora colto, posato sul suo luccicante stelo che si erge sulla superficie di acque blu.


Yadavaprakasha si colmò del più grande stupore nell’ascoltare questa spiegazione delle scritture. Sentì profondamente la disgrazia della sua sconfitta dovuta al suo stesso discepolo. Pazzo di rabbia complottò in segreto per sopprimere Ramanuja.

Nessun insegnante della Coscienza impersonale, dell’azione interessata, di qualsiasi stato di unione materiale con l’Anima Suprema (yoga), del compimento di attività volte a sè stessi, dell’ascetismo, della magia o dell’ipocrisia, può veramente essere designato come ‘superiore’ o Guru. Tutti questi sono solo dei perditempo ed essendo veramente molto frivoli, sono di fatto facilmente manipolabili. Essi non sono mai dei benefattori delle anime condizionate. Al contrario sono nemici di sè stessi e del prossimo.


Soltanto il Maha-bhagavata, il migliore dei devoti, il Guru Vaisnava, ha misericordia incondizionata verso tutte le anime ed è addolorato per le loro miserie. E’ per questo motivo che il nostro precedente Guru, Srila Raghunatha dasa Gosvami Prabhu ci ha istruito di porci sotto la guida di Sri Sanatana Prabhu che è l’unico ad essere veramente addolorato per tutti noi e l’unico ad impartire la conoscenza della nostra relazione con Dio. Le vere parole di Srila Das Gosvami Prabhu meritano di essere citate al completo: “Mi pongo sotto la protezione del mio Maestro Sri Sanatan Prabhu. Sri Sanatan Prabhu è l’oceano della misericordia. Egli è sempre addolorato per le miserie degli altri. Lui mi ha fatto bere, con grande cura, il dolce liquido del servizio a Dio. L’attaccamento a quel servizio fa perdere qualsiasi desiderio per altre cose. Ero molto ignorante al riguardo e non desideravo per nulla servire Dio. Ma lui, nonostante ciò, si è impietosito di me e ha vinto contro la mia caparbia opposizione al suo buon consiglio. Così è Prabhu Sanatana”.


Qual è veramente la sorgente da cui ricaviamo la conoscenza della Verità? E’ conoscenza pura o mista? E’ cosa necessaria oppure no? Sì, è certamente necessaria, prima di tutto per stabilire se i suddetti proponimenti derivano dalla teoria della coscienza indifferenziata, della non-coscienza indifferenziata o da attività di pura coscienza colme di eterna felicità. Diventare uno con la non attività è il fine della teoria della non-coscienza indifferenziata. Immergersi totalmente nell’esistenza senza forma dell’indifferenziata coscienza è il fine della teoria della conoscenza indifferenziata. La realizzazione dell’eterno estatico servizio a Dio nel regno libero dall’ignoranza, ci stabilisce nell’incondizionata funzione di pura cognizione.

L’emancipazione enunciata nel Bhagavatam non è la distruzione della triplice copertura dell’anima prigioniera. Non è niente di meno che la stabilizzazione nella propria condizione naturale. ‘Mukti’ significa stabilirsi nella propria giusta condizione, eliminando il contrario. Quando ci si stabilisce nella propria giusta posizione si supera il limite dell’ignoranza. Allora la vera funzione della facoltà cognitiva, che non è altro che il servizio a Dio, si manifesta pienamente. Il servizio specifico, che è connaturato in ogni anima individuale, si manifesta allora completamente e in modo ininterrotto. “Ci sono differenti modi coi quali differenti persone scelgono di obbedirMi. Anch’Io li servo nei differenti modi corrispondenti. O Partha, con ogni mezzo segui la Mia via”.


Dio stesso qui afferma che in effetti Egli adora il Suo adoratore nello stesso identico modo col quale viene adorato da quest’ultimo. Con il sentimento di consorte e con tutte le sue facoltà, il devoto serve Dio e in accordo a ciò Krishna dona Sè stesso. Krishna Si considera obbligato verso il Suo devoto, anche dopo esserSi completamente donato a lui.

Nello sloka della Gita menzionato sopra, il termine ‘mang’, Me, è degno di particolare nota. La parola si riferisce direttamente a Krishna ed è Krishna stesso che sta parlando. Egli afferma: “Colui che Mi adora lo fa in uno dei cinque modi (rasa), ciascuno dei quali è caratterizzato dalla qualità della massima sottomissione. Ma il sentimento di consorte mostra il limite più alto di sottomissione. Se la sottomissione non è volta a Me, lo sarà per la Mia ombra o per la Mia potenza deludente (maya), ma ciò non è più sottomissione a Me” Non funziona chiamare lo yogurt col nome del latte. Senza dubbio lo yogurt deriva dal latte; ma il latte andato a male non è yogurt. E’ possibile che una persona possa concepire una forma immaginaria e pervertita di Visnu. Se questa persona si arrende alla sua visione pervertita, non sarà vera sottomissione a Visnu. Visnu non è distorto. E’ possibile per una persona vederLo e sperimentare una visione frutto del suo modo sbagliato di vederLo. Se questo accade, va compreso che la persona mancherà di vedere veramente Visnu. Nella Gita troviamo questo sloka: “Coloro che con reverenza adorano i devata, o figlio di Kunti, in effetti adorano anche Me, ma con un metodo improprio”.


Vedere un qualsiasi oggetto in modo separato da Krishna è il procedimento improprio di vedere. Questo metodo improprio di vedere è identico a tutte le nostre dirompenti e demoniache concezioni di differenza. E’ possibile liberarsi da questa condizione impropria di vedere e solo allora sarà veramente possibile vedere Krishna. Krishna è l’oceano dell’infinita eterna dolcezza. Esistono dodici rasa (qualità in continua espansione) in Krishna, cinque di questi sono primari, gli altri sette secondari aiutano ad accrescere la dolcezza dei principali cinque rasa. Solamente in Krishna tutti i rasa si armonizzano completamente.


Sri Sukadeva Gosvami disse a Maharaja Pariksit: “Ascolta o Re, ti sto per donare una particella di alcuni dei rasa di Sri Krishna che è in Sè stesso la sfera splendente di infiniti rasa. Quando Sri Krishna apparve in compagnia di Baladeva nell’anfiteatro preparato dal Re Kamsa per esibizioni di lotta, ogni spettatore vedeva Krishna in accordo alla sua predisposizione individuale. I lottatori, attratti dalle arti marziali, videro Krishna terrificante come il tuono. Le signore, attratte dalla qualità dell’amore, videro lo stesso Krishna come il Dio dell’Amore. La massa della gente vide Krishna come l’unico re degli uomini. I pastorelli, colmi di amicizia e amore paterno, Lo videro come uno di loro. Tutti i re malvagi impauriti Lo videro come il Castigatore dei malvagi. Ogni madre e padre Lo vedeva come il proprio meraviglioso Bambino. Il re dei Bhoja, Kamsa, lo vide come la morte personificata. Le persone mal guidate dalla comprensione materialista, videro Krishna come il vasto cosmo. I grandi yogi dalla predisposizione meditativa videro Krishna come l’Entità Ultima. Tutti gli uomini della dinastia Vrishni Lo videro come il Supremo obiettivo della loro adorazione”.

Tutti otterranno il servizio a Krishna; lo otterranno persino coloro che vagano alla caccia di varie speculazioni. Nella lunga corsa esiste una fine al vagare di coloro che sono andati fuori strada, perché Krishna è il solo Attraente e tutti noi siamo attratti da Lui. Ma potrebbe sembrare che temporaneamente esista una barriera tra colui che attrae e colui che viene attratto. Non appena viene rimossa la barriera noi sperimentiamo direttamente la relazione che scaturisce dall’attrazione per il Supremo Attraente.


Può esserci comunanza con il non-animato, questo è ciò che si definisce ‘cattiva compagnia’. Questa cattiva comunanza si esplica per mezzo del corpo fisico e della mente ignorante. E’ necessario abbandonare questa cattiva compagnia. Se lo facciamo, il nostro vero sé, la cui natura è di essere attratto da Krishna, sperimenterà il fascino diretto di Krishna. Krishna attrae la cognizione pura. La devozione esclusiva è una caratteristica della cognizione pura. L’accesso al regno spirituale è precluso finché questa qualità, la devozione esclusiva, non appare.

Il mondo esterno è anch’esso una sorgente di un tipo di conoscenza. Questa conoscenza non è altro che l’entità del mondo esterno in forma sottile. L’attrazione esercitata da queste entità è conseguentemente applicata ai casi materiali. C’è grande varietà di conoscenza di questo tipo, ma nessuna di esse è conoscenza di Krishna. La conoscenza del Brahman indifferenziato, o quella dell’Anima Suprema, o del mondo fenomenico, riunite nel principio cognitivo dell’indipendenza dalla conoscenza di Krishna, sono solamente differenti livelli della stessa classe di conoscenza. Il Brahman che è un intruglio prodotto dalla mente dei professori che credono nel cosiddetto Brahman indifferenziato, non dà accesso neppure ad un barlume del vero Brahman. La visione dell’Anima Suprema, ovvero l’unità indifferenziata con Isvara, immaginata dagli pseudo yogi, è una blasfemia ancora più grande del dogma dell’unità indifferenziata con un Brahman immaginato. I professori dell’unità indifferenziata con il loro Brahman immaginario, non ammettono l’esistenza di un’anima individuale. I professori dell’unità indifferenziata con Isvara ammettono invece l’esistenza dell’anima individuale. Essi vorrebbero abilitare l’anima individuale ad usurpare la posizione di Dio. Questo è certamente un esempio di un’attitudine di gran lunga più ribelle verso Dio di quella dei fautori del Brahman immaginario.


E’ per questa ragione che Mahaprabhu ha affermato che l’unione con Isvara è ancora più condannabile della fusione con un immaginario Brahman.

Per poter discutere questi soggetti, è necessario prima di tutto possedere la vera sorgente della conoscenza. Sono queste argomentazioni originate da una cognizione contaminata? Oppure la loro origine è pura cognizione? Derivano esse da una sorgente costruita dall’uomo? Oppure la loro sorgente deriva da Dio? Se, verificando la sorgente, constatiamo sia di costruzione umana, ciò è indicatore di errori di valutazione, inavvertenza e così via.


Chi è l’entità conosciuta come ‘Io’? Questo io è il corpo ottenuto dai genitori? Oppure sono la mente-intelligenza-ego con cui m’impegno a scegliere una cosa e lasciarne un’altra? Questo argomento porta a moltissime conclusioni. Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare queste discussioni fin dall’inizio della nostra vita. Abbiamo discusso di queste cose per tutti questi cinquant’anni. Abbiamo impegnato molto del nostro tempo in discussioni durante l’arco delle ventiquattro ore del giorno. Abbiamo discusso di questi argomenti ogni giorno e in ogni ora. Ne abbiamo discusso mentre dormivamo ed anche quando eravamo svegli. E questo corpo degraderà nel corso delle discussioni e per tutto il tempo che ancora gli resterà.


E’ molto difficile entrare nella stanza recondita del soggetto dell’Io. Là in piedi davanti ai due consecutivi ingressi si trovano due guardie che bloccano tutti gli accessi che portano all’Io. Perchè non possiamo sentire il dolce profumo del corpo di Krishna? Perchè la quinta nota vibrata dal flauto di Krishna non entra nelle mie orecchie? Perchè il tumulto delle strade e i rumori del mondo affaccendato entrano incessantemente nelle mie orecchie? Nel momento presente l’anima è addormentata. Il suo agente, la mente, in veste di gestore delle preoccupazioni dell’assopito padrone, lo sta imbrogliando con la sua intermediazione, egli è assuefatto a lasciarsi guidare dalla funzione della mente. La mente, il cui affare è imbrogliare l’anima con i suoi consigli maligni, ci sta tenendo occupati sulla via del godimento egoistico. L’anima è la padrona della mente e del corpo. Equivale alla funzione parlante del rappresentante della giuria. Ciò che è espresso dalla cognizione pura è di un certo tipo, quello della non-cognizione è di un altro tipo. La mente è la non-anima. Questo è ciò che presenta la Gita: “La terra, l’acqua, il fuoco, l’aria, il cielo, la mente, l’intelligenza e l’ego sono gli otto aspetti della natura materiale. Al di là di questi vi è un’altra entità alquanto differente che non è materiale. Quest’ultima non è altro che una Mia manifestazione sotto forma di anima individuale. E’ solo per l’anima individuale che viene mantenuto questo universo materiale”.


L’anima individuale (jiva) è quindi oltre la materia, ma ciò nonostante possiede una funzione marginale poiché è in relazione con il processo della nascita e della morte. Ma l’anima individuale ha anche collocazione nella sfera al di là della materia. Le attività dell’anima individuale, in quest’ultima condizione, si definiscono trascendentali. Tutto ciò che è perituro è incluso nell’apara-vidya (conoscenza empirica). Tutto ciò che è imperituro è incluso nella para-vidya (conoscenza trascendentale). La conoscenza trascendentale poggia su ‘sumati’, ovvero una buona predisposizione. Il termine ‘sumati’ si trova nei Veda: “O Visnu, dobbiamo servire ‘sumati’ semplicemente pronunciando il Tuo Nome anche solo con una piccolissima conoscenza del Suo vero significato.” (Rig 1.156.3).


Che possa ognuno di noi ottenere questa buona predisposizione. Che possa ognuno di noi ottenere quella buona predisposizione che ci spinge a servire ‘sumati’.